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Sulla «scienza» degli ecologisti
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Non avete pianto sull’immagine del povero orso polare naufrago su una lastra di ghiaccio striminzita? La voce fuori campo non ci ha spiegato che il pak dell’Artico si stava sciogliendo a ritmo paurosamente accelerato, causa l’emissione di gas-serra, dovuti all’industria dell’uomo, questo orribile mostro da eliminare perchè la Terra viva? E che dunque, bisogna aderire ai protocolli di Kyoto, e alle paturnie europee 20-20-20, ossia alla riduzione delle emissioni del 20% entro il 2020?

Contrordine: il ghiaccio dell’Artico rifiuta di sciogliersi come gli è stato ordinato dagli ecologisti.

Lo deve ammettere, a malincuore, il National Snow and Ice Data Center (NSIDC) che da Boulder, Colorado, misura il supposto inarrestabile scioglimento dei poli: fra settembre 2007 e settembre 2008, il manto ghiacciato attorno al Polo Nord si è esteso del 9,4% in più (1). In certe zone, è vero, il mantello ghiacciato s’è ristretto; ma nel complesso pare che esso non diminuisca, solo che cambi posizione (forse per effetto di variazioni delle correnti).

Qui sotto il grafico diffuso dal NSIDC, che mostra le variazioni nei mesi estivi (massimo scioglimento dei ghiacci):



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Come si vede, la linea per il 2008 resta costantemente al disopra di quella del 2007; benchè resti ancora lontana dalla media di estensione dei ghiacci del 1997-2000, essa sembra indicare che il fenomeno dello scioglimento cominci a rovesciarsi.

La stagione estiva artica è finita prima del solito, l’inverno è stato particolarmente freddo a tutte le latitudini; la rapidità del ri-congelamento osservata a settembre – ammette l’Arctic Climate Research Center della University of Illinois – è la più repentina che sia mai stata segnalata da quando sono cominciate le rilevazioni. Oggi i livelli di ghiacci marini globalmente sono uguali a quelli che si osservarono nel 1979, ossia 29 anni fa.

Qualche ingenuo, ignorante e sprovveduto, potrebbe arrivare a conclusioni sbagliate. Per fortuna, la scienza ecologico-climatica ha la risposta pronta a questa anomalia, per cui l’effetto-serra sembra innescare anzinchè il global warming, un inizio di global freezing.

Gli specialisti dell’Università di Birmingham spiegano tutto: guarda caso, studiando delle formazioni calcaree nelle Svalbard, hanno appena scoperto che 630 milioni di anni fa, un forte effetto-serra «non riuscì a fermare severe condizioni di ghiaccio e neve». L’aria insomma era piena di CO2, eppure l’era era glaciale.

Come ha spiegato il capo del gruppo di ricerca, dottor Ian Fairchild, «la Terra era come un gelato al forno, con l’atmosfera caldissima che circondava una superficie gelata».

Come ciò fosse possibile, confessiamo, non abbiamo ben capito; pare che c’entrino certi solfati nell’atmosfera di 630 milioni di anni fa, e un eccesso di riflessione atmosferica; la cosa è spiegabile, ammette Fairchild, «solo se il pianeta era completamente coperto di ghiacci».

Tuttavia, Fairchild non rinuncia a farci la solita lezione: «In passato il fenomeno (gelato-al-forno, ndr.) è avvenuto in modo naturale, ma un uso sbagliato della tecnologia, potrebbe farlo accadere di nuovo».
Per esempio?

«Può accadere di nuovo se l’atmosfera terrestre riflette troppa radiazione solare, ad esempio in caso di guerra nucleare», risponde il serafico Fairchild, «oppure se un eccesso di particelle di solfato vengono pompate nell’atmosfera dall’inquinamento industriale o dall’attività vulcanica».

Ciò ha autorizzato il corrispondente scientifico del Telegraph di Londra a titolare: «I gas ad effetto-serra possono aver causato un’era glaciale» (2).

In realtà, il linguaggio dell’università di Birmingham, nel suo rapporto scientifico, è molto più cauto: nota che 630 milioni di anni fa un’atmosfera satura di gas-serra «coincise» con prolungati periodi di temperature glaciali. Non dice che un fenomeno ha causato l’altro; dice che i due fenomeni furono contemporanei.

Ma il pistolotto del ricercatore-capo sui rischi di «un uso sbagliato della tecnologia» suggerisce che l’ideologia ecologista permane inconcussa. Se i ghiacciai sulle Alpi si restringono (ed è vero), è colpa del CO2 emesso dalle attività umane; se il ghiaccio dell’Artico aumenta di estensione, è sempre colpa del CO2.

E’ come giocare a testa-o-croce con un truffatore: testa vinco io, croce perdi tu. Insomma non c’è nessun dato di fatto che possa smentire la teoria; qualunque nuova scoperta, anzi, la riafferma.

E’ l’esatta definizione della pseudo-scienza secondo Karl Popper: quando non si può immaginare nessun esperimento o fatto che possa confutare (falsify) una teoria, si tratta di pseudo-scienza. Una qualità che Popper vedeva nella scientifica teoria marxista come nell’astrologia.

Come i credenti nell’astrologia (e nel comunismo), nemmeno gli ecologisti si confondono per qualche smentita fattuale. Essi continuano ad imporre i loro rimedi preferiti all’emergenza climatica forse inesistente: energie rinnovabili, grandi investimenti nei mulini a vento hi-tech, nell’uso delle biomasse, soprattutto nei pannelli solari e nel fotovoltaico, il cui costo di fabbricazione spesso supera quello del risparmio energetico ottenuto (qualcuno ci guadagna), e ovviamente riduzione dell’attività industriale.

