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A difesa del sionismo: a difesa dell’indifendibile
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Scrivo questo articolo in risposta a quello di Judea Pearl sul Los Angeles Times del 15 maggio, intitolato “L’anti-Sionismo è odio?” Pearl insegna informatica all’Università della California, è il padre di Daniel Pearl, il giornalista morto sgozzato, nonché presidente della Daniel Pearl Foundation. Essa è stata fondata “per proseguire… la missione di Danny ed affrontare le cause profonde di questa tragedia nello spirito” dell’uomo che essa rappresenta, inclusi “un’oggettività e un’integrità aliena ai compromessi… ed il rispetto per gli uomini di tutte le culture…”

Alcuni dei membri onorari del consiglio amministrativo tradiscono questo proposito:
-    l’ ex Presidente Bill Clinton, un criminale di guerra senza processo e sostenitore del saccheggio neoliberale;
-    Elie Wiesel, spudorato promotore di se stesso, sfruttatore dell’ “Olocausto”, apologeta di alcuni dei più indegni crimini di Israele;
-    La Regina Noor di Giordania, moglie del sovrano Abdullah II il quale, come suo padre, governa con metodi dittatoriali da stato di polizia; e
-    Cristiane Amanpour e Ted Koppel, due notabili della corporazione dei media, che non lasciano mai trapelare ciò che possa configgere con i loro punti di vista, e sono sempre schierati coi potenti.
Pearl definisce “l’odio anti-Sionista più pericoloso dell’anti-Semitismo, poiché minaccia la sopravvivenza e la pace in Medio Oriente”. Ma il Sionismo è esattamente l’opposto di quanto lui sostiene,come numerosi scrittori ebrei, compreso il sottoscritto, sostengono.

Nel suo libro “Il Sionismo vincente” Joel Kovel ha spiegato come esso alimenti “l’espansione militarista ed il militarismo con tracce di malignità fascista”; come esso abbia trasformato Israele “in una macchina per la produzione di abusi dei diritti umani” guidata da terroristi che si atteggiano a democratici. Il libro ed il lavoro di Kovel ne hanno determinato il licenziamento dalla facoltà del Bard College con effetto dal 1° luglio, termine del suo contratto – per aver osato criticare Israele, l’ideologia sionista, il terrorismo di Stato, decenni di illegalità e una condotta senza limiti.

Kovel ha espresso indignazione sulla mancata reazione da parte di istituzioni come il Bard, che garantiscono ad Israele l’impunità attraverso la soppressione del dissenso, riducendo ai margini, punendo e rimovendo gli “eretici”, quelli che, come Kovel, scrivono la verità con coraggio e dignità.

Pearl si è lamentato perché l’invito ad un simposio organizzato dal Centro dell’UCLA (Università della California) per gli Studi sul Vicino Oriente è stato esteso a “ quattro dei più tenaci critici di Israele”, dandogli la possibilità di criticare la legittimità del Sionismo e della “sua visione di una soluzione a due Stati…” – uno schema per rinchiudere i Palestinesi in cantoni isolati e rubare loro le terre più fertili.

Lui mette sullo stesso piano la critica legittima ad Israele e l’anti-Sionismo alla “criminalizzazione dell’esistenza di Israele, che ne distorce le cause, getta fango sulla sua natura, la sua nascita, persino il suo concepimento”. Cita “leader ebrei che condannano questa campagna dell’odio che si risolve in un pericoloso invito all’isteria anti-semita” anche se l’uno (l’anti-Sionismo) non ha a che fare con l’altro (l’anti-Semitismo) e confonderli serve solo a mascherare il vero problema – gli effetti corrosivi del Sionismo e la mitologia su cui si fonda.

Quelli che Pearl ignora quando afferma che “l’anti-Sionismo rigetta alle fondamenta la nozione secondo cui gli Ebrei sono una nazione – un collettivo unito da una storia comune – e, di conseguenza, nega agli Ebrei il diritto all’autodeterminazione nel luogo dove la storia gli ha concesso i natali. Esso persegue lo smantellamento dello stato-nazione ebraico Israele, mentre accorda alle altre comunità storiche (Francesi, Spagnoli, Palestinesi) il diritto alla nazionalità…”

Pearl non riesce ad accettare la dura realtà che il professor Shlomo Zand dell’Università di di Tel Aviv ha documentato nel suo fondamentale libro del 2008: “Quando e come è stato inventato il popolo ebreo?” Esso espone insensatezze bibliche che comprendono le credenze di base del Sionismo sugli Ebrei:
-    Che gli antichi romani li cacciarono;
-    Il loro esodo dall’Egitto, ed il loro successivo vagare per la terra senza requie;
-    Oppressione, schiavitù e tormento per secoli; e
-    Il mito della promessa di Dio di un “Grande Israele” solamente per gli Ebrei – “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”.
Secondo il giornalista israeliano Tom Segev e altri:
-    Non è mai esistito un popolo ebreo, soltanto una religione ebrea;
-    Non c’è stato esilio, dunque non c’è stato ritorno, gran parte della Diaspora è stata volontaria; e
-    Tutta la storia è un’invenzione sionista, sorta di cospirazione per giustificare un futuro Stato ebraico, e svilire ora l’auto-determinazione Palestinese alla stregua di un complotto per distruggerlo.
Tornando agli altri “collettivi uniti da una storia comune”, Francia, Spagna, America e gli altri Stati, si tratta di nazionalità, non di religioni. Israele è uno Stato ebraico con diritti per soli Ebrei. Loro contano. Gli altri no, e qui sta la differenza. Di contro, i Palestinesi vengono occupati, impoveriti, oppressi, esiliati dalla loro terra, mortificati per il fatto di essere musulmani, e vittimizzati da un lento e inesorabile genocidio che distrugge loro e qualunque loro speranza di auto-determinazione.

