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Terribili problemi
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Un lettore mi scrive:

«Volevo sapere cosa ne pensa del rapporto fra il Cristianesimo, o meglio fra credere in Cristo e le altre religioni… secondo lei c’è un ‘progetto’ anche per buddisti, induisti, insomma gli altri credo storici soprattutto nel mondo asiatico (ed escludendo logicamente le cavolate delle sette di oggi), o la loro religione è sbagliata e la nostra è giusta, punto e basta???.... Mi pareva di ricordare che su un articolo, aveva scritto di non essere completamente contro all’idea del Nirvana... ma non vorrei dire stupidaggini».


Al lettore avevo già dato una risposta in breve. Ma adesso, ho sentito alla radio il teologo Vito Mancuso, e mi pare necessario dare una risposta ancora più breve, ancorchè con una spiegazione lunghissima.

La risposta breve è: caro lettore, non lo so.

E non lo so, perchè la domanda che poni colpisce il problema primario e terribile in cui si dibatte la Chiesa cattolica oggi.

Secondo Mancuso, questo è dovuto al Concilio Vaticano II, e alla sua «incompletezza» - ragion per cui il Mancuso chiede un Vaticano III.

Cento anni fa, al cristiano che poneva la sua domanda, la Chiesa rispondeva: le altre religioni sono false, inganni del demonio, punto e basta. Oggi la risposta è meno certa, perchè il Concilio, secondo Mancuso, «ha introdotto una svolta positiva nel rapporto tra cattolici e storia»; ci avrebbe insegnato «che la verità non è quella dei libri, ma quella che coincide con l’autenticità della vita, con l’esperienza di unità e fratellanza tra gli uomini, con l’onestà intellettuale verso se stessi che fa rifiutare antiche dottrine dogmatiche e morali che hanno perso ogni contatto vitale con l’evoluzione del mondo».

Su questo, in parte  mi pare che Mancuso abbia ragione. Se il Concilio, e soprattutto l’elaborazione post-conciliare che pare accettata dalla gerarchia, asseriscono oggi che l’ebraismo (che rifiuta Cristo) configura una via di salvezza ancor valida (ciò che è negato dai vangeli e da San Paolo), perchè non dovrebbero esserlo il buddismo, o l’Islam?

La Chiesa giudaizzante ha aperto la via a questa domanda: anche le altre fedi sono volute da Dio?

Come si vede, Mancuso pensa in termini «evoluzionisti». Dice: «Il mondo ha mutato la coscienza che ha di sé, e la Chiesa, che non ne ha ancora preso atto, non fa che contrapporre dei No al processo evolutivo della coscienza del mondo».

Anche qui, devo ammettere (magari con dispetto) che la prima parte è vera: «Il mondo ha mutato coscienza di sè», e non esclusi i cattolici, anche a causa del Concilio.

Devo ammettere che trovo questa «evoluzione» in me stesso. La mia «coscienza» è cambiata. Oggi, dopo tanti incontri anche profondi con altri popoli ed altre tradizioni, non mi sento assolutamente di affermare che generazioni di buddhisti hanno seguito una via che porta alla dannazione - dopo che da millenni pretendono, con austerità ed esercizi ascetici, di conquistare la liberazione da ogni condizione dell’aldiquà; nè che i musulmani credenti e seriamente praticanti non raggiungano la salvezza.

Posso dire solo che «non lo so», ed avere il più grande rispetto - in un mondo occidentale sempre più rinchiuso nell’aldiquà, e soddisfatto di essere pura zoologia - per chi prega, digiuna, fa l’elemosina, medita e dona in vista della Beatitudine. Anzi, ammiro chiunque rinnega se stesso per seguire un progetto invisibile, in cui nell’aldiquà non si guadagna nulla.

In questo, non sono d’accordo con gli amici tradizionalisti che scrivono su questo sito. Se Arai e don Curzio mi dicono che l’Islam è una religione falsa, e il buddismo del pari, non sono d’accordo. Non sono d’accordo con coloro che, anche molto dottrinalmente, si sforzano di dimostrare che Allah «non» il nostro Dio, o che il Nirvana è altra cosa dal Paradiso o dalla Salvazione cristiana. Non riesco a credere, in coscienza, alle loro dimostrazioni.

D’altra parte però, riconosco che hanno ragione, se obiettano: se anche altre religioni portano alla salvezza, perchè mai la Chiesa dovrebbe essere missionaria? «Andate e predicate questo Vangelo».  Anche Benedetto XVI ha detto che la Chiesa è essenzialmente missionaria. Ma per contro, la Chiesa già ci dice che non c’è bisogno di convertire gli ebrei (anche se il primo Papa, l’ebreo Cefas, e tutti i primi cristiani, convertivano ebrei a rischio della vita). Perchè dovremmo convertire i buddisti?

Ho già raccontato di un laico tibetano che vive in Italia, dove fabbrica statuine votive per il centro lamaista di Pomaia. Sua moglie ha avuto un parto difficilissimo; si sapeva che il neonato sarebbe nato gravemente malformato, e i medici italiani proposero l’aborto. Il tibetano e sua moglie hanno rifiutato; è un peccato imperdonabile, nel buddismo, uccidere un pesce, figurarsi un essere umano.

Ora hanno una bambina che non vede, non sente, è paralizzata, non dà segni d’intelligenza. La amano e la curano. Si dicono che quell’evento è dovuto a qualcosa che hanno fatto in una vita precedente; che scontano un cattivo karma, dei loro peccati che non ricordano. Mentre parlava, ho capito il suo dolore, il suo sforzo continuo per accettare la sua vita. Con gravi sacrifici, hanno portato la bambina a Benares, sul luogo dove Buddha ebbe l’illuminazione, perchè essa possa accumulare grazia in vista delle future rinascite. Il laico tibetano prega due ore al giorno, sempre per accumulare grazie per sua figlia, che nello stato in cui si trova non può provvedere alla sua liberazione.

Cosa dovevo dirgli, io cattolico con l’obbligo di essere missionario? Che sbagliava tutto? Che doveva convertirsi a Cristo?

Io sono sicuro che quello è più cristiano di me. E che Cristo è vicino a lui, a sua moglie e a sua figlia. E che io, dal tibetano, ho solo da imparare: ad essere cristiano. Probabilmente, io cristiano del XXI secolo nell’Occidente secolarizzato, avrei accettato l’aborto - per poi confessarmi, magari...

Meglio il tibetano lamaista che Vito Mancuso, meglio lui che Hans Kung. Anche se dò loro qualche ragione sulla «evoluzione della coscienza» (la mia, certo è cambiata).

Questi personaggi sono saltati fuori con più energia, e con il sostegno dei media, soprattutto per protestare contro la levata della scomunica ai «tradizionalisti» della Fraternità; si sono uniti al coro dei linciatori del vescovo Williamson, il «negazionista».

Ma non si fermano qui. Come fa notare l’amico Luigi Copertino, questi «vogliono imporre il loro ‘Vaticano III’ che, nelle loro intenzioni, dovrebbe essere quello dell’‘ermeneutica della discontinuità’ contro la ratzingheriana ‘ermeneutica della continuità’».

Ha ragione, Luigi. Quel Vito Mancuso - che insegna nella sedicente università teologica del ricco don Verzé, dunque interno al medium ecclesiastico - sulle colonne di Repubblica ha proposto il Vaticano III, per perfezionare il Vaticano II. Questo ha «introdotto una svolta positiva nel rapporto tra i cattolici e la storia»; il prossimo deve estendere la svolta al «rapporto con la natura: i documenti del magistero odierno non colgono la necessità di una nuova teologia della natura, e conseguentemente della vita e della morte degli uomini. Questo sarà il compito del Vaticano III, che ogni cattolico responsabile deve preparare dentro di sè».

«Nuova teologia della natura»? Che cos’è?

Alla radio, sentendolo, ho capito quel che vuol dire il Mancuso. Per lui, con il Concilio la Chiesa ha riconosciuto l’autonomia della storia e della politica rispetto alla fede cristiana. Ora deve fare un passo avanti, riconoscendo «l’autonomia» dell’uomo rispetto alla natura. Specie di quello contemporaneo, che è un essere vivente nel mondo creato dai suoi strumenti artificiali, e dunque ha «una coscienza evoluta» della natura - non più «destino» da accettare con pazienza, ma materia dominabile. Il tutto, inserito in un vasto elogio della «libertà».

E’ facile capire dove vuol andare a parare.

«La Chiesa non ha ancora metabolizzato nella sua dottrina l’esistenza e il valore della libertà, per essa (tanto più per un agostiniano come Benedetto XVI) la libertà e l’autonomia del mondo sono di per sé negative e per questo non riesce ad avere un rapporto positivo con la libertà degli uomini. Le polemiche sui gay, i “dico” e cose del genere dipendono da qui. Persino negli ideali migliori del mondo quali l’ecologia, la pace, il senso di fratellanza universale, vi sono ecclesiastici che vedono all’opera l’Anticristo, come ha detto il cardinale Biffi negli esercizi spirituali al Papa e alla curia romana».

Insomma, se comprendo bene, la «nuova teologia della natura» deve condurre alla benedizione delle nozze gay, ovviamente all’accettazione del divorzio, della contraccezione e dell’aborto. Siccome tutte queste cose sono oggi tecnicamente «possibili», e per di più richieste dal pubblico, è assurdo che la Chiesa veda in queste cose l’Anticristo. Il Vaticano III dovrebbe essere la rivoluzione ultima, e l’estrema apertura della Chiesa al mondo, finalmente tutta un «sì».

Qui, obietto alcune cose.

Anzitutto, che dove la Chiesa è stata più aperta al Concilio – in Olanda, in Francia, in Germania – la fede cristiana esiste ancor meno che da noi. Tanta apertura al mondo, tanto ecumenismo, ha coinciso con la desertificazione e l’apostasia di massa.

Di recente un saggista che stimo, John Laughland, è stato nella cattedrale di Orléans, splendore della fede gotica e centro della spiritualità regale, il luogo dove gli inglesi furono sconfitti dalle torme francesi guidate da Giovanna d’Arco, appunto detta «la pulzella di Orléans». E cosa ha visto, Laughland, oltre all’architettura splendida e perenne, edificata da antichi cristiani?

«Era come entrare in una morgue. Non c’era un’anima viva. Non c’erano clerici indaffarati, non una donna che accomodasse fiori; nessuno andava e veniva ad esercitarsi nel coro. Non c’era una Messa in corso, e nemmeno, pareva, in prospettiva. Gli altari laterali non erano evidentemente usati da decenni. I magnifici confessionali gotici s’impolveravano muti e freddi, il solo suono veniva da (...) un ridicolo CD che suonava di continuo il requiem di Verdi... Era facile immaginare la cattedrale, di qui a qualche decennio, in rovina, come tante altre cattedrali e monasteri in Europa. La scelta del requiem era, ovvio, sinistramente adatta. La cattedrale nel suo stato presente non è che un magnifico mausoleo alla defunta cultura cristiana».

Vero, purtroppo. Se è così in Francia, in Olanda davanti ai portoni delle cattedrali si parcheggiano le auto, tanto i portoni sono sbarrati definitivamente. La Chiesa tedesca ha 40 mila dipendenti stipendiati (quanti ne ha Volkswagen) - la Chiesa coincide quasi con i suoi dipendenti - e la pensano più o meno come Hans Kung. Difficile trovare gente più «conciliare» e più «ecumenica». Difficile distinguere un cattolico tedesco da un luterano tedesco.

Al proposito, ecco un altro lettore:

«… Mentre viaggiavo verso Milano, mi è capitato di ascoltare la trasmissione radiofonica ‘Culto evangelico’. (...) Un pastore del quale non ricordo il nome, ha ringraziato pubblicamente due personaggi recentemente balzati all’onore delle cronache: - quel giudice che si era rifiutato di entrare nell’aula di un tribunale perché vi era esposto un Crocifisso: non le sarà sfuggito, ma ricordo che è stato assolto - Beppino Englaro! Secondo il pastore, dobbiamo tutti essere riconoscenti a questi due personaggi, perché con le loro battaglie hanno posto tasselli fondamentali per la costituzione di un moderno stato laicista. Perdoni l’ingenuità e l’ignoranza, ma come può definirsi cristiano chi coltiva tali sentimenti e convinzioni?».

Quel che celebrava il pastore protestante, caro lettore, è appunto la compiuta «libertà e autonomia» del mondo rispetto alla fede voluta da Mancuso. Ma almeno, a forza di riconoscere l’autonomia, le chiese evangeliche sono affollate di fedeli? La gente le preferisce, queste «chiese» che Mancuso e Kung  indicano come traguardo «ecumenico» al Papa?

Peggio che andar di notte. Il protestantesimo è deserto peggio del cattolicesimo. Se  vive, vive nei pentecostalismi dei telepredicatori, nei messianismi dei «cristiani rinati» americani.

Eppure, il Papa ha ricevuto Hans Kung (che è un prete) in modo cordiale. Quanto al vescovo Williamson, la Chiesa ha avuto solo rimproveri e ingiunzioni di rinunciare alle sue opinioni... che non sono opinioni eretiche sul dogma, ma sull’entità della shoah ebraica.

E tutta la «libertà» di cui i progressisti di ogni genere si riempiono la bocca, consiste in questo: che per le sue idee laiche Williamson è stato espulso dall’Argentina, ed ora in Inghilterra nessun prelato lo vuole incardinare.

Su quel punto, nè Hans Kung nè Ratzinger (o chi per lui) riconoscono nessuna «autonomia» di giudizio. A quella fede, bisogna credere pubblicamente. Altrimenti si viene perseguitati, si resta senza patria, senza un luogo dove posare il capo, e senza Chiesa.

Ora già sento alcuni lettori: finisce sempre che Blondet critica il Papa. In modo più addolorato e profondo, me lo dice anche Luigi:

«Capisci il motivo per il quale ora, in questo momento, ogni avversione verso Benedetto XVI è deleteria, strategicamente distruttiva, portando acqua al mulino ‘martiniano’? Personalmente spero che la Fraternità Sacerdotale San Pio X continui nella strada intrapresa e che anche stimabili sacerdoti ed amici come don Curzio comprendano il pericolo del momento e le difficoltà del Papa. Vogliamo davvero che questi nemici di Cristo riescano ad imporre il loro ‘Vaticano III’ che, nelle loro intenzioni, dovrebbe essere quello dell’‘ermeneutica della discontinuità’ contro la ratzingheriana ‘ermeneutica della continuità’? Tutta l’operazione Williamson, come dimostra anche l’articolo di Mancuso e l’attivismo frenetico di Repubblica, è stata montata ad arte proprio per ‘detronizzare’ il Papa ‘reazionario’. E’ mai possibile che il mondo tradizionalista, o parte di esso, non lo comprenda e continui, proprio mentre il nemico assale con più veemenza di prima, in distinguo da rimandare invece ad un tempo meno burrascoso?».

Sì, lo capisco, lo capisco. Tragicamente lo capisco. Ma quelli dei tradizionalisti, temo, non sono  «dei distinguo» che si possano rimandare. Qui è il centro del problema, per cui il Papa è oggi in pericolo.

Lui insiste a dire che il Concilio va interpretato «in continuità» con la tradizione. Hans Kung, invece, dice esplicitamente nelle sue interviste che il Concilio ha segnato «la rottura» con la tradizione.

Fatto singolare, anche i tradizionalisti dicono che il concilio è stato la «rottura». E’ il solo punto su cui la Fraternità è d’accordo con Mancuso, Lefebvre con Hans Kung.

Ed è anche l’ambiguità su cui rischia il naufragio il papato di Benedetto XVI: credere che sia possibile alla Chiesa post-conciliare contenere insieme la Fraternità San Pio X e Mancuso, «continuità» e «rottura». Alla prima occasione, questa polarità si scontra.

Capisco che l’altra parte è più forte e più protetta, che ha amici e complici palesi ed occulti molto forti nel mondo, e che rischiano di affermare una «Chiesa di Martini». Ma io, in coscienza, non posso vivere nell’ambiguità di pensare che il Concilio è «continuità nella tradizione», non posso far finta di crederci.

Mancuso, alla radio, parlava con calma e serenità: si sentiva protetto, ma anche, credo, a suo modo, figlio della Chiesa che usava della libertà cristiana. Appunto per questo in questo sito diamo parola a persone stimabili, a don Curzio, anche se lui non è d’accordo con me sui buddhisti e musulmani: è il momento della disputa, ed è bene che si sentano chiare le voci di questi, visto che quelle degli altri hanno tanti canali.

Anche noi usiamo la libertà dei figli di Dio, cari lettori cattolici papisti. Si tratta di discussioni, e devono avvenire proprio adesso. Se quello