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L’Internazionale Bamboccioni
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Scopro che il fenomeno dei giovani che restano con papà e mammà fino a 40 anni – quelli che Padoa Schioppa, il miliardario di Stato, insultò come «bamboccioni» – non è specificamente italiano. In Giappone si deplora l’emergere dei «Parasaito Shinguru» (più o meno: celibi che vivono da parassiti a spese dei genitori). In USA, la crisi ha ingrossato le fila di quella che viene ormai chiamata «Generation Limbo», giovani con alto grado d’istruzione, lauree e spesso dei master, presi persino nelle grandi e prestigiose università Ivy League – un tempo certezza di carriere lucrose – che non trovano altri impieghi che bar manager o MacDonalds specialists, costretti ad aspettare per anni nel precariato, mentre le loro costose lauree invecchiano e vanno sprecate, non potendosi esercitare nell’attività che – a quel livello – è spesso in continuo aggiornamento.

In Francia e Gran Bretagna si comincia a parlare, come da noi, di generazione perduta perchè troppo a lungo estranea al lavoro, e alle competenze che consente di acquistare. Come li chiamino in Israele non so, ma le sfilate e le manifestazioni inopinatamente apparse anche là – in una gioventù che non si può pensare contagiata dalle primavere arabe – denunciano lo stesso disagio sociale. Le proteste israeliane infatti sono contro il caro-alloggi: vuol dire che anche lì la proprietà immobiliare, sempre più cara perchè progettata per i ricchi, diventa sempre più un’aspirazione irraggiungibile per giovani con salari da poveri.

Avviene lo stesso a Roma e a Milano. A Parigi, i meno che quarantenni hanno perso il 25% del loro potere d’acquisto per quanto riguarda l’appartamento: nel 1980 si dedicava all’abitazione il 15% del reddito annuale, oggi il 30%. E le primavere arabe, non sono poi tanto diverse. Il primo movente anche lì è la situazione di troppi giovani, con buon grado d’istruzione, che non trovano lavoro.

Incredibilmente, il fenomeno si produce anche nella Cina dal travolgente sviluppo economico e dunque, si direbbe, del pieno impiego e dai salari crescenti. Là si parla delle «tribù di formiche». Sono le file di milioni di giovani che trovano impiego solo come stagisti: uno stage dietro l’altro, all’infinito, per dei compensi che non permettono di vivere nella grandi città cinesi d’oggi.

Lo rileva il sociologo francese Louis Chauvel nel suo studio Les classes moyennes à la dérive, il quale fra l’altro chiama le lauree prodotte dalle università di massa (questa dubbia conquista) degli «assignat accademici», comparandoli alle banconote emesse dalla Rivoluzione Francese, gli assignats, il cui valore vaporizzò con rapidità prodigiosa. «Vediamo quanto le lauree valgono in Italia e in Francia, ed ora anche negli Stati Uniti». (Louis Chauvel: « les classes moyennes en voie de prolétarisation»)

Da noi conosciamo la scandalosa insufficienza dell’insegnamento universitario, le cattedre occupate da parassiti. Ma se l’inadeguatezza dell’alta istruzione rispetto al mondo del lavoro si verifica in Francia, e persino negli USA, dove le lauree costano una fortuna (e per cui i giovani accendono prestiti che, con le loro paghe attuali, non estingueranno mai più); se gli stagisti, gli auto-impiegati e i precari crescono anche in Cina – insomma se il fenomeno è globale – è un altro dei regali avvelenati della globalizzazione, voluta e imposta dagli interessi finanziari mondializzati.

Non è solo che il capitalismo terminale ha sottratto posti di lavoro operai o industriali portandoli dove i salari più bassi retribuivano meglio il capitale. È che le nuove tecnologie, computer e telecom, hanno sostituito molti lavori impiegatizi d’ordine o di concetto a cui aspira in massa la gioventù italiana, e a cui li preparano bene o male le lauree-assignats. Questi lavori non torneranno più, come sono scomparsi gli scritturali e i vetturini. Si aggiunga che la corsa all’efficientismo incitata dal capitale in cerca di alti rendimenti, ha conformato la macchina dell’economia reale a funzionare con sempre meno personale, essendo questo il solo costo sostanzialmente comprimibile.

Ma paradossalmente ciò aumenta il costo del lavoro, a cui si accollano, per tacere delle tasse, le spese sociali in crescita (pensioni, pre-pensionamenti, casse integrazione) a causa dell’invecchiamento e delle ristrutturazioni e, domani, un riformismo complice accollerà i costi della disoccupazione all’entrata della vita lavorativa, quando la politica deciderà di dare una risposta ai giovani.