“Gli Ebrei sono una nazione?” si chiede Pearl? “Alcuni filosofi sosterrebbero che essi sono in primis una nazione e solo dopo una religione. E cita l’usuale mitologia:
-    L’esodo ed il “ritorno alla terra promessa con il ricevimento della Torah sul Monte Sinai”;
-    La loro “ferma convinzione del loro finale ritorno in patria nella terra d’origine a partire dalla cacciata dei romani”; e
-    La loro “storia condivisa, non la religione, come primaria forza di ricongiungimento dietro la secolare, multietnica società israeliana” - che favorisce esclusivamente gli Ebrei, essendo uno stato religioso in cui praticare un’altra religione può essere pericoloso.
L’ “identità ebraica” oggi si nutre della storia ebraica (più precisamente folklore e miti) coi suoi naturali derivati:
-    “lo Stato di Israele” a dispetto della sua nascita illegittima e le sue radici mitologiche;
-    “la battaglia per la sopravvivenza”, anche se si tratta della quarta potenza militar-nucleare mondiale, senza alcun nessun nemico eccetto quelli che si crea, con una storia di aggressioni alle spalle, di violenza al posto dell’accordo, di scontro al posto della diplomazia; e che rivendica l’autodifesa come giustificazione quando non ce n’è alcuna;
-    “I suoi traguardi scientifici e culturali”, molti dei quali riguardanti gli armamenti e la sicurezza nazionale;
-    “il suo implacabile sforzo in direzione della pace”.
Pearl, come molti altri, non riesce ad accettare che Israele disdegna la pace, prospera sulla violenza, e ne ha bisogno come giustificazione. L’essenza del concetto di pace e di risoluzione di un conflitto per Israele è terrificante. Il Primo Ministro Yitzhak Shamir una volta lo ammise in relazione alla guerra del Libano del 1982 – c’era un “pericolo terribile… non tanto di natura militare quanto politica”, cosicché venne inventato un pretesto per attaccare in assenza di minaccia o giustificazione.

Questo causò la morte di 18.000 persone e lasciò il Libano del sud occupato finché le Forze di Difesa Israeliane (IDF) non lo abbandonarono nel maggio del 2000, ad eccezione dei 25 km quadrati dell’area Sheeba Farms, occupata illegalmente sino ad oggi.

Eppure Pearl insiste che “l’anti-Sionismo colpisce la parte più vulnerabile del popolo ebraico, ossia, la popolazione ebraica di Israele, la cui sicurezza fisica e dignità personale dipendono in misura cruciale dal mantenimento della sovranità di Israele. Brutalmente parlando, il “progetto” anti-Sionista di eliminare Israele condanna 5 milioni e mezzo di esseri umani, perlopiù rifugiati o figli di rifugiati, a trovarsi eternamente indifesi in una regione dove il disegno di un genocidio non è così insolito”.

Aggiunge poi che “la retorica anti-sionista mostra sofisticazione accademica e accettazione sociale in circoli estremisti però liberi di esprimersi. E’ anche una pugnalata alla schiena del partito della pace israeliano, e offre un’opportunità al piano nascosto di ogni Palestinese (per) l’eliminazione finale di Israele”.

