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Israele assedia Gaza. Pagata dalla UE
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Il blocco della fame continua, alla chetichella. Chris Davies, un parlamentare europeo (liberale britannico) che ha visitato Gaza pochi giorni fa, ha riferito (inascoltato) che dei 500-600 camion al giorno che sarebbero necessari per consentire la vita normale, Israele ne lascia passae ai valichi solo 130. Con  limitazioni ferocemente assurde: non solo vieta il passaggio di tutto ciò che per Tsahal può avere uso militare - dal cemento per la ricostruzione che può servire a fare bunker, ai tondini di ferro, ai metalli - ma anche quaderni scolastici, culle per neonati, sostanze per la purificazione dell’acqua, essenziali dopo che Israele, nei 22 giorni di feroci bombardamenti, ha distrutto la rete idrica e fognaria.

Ma non basta: Davies ha appreso che l’assedio è finanziato dall’Unione Europea, in modo tale da avvantaggiare del blocco le ditte israeliane che lo impongono nella pratica.

La Commissione Europea  proclama di inviare aiuti alla popolazione bombardata (1,5 milioni di persone) attraverso un programma denominato «Pegaso», cominciato l’anno scorso. Un programma cervellotico il cui scopo è politico: assicurare che nemmeno un euro arrivi ad Hamas - che l’Europa, su ingiunzione di Sion, non riconosce - e che tutto l’aiuto arrivi attraverso l’Autorità Palestinese, in modo da rafforzare il partito rivale di Hamas.

Ma siccome a Gaza l’Autorità Palestinese non esiste, di fatto la Commissione UE paga direttamente grandi società israeliane, perchè il denaro «non circoli attraverso una struttura palestinese», ha spiegato la portavoce delle relazioni estere alla Commissione, Christiane Hohmann (1).

Per esempio: la UE ha pagato nell’ultimo anno 97 milioni di euro per la fornitura di gasolio per produrre elettricità a Gaza per il funzionamento di scuole e ospedali. Ma l’ha fatto versando il denaro direttamente alla società «Dor Alon», israeliana; la società stessa che da quando Hamas ha vinto le elezioni nel 2006 ha razionato, spesso tagliato, sia le forniture di combustibile sia la elettricità. La Dor Alon - che dispone di una centrale fornitrice in tempi normali del 30% della elettricità a Gaza - ha ricevuto aiuti anche direttamente da Germania e Belgio.

Ma secondo «Women for Peace», una coraggiosa organizzazione israelo-palestinese, attorno all’assedio di Gaza s’è creato un business ebraico che profitta (coi soldi europei) dell’occupazione e dell’assedio.

«L’economia israeliana controlla l’accesso ai mercati palestinesi allo scopo di assicurare profitti a certe società israeliane», ha denunciato Merav Amir, una militante di Coalition of Women for Peace. Ed ha spiegato: dai tempi degli accordi di Oslo, tutti gli aiuti internazionali, anche quelli destinati all’Autorità Palestinese, vengono in realtà dati ad Israele perchè li distribuisca. E ovviamente Israele li distribuisce in modo da rafforzare il suo controllo su Gaza e sulla Cisgiordania (dove si presume governi l’Autorità), e regalare profitti ad aziende israeliane.

«Israele detiene grandi quantità di fondi che appartengono di diritto all’Autorità Palestinese», ha detto la Amir: «Con una parte di questi fondi, paga i fornitori onde mantenere la dipendenza dell’economia palestinese verso Israele. L’Unione Europea dovrebbe fare, ed è in grado, pressioni su Israele perchè cambi il modo in cui questi fondi circolano». Ma la UE non lo fa.

La Coalizione delle Donne per la Pace  ha postato anche un sito (www.whoprofits.org) che elenca le società profittatrici di guerra, ossia della condizione di dipendenza dei palestinesi assediati e occupati.