Risultato: si divarica ineluttabilmente la forbice (lo spread) fra il costo del lavoro tutto incluso per l’impresa – eccessivo – e il livello salariale dell’occupato dopo i prelievi: sempre più insufficiente, ed è quello a cui il banchiere guarda per concedere mutui e prestiti. Un nodo scorsoio, che l’ideologia terminale userà per incitare a nuovi tagli, a sempre maggiori slealtà verso chi chiede di entrare nel mondo del lavoro, sempre più sfruttato, e indotto ad accettare volentieri il nero per esimersi da spese sociali da cui non avrà alcun beneficio.

Perchè dico questo? Perchè, ora che finalmente i figli della borghesia in via di marginalizzazione sembrano sollevarsi sul piano globale contro il sistema, non basteranno sfilate e sit-in in settanta città del pianeta, nè tantomeno gli incendi, i vandalismi e le violenze dei centri sociali a Roma (rigurgito dell’ineliminabile sedimento d’inciviltà italica, abietto quanto insignificante nei risultati) per conquistare un cambiamento. Qui si tratta di imporre un modello sociale completamente nuovo, che non si è nemmeno cominciato a pensare.

È questo il punto cruciale, dopo 20 anni di rinuncia a pensare, di dominio totale del pensiero unico.

Il fatto positivo è che il movimento sociale nascente è internazionale, la protesta si è coordinata via internet (le stesse tecnologie che hanno fatto sparire i lavori impiegatizi); si veda al proposito il sito in 14 lingue www.avaaz.org/fr/v senza chiedersi chi lo paga.

È un bene, perchè la regolamentazione che occorre per mettere a freno la speculazione globale, ha da essere globale; il che però può essere strumentalizzato dai poteri forti del governo unico mondiale, che al loro progetto hanno pensato completamente, e da un secolo almeno, approntando tutti i mezzi per realizzarlo.

La protesta è singolarmente ben informata, e lo è dai blog alternativi; non ha appreso certo dai grandi media a vedere nelle banche e nella Borsa il nemico principale, lo sfruttatore essenziale, nè da loro ha tratto ispirazione per slogan come «non paghiamo il debito che non abbiamo fatto noi», e «diritto all’insolvenza» (1).

Ma Mario Draghi può dire tranquillo, dall’alto dei suoi due milioni annui, «i ragazzi hanno ragione», e imporre austerità più feroci agli Stati indebitati, perchè i banchieri creditori siano pagati. Segno che non sente il fiato sul collo del pericolo imminente.

I grandi media, dopo aver censurato e soppresso informazioni sulla protesta a Wall Street, ora sono tutti sorrisi e compiacenza. Sono gli stessi commentatori e poteri che fino a ieri, alla gioventù rimasta senza lavoro per le delocalizzazioni, suggerivano di studiare di più per occupare gli spazi alti della competizione globale, e da ultimo, visto che il trucco non reggeva più, hanno consigliato: «Fate come Steve Jobs». Che significa: assoggettatevi al sistema, che è giusto e leale e meritocratico... milioni di Steve Jobs, ecco la soluzione.

Più sinceri mi paiono i miliardari americani come Warren Buffett: «È lotta di classe, ed è la mia classe, i ricchi, a scatenarla». O Bill Gross, il capo del colossale fondo d’investimento Pimco: «Il 99% fa la lotta di classe? È naturale, rispondono a trentanni di fuoco sparato contro di loro». O Joseph Dear, capo-gestione del fondo pensionistico californiano CALPERS (250 miliardi di dollari gestiti): «Capisco questa protesta: Wall Street è un gioco truccato».

Un gioco truccato, « a rigged game» (2). Ecco il tono della sincerità americana: il gioco del darwinismo sociale, a cui crediamo, non è più leale. È persino probabile che i miliardari della speculazione privata non ne possano loro stessi più, e non potendo uscire da un gioco truccato a cui la competitività globale costringe anche loro, finiscano per esigere o accettare una qualche regolamentazione globale. E farla attuare dai politici sul loro libro-paga.

In Europa abbiamo un problema diverso, abbiamo l’eurocrazia, abbiamo Draghi e i grand commis come Trichet, Barroso, che difendono il sistema. Inamovibili, si sono sottratti al controllo democratico.