Ecco dunque alcuni fatti travisati, distorti o sottaciuti da Pearl e da altri apologi di uguale pensiero:
-    non c’è mai stato, né c’è adesso, un “partito della pace israeliano”, come definito sopra;
-    la questione non è la sovranità di Israele. Esso esiste, è accettato, e gli anti-Sionisti non lo mettono in discussione. Inoltre, per lo meno dalla fine degli anni Ottanta, i leader palestinesi (compresi Arafat e Hamas) hanno mostrato buona volontà verso il riconoscimento. Ma Israele rigetta tutte le apertura in favore di una riconciliazione e della pace, tanto i media al comando, sionisti, non lo racconteranno;
-    I Palestinesi e gli altri popoli arabi non prendono di mira Israele, almeno dal 1973. In ogni caso, hanno il diritto di difendersi se attaccati, secondo quanto previsto dalla leggi internazionali;
-    Gli anti-Sionisti, come chi scrive, non hanno alcun piano né il desiderio di distruggere Israele, di ferire la sua gente, o di esporli a pericolo. Si pretende, tuttavia, che Israele si comporti e agisca secondo civiltà, che pratichi la democrazia meramente predicata, che osservi le leggi interne e quelle internazionali, e sia ritenuto pienamente responsabile quando non lo fa, inclusi i suoi leader per i crimini di guerra e contro l’umanità, in modo da dissuadere i prossimi a macchiarsi di simili violazioni.
-    Solo Israele minaccia i Palestinesi e gli altri Stati della regione, ivi compresi Libano, Siria e Iran. Tali nazioni, e nessun’altra, non minacciano Israele, ma ancora una volta i media ufficiali e la propaganda sionista diranno diversamente.
-    L’ideologia sionista è estremista, antidemocratica e carica d’odio. Rivendica il diritto ebraico alla supremazia, alla particolarità, all’unicità – il “popolo eletto” da Dio. Danneggia Ebrei e non-Ebrei allo stesso modo. Israel Shahak (1933 – 2001), che fu un erudito, un intellettuale, e un attivista dei diritti umani per tutta la vita, spiegò i pericoli dello sciovinismo ebraico, del fanatismo religioso, e la sua influenza sull’ordinamento americano.
Egli definì la nozione di auto-odio propria degli Ebrei “irragionevole”, e spiegò quando si possa definire qualcuno Ebreo:

… “se è ebrea sua madre, e sua nonna, e la sua bisnonna, e la sua trisnonna; o se la persona è convertita al Giudaismo secondo modalità ritenute soddisfacenti dalle autorità israeliane, e a condizione che la persona in questione non si sia convertita dal Giudaismo ad un’altra religione”. Secondo il Talmud e la legge rabbinica post-talmudica, “la conversione deve avvenire secondo un’opportuna procedura autorizzata da un rabbino”. Per le donne, essa implica una procedura bizzarra – “devono essere ispezionate da tre rabbini mentre giacciono nude in un ‘bagno di purificazione’” affinché venga confermata.

Shahak ha scritto lungamente sulle discriminazioni israeliane in favore degli Ebrei in molti aspetti della vita quotidiana, compresi quelli che egli ritiene i più importanti – “diritti di residenza, diritto al lavoro e all’uguaglianza davanti alla legge”.

L’ideologia sionista svilisce i non-Ebrei e gli nega uguali diritti all’interno di Israele. C’è tutto un ordinamento di leggi che lo garantisce – il fatto di discriminare legalmente i cittadini israeliani non-Ebrei, a motivo della loro religione, così come i Palestinesi nei Territori, un qualcosa che è inimmaginabile in tutti gli stati sviluppati e nella gran parte delle terre emerse.

Shahak afferma: “L’ovvio intento perseguito da queste misure discriminatorie è quello di ridurre il numero dei cittadini israeliani non-Ebrei in Israele (per affermare la propria esistenza come uno) Stato Ebraico”, decisamente ostile e mortificante nei confronti delle altre fedi.

Questo è il messaggio sionista ed il motivo per cui un crescente numero di Ebrei, insieme ad altri, si oppone ad esso. Sostenere il Sionismo è ripugnante, indifendibile, ed equivale a difendere il cancro, un male che finisce col distruggere chi lo ospita. Esso deve essere smascherato, denunciato, ed espulso una volta per tutte la corpo politico. Uno studio della CIA mostra l’alternativa – tra 20 anni, Israele non esisterà più, almeno nella forma presente.

L’Agenzia prevede “un inesorabile progredire, dalla soluzione a due Stati, verso quella ad uno Stato unico, modello più praticabile basato su principi democratici di piena eguaglianza per rifuggire il profilarsi dello spettro dell’apartheid di stampo coloniale, insieme alla concessione del ritorno dei profughi palestinesi del 1947/48 e del 1967. Quest’ultima come pre-condizione per una pace sostenibile nella regione”.

Secondo l’avvocato internazionale Franklin Lamb, “è scritto…prima o poi la storia rifiuterà l’impresa coloniale israeliana”.

Il documento prevede inoltre il ritorno di tutti i rifugiati palestinesi nella loro terra d’origine, e l’esodo di due milioni di Ebrei in America entro i prossimi 15 anni. Essi non ne possono più e vogliono andarsene. Il resoconto omette, o perlomeno non dichiara apertamente, che senza il raggiungimento di un’equa soluzione dell’annoso conflitto palestinese, Israele alla fine si auto-distruggerà. Le nazioni che vivono di spada, per essa muoiono, Israele non fa eccezione.

L’alternativa è la pace e la riconciliazione, cioè quello che Israele rifiuta categoricamente. Finché non cambia posizione, è la sua stessa esistenza ad essere a rischio. La storia insegna, ma Israele non vuole saperne di imparare.

Stephen Lendman, ricercatore associato presso il Centro di Ricerca sulla Globalizzazione. Vive a Chicago e può essere contattato a lendmanstephen@sbcglobal.net  Il suo blog è sjlendman.blogspot.com

Traduzione per EFFEDIEFFE.com a cura di Milena Spigaglia

Fonte >
Global Research

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