Non li scuoterà nemmeno un fatto esposto recentemente da un vero esperto del settore energetico: un miglioramento del 10% delle dispersioni delle centrali elettriche darebbe una quantità di energia utilizzabile, pari a quella fornita da tutti i mulini a vento attualmente installati in USA.

L’esperto è Arshad Mansur (non tutti i musulmani sono arretrati sub-umani), che in USA è il vicepresidente dell’Electric Power Research Institute, dove studia i problemi della distribuzione dell’energia. Vale la pena di riassumere l’articolo che ha recentemente pubblicato sulla rivista del settore, «Trasmission & Distribution World», perchè fornisce notizie stupefacenti (3).

Prima notizia stupefacente (Mansur parla degli USA, ma il suo ragionamento vale per qualunque Paese): il massimo consumatore di elettricità è l’industria della produzione di elettricità. In generale, il 5-6% dell’energia elettrica prodotta dalle centrali elettriche viene usata per far funzionare le stazioni di generazione; in certi casi – vecchie centrali elettriche a carbone, soggette a costi e controlli ambientali – fino all’8-10% dell’energia prodotta viene consumata dal produttore.

Non basta. Una volta immessa nella rete, l’elettricità soffre un altro 2-3% di dispersioni di trasmissione. Nel segmento finale della distribuzione, per mandare l’energia dalle sotto-stazioni al domicilio dei clienti, va disperso un altro 5-6& dell’elettricità prodotta.

Nel complesso, l’industria del settore perde (o spreca) dal 12% al 15% dell’energia che produce per portarla agli utilizzatori finali. Qui è possibile ottenere sostanziosi risparmi, che implicano un minor consumo di materie prime e una riduzione dell’emissione di CO2.

Ma stranamente, mentre in USA si spendono 2 miliardi di dollari l’anno in programmi per migliorare l’efficienza energetica degli utilizzatori finali (siano abitazioni, industrie o attività commerciali), poco o nulla si fa per migliorare l’efficienza energetica all’inizio della catena, ossia dal lato della produzione, trasmissione e distribuzione.

Eppure anche questo sarebbe «rispetto ambientale». Perchè, nota giudiziosamente l’ingegner Mansur, «un kilowattore di energia risparmiata è lo stesso, da qualunque parte della rete lo risparmiamo». Anzi, spesso è molto meno costoso ridurre lo spreco-dispersione all’origine che in mille case e fabbriche alla fine della catena.

Paradossalmente, in America solo dal dicembre 2007 è partito un programma, iniziativa di gruppi di produttori uniti sotto la Northwest Energy Efficiency Alliance, che ha cominciato a studiare le ottimizzazioni del voltaggio più adatte a ridurre le perdite nella distribuzione.

Quanto all’Electric Power Research Institute, di cui l’ingegner Mansur è vice-presidente, ha appena lanciato una ricerca per valutare i costi, benefici e i criteri tecnici per il miglioramento dell’efficienza in 65 reti di distribuzione.

I problemi connessi erano prima quasi insolubili; ma ora la diffusione dei contatori elettronici di nuovo tipo («intelligenti») sta fornendo all’industria di generazione una immensa quantità di dati prima non disponibili: con questi dati sarà possibile elaborare dei modelli delle perdite e delle loro misure nei diversi snodi delle reti.

Per adesso, si è solo all’inizio della raccolta dei dati; non si è ancora al punto della loro omogeneizzazione con sistemi metrici coerenti; poi, si potranno valutare i costi delle varie misure di riduzione delle perdite.

Da questa iniziativa l’ingegnere si aspetta molto: «Basta dire che se riusciamo a migliorare l’efficienza di generazione, trasmissione e distribuzione solo di un 10%, i kilowattore risparmiati basterebbero a dare elettricità a 5 milioni di abitazioni per un anno. Dare la stessa energia allo stesso numero di abitazioni con l’energia del vento richiederebbe di generare 19GW coi mulini a pale. Ciò è quanto dà l’intera generazione a vento già installata negli Stati Uniti».

Ma perchè non ci si è pensato prima? Perchè questo tipo di programmi non viene finanziato?

Perchè manca l’interesse dell’opinione pubblica, e quindi dei poltiici, risponde Mansur: «La conferenza annuale della American Wind Energy Association  (pro-mulini a vento, ndr) nel giugno 2008, ha attratto 13 mila partecipanti; quando facciamo una conferenza sull’efficienza nella generazione-trasmissione-distribuzione dell’elettricità, è un miracolo se arrivano 50 persone».
Ovvio. Il vento è gonfio di suggestioni mitiche, è il purificatore, il «pulito» per eccellenza immaginaria, mentre il risparmio energetico sulla rete è prosaico, e per di più non conferma i sensi di colpa di cui gli ecologisti ci vogliono aggravare.

E poi, non porta voti a Pecoraro Scanio.




1) «Arctic sea ice melt season officially over, ice up 9% from last year», Watts up with that, 16 novembre 2008. Si tratta di un blog, tenuto da meteorologhi scettici dell’effetto-serra, che ha spesso colto sul fatto i centri di rilevazione ufficiali a «adattare» i dati per sostenere la teoria ecologica preferita da Al Gore.
2)
Richard Alleyne, «Greenhouse gases could have caused an ice age, claim scientists», Telegraph, 1 gennaio 2009.
3)
Arshad Mansur, «Embrace end-to-end efficiency», Transmission & Distribution world, 1 novembre 2008.
 


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