In Italia abbiamo un problema in più: da noi la classe politica, i sindacati e la loro clientele parassitarie familiari, non solo non hanno contrastato a tempo il mondialismo economico-finanziario, per non sapere cosa proporre in alternativa (e qui il tradimento è stato soprattutto delle sinistre cosiddette). L’hanno visto arrivare in tempo e – con l’astuzia che in certi primati sub-umani (i babbuini ad esempio) sostituisce l’intelligenza – hanno messo al riparo se stessi e i propri cari dalla competizione globale. Si sono aumentati gli stipendi e gli emolumenti, del tutto fuori mercato, e li hanno inchiodati con leggi. Si sono salvaguardati dalla competizione elettorale escogitando sistemi elettorali dove non sono gli elettori a sceglierli e a rifiutarli, ma i loro capi-bastone. E si sono dati, ed hanno moltiplicato, tutti i mezzi per divorare il denaro pubblico impunemente, farsi sostenere da milioni di precari che dovrebbero invece rovesciarli.

Insomma, si sono fatti l’ombrello d’oro per resistere alla gragnuola della competizione globale, mentre hanno lasciati tutti altri noi fuori, sotto la grandine. A pagare anche il loro conto.

Il sistema che hanno messo a punto e perfezionato – e che non è il capitalismo competitivo (altrimenti il Trota non si beccherebbe i 7 mila euro mensili come consigliere regionale, e la Minetti dovrebbe prenderli esercitando un altro mestiere) – è arrivato al punto che non riesce a far cadere il governo più ridicolo della storia, perchè anche i deputati dell’opposizione vogliono la pensione del compimento della legislatura.

Berlusconi non ha cambiato nulla di questo sistema; ma l’opposizione non ha nel programma di cambiarlo, e non può cambiarlo perchè le sue clientele sono le caste pubbliche parassitarie, a cominciare dai magistrati per finire con gli intellettuali sussidiati alla RAI e nei teatri pubblici.

Il gioco truccato, da noi, non lo fanno (solo) i miliardari privati, ma i nostri rappresentanti. Il che richiede una battaglia politica su due fronti.

Il movimento, Occupy Wall Street, indignati spagnoli, greci e italiani, piraten tedeschi (un bel successo a Berlino: avevano 15 candidati ed hanno vinto 16 posti, tuttavia l’8,9% dei voti) sono lo stato nascente di una protesta contro il gioco truccato.

Riuscirà a fare la rivoluzione che la fase storica esige? E quale modello imporrà: la demondializzazione? La de-crescita? La democrazia diretta assembleare via internet elaborerà il modello mai pensato?

Insomma: quella che nasce sarà l’ Internazionale Bamboccioni, nel senso marxista dell’Internazionale Proletaria?

Speriamo bene. Certo che Marx avrebbe puntato ben poche sterline su un movimento sociale che è tenuto fuori dai processi produttivi, che non ha le mani sui mezzi di produzione da bloccare e sabotare, da inceppare come mezzo contrattuale. Ma in ogni caso è nata una linea di forza contraria al pensiero unico. È già qualcosa, dopo un ventennio di individualismi frazionatori e polverizzatori.

Giova sperare.




1) Una ventina d’anni fa andai in estate in un’università americana a migliorare il mio inglese in un corso per stranieri: tra la folla di ragazzine giapponesi e cinesi, noi italiani eravamo in due, il resto spagnoli. Gli era stato detto, che non avrebbero trovato lavoro se non sapevano correntemente l’inglese, la lingua globale, e obbedivano alla regola. Giocavano leale, credendo che il gioco fosse leale. Non mi stupisce che il movimento degli indignados sia nato nella penisola iberica.
2) Ciò rende ancor più stridente il fatto che i grandi media, dalla CNN e Fox fino ai risibili TG italioti, continuino a segnalare gli alti e i bassi convulsionari delle Borse globali come fossero significativi del mercato: senza mai dire che metà delle transazioni azionarie avvengono ormai dentro dark pools, paludi oscure dove azioni passano di mano senza influire sui corsi ufficiali, e per il resto sono operazioni in mano a supercomputer che fanno milioni di compravendite al secondo. Basterebbero leggi che dichiarassero nulle e non avvenute tutte le transazioni fuori-Borsa; basterebbe la Tobin Tax, che il povero Tobin concepì appunto come granello di sabbia per rallentare la corsa folle della speculazione più devastante per l’economia reale. Ma quando si dice basterebbe, si evoca una volontà politica che non appare da nessuna parte, e che per giunta dovrebbe (dovrebbe) essere applicata globalmente.



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