La Dor Alon viene al primo posto in questa lista. Appartiene alla Alon Group, che è una delle più importanti società di forniture di carburanti in Israele, padrona di una rete di stazioni di servizio e di catene di negozi («Alonit» e «AM:PM») che ha aperto negli insediamenti illegali ebraici in Cisgiordania. Rappresenta in Israele Chevron e Aral, e detiene il 50% dei bar «Segafredo» (guarda guarda) in Israele. Per Gaza, la Dor Alon provvede - quando vuole - alle forniture degli assediati in condizione di monopolio.

La Alon Group risulta proprietà di tre finanziarie: Kibbutzim (35%), Africa Israel (26%) e la Biesol col 39%.

La Biesol appartiene a due miliardari, la famiglia Biran e David Weissman detto «Dudi». Costui, un ex aviatore dell’Israeli Air Force, è presidente e amministratiore delegato della Alon Group. Inoltre, controlla la catena di supermercati «Blue Square» (la seconda rete di Israele, con oltre 170 punti vendita, il franchising di «Pizza Hut», una catena di cibi naturali Eden Nature,  e il 49% di Diners Club Israel).

E poichè l’affare dell’assedio di Gaza (con i soldi nostri) ha creato profitti niente male, dall’anno scorso la Alon ha deciso di allargarsi nei media: ha acquistato una radio israeliana (Lelo Hafsaka) insieme all’editoriale Azur (padrona del Jerusalem Post, dunque di Murdoch) e insieme stanno comprando lo Israel Post, un giornale gratuito in ebraico. Gli affari vanno tanto bene, che Alon si sta espandendo sui mercati europei: compra a man bassa beni fondiari, e cerca di entrare nel settore dei supermarket nostrani.

Per Coalition of Women for Peace, il gruppo Alon e Africa Israel fanno parte «delle imprese che forniscono beni o servizi ai palestinesi ad alto costo, sfruttando le restrizioni ai movimenti dei palestinesi, impossibilitati dunque a comprare i beni e servizi a prezzi competitivi, localmente o all’estero». Tali compagnie «usano le loro connessioni con le autorità israeliane» per mettere le mani sui fondi palestinesi «detenuti illegalmente da Israele».

Si tratta dei dazi sull’import-export palestinese e di tasse sulle vendite, di cui Israele è in teoria solo l’esattore; ma che si trattiene totalmente per Gaza (col pretesto che lì comanda Hamas), e quasi totalmente per la Cisgiordania, pagando direttamente le aziende israeliane fornitrici dei territori palestinesi. E facendoci la cresta.

Altre imprese sioniste profittano «sfruttando il lavoro dei palestinesi» in Cisgiordania «sotto condizioni di occupazione. La restrizione dei movimenti, e la dipendenza dai permessi di sicurezza (per passare da una località ad un’altra) restringono a questi lavoratori sia la scelta del lavoro, sia la possibilità di organizzazione sindacale. I lavoratori palestinesi non hanno alcuna tutela legale, e il diritto del lavoro non è applicato. Sono pagati con salari inferiori, costretti a straordinari non pagati,  impiegati in lavori pericolosi o privati di benefici sociali».

Altre aziende profittano dello sfruttamento delle risorse naturali palestinesi; altre ancora, sono nel business del controllo e della sorveglianza poliziesca. Quest’ultimo, un business particolarmenmte ghiotto, da quando il regime israeliano ha «privatizzato» la sorveglianza militare dei valichi. Fra quelle segnalate da whoprofit.org ci sono:

La finanziaria Shamrock - che appartiene  alla famiglia Disney - ed ha grosse partecipazioni in imprese profittatrici dell’occupazione, come la Teva Naot, Ahava Dead Sea Laboratories, e lo Orad Group .

Hewlett Packard, multinazionale Telecom, ha una sussidiaria in Israele, la EDS, che ha fornito controllori biometrici automatici ai valichi israeliani.

Group4Securicor, grossa ditta con azionisti inglesi e danesi, grande nome della «sicurezza e sorveglianza», non si è presentata a suo nome al concorso del ministero della Difesa per la «privatizzazione» dei controlli militari, forse perchè i suoi padroni europei temono la loro opinione pubblica. Ma lo ha fatto con la Hashmira, sua sussidiaria in Sion (di cui detiene il 70%), che ha fornito gli scanner per i bagagli a mano nei check-point della Cisgiordania.

La Heidelberg Cement, tedesca, ha acquisito nel 2007 il gigante cementifero britannico Hanson che ha quattro cementifici e cave in Cisgiordania, dunque profitta delle materie prime palestinesi a prezzi stracciati.

La Ackerstein Industries è tutta israeliana. E’ l’impresa che ha fornito e fornisce i potenti lastroni di cemento armato per il Muro, i blocchi di cemento e i denti di drago usati dai check-point (simboli visivi dell’occupazione), nonchè prefabbricati e tratti stradali per gli insediamenti illegali.

Abbiamo già detto della Dor Alon, la petrolifera, che la UE finanzia a nostra insaputa con milioni di euro perchè fornisca il combustibile a Gaza, e che negli ultimi tempi non lo fornisce affatto. Significativa la risposta dell’ufficio stampa a chi chiedeva lumi su questa interruzione da noi pagata: «La Dor Alon è una società privata che deve fare quello che gli chiede il ministero della Difesa. Quanto forniamo un giorno e quanto un altro, non sono affari vostri. Noi obbediamo agli ordini».

Chissà perchè, questa risposta non fu ritenuta una scusante per i nazisti processati a Norimberga e in numerosi processi posteriori.

La partecipazione del Gruppo Alon all’assedio che affama Gaza lo rende passibile (insieme al suo padrone Dudi Weissman) di una futura Norimberga per il Quarto Reich, in quanto l’interruzione dell’energia a una città di 1,5 milioni di abitanti configura la «punizione collettiva», crimine di guerra secondo la convenzione di Ginevra del 1949.

Quando sarà, anche certi esponenti europei dovranno rendere conto. Intanto teniamo presente la lista delle ditte profittatrici, come materiale per il futuro.

La Commissione Europea non pare preoccupata dei palestinesi. Ben altre cose le stanno a cuore:
la settimana scorsa, ha cercato di obbligare Francia e Grecia a coltivare il mais geneticamente modificato della Monsanto (Mon810).

Avete letto bene: «obbligare» (2).

La Francia aveva sospeso la coltivazione del mais Monsanto un anno fa e la Grecia nel 2006, dopo aver scoperto che questo mais aveva effetti di malformazione su insetti e micro-organismi, e che il suo polline poteva viaggiare anche per centinaia di chilometri (molto più lontano di quanto si pensasse prima) contaminando le coltivazioni naturali. La Francia aveva invocato la clausola di precauzione ed aveva revocato il permesso di seminare i Mon819.

Ebbene: attraverso una delle centinaia di «authorities» sconosciute al grande pubblico, in questo caso la EFSA (European Food Safety Authority), la Commissione ha tentato di convincere i 27 membri della UE (lì presenti come anonimi delegati) a obbligare Francia e Grecia ad obbedire alla Monsanto. Nove hanno votato come voleva la Commissione, ma 16 hanno votato contro o si sono astenuti.

Ma la sconfitta dei kommissari (pagati da Monsanto? La domanda è lecita) è solo temporanea. Ai primi di marzo la EFSA si riunirà di nuovo per occuparsi della nostra salute, e cercherà di obbligare anche Austria e Ungheria ad adottare le sementi modificate Monsanto.

Come vedete, quando vuole l’eurocrazia sa combattere per la libertà, e sa rendersi utile. Agli Shapiro e ai Weissman, utilissima.




1) David Cronin, «EU paying for Gaza blockade», 20 febbraio 2009.
2) «EU Foiled in Bid to Force France, Greece to Allow GM Crop», Agence France Presse,
16 febbraio 2009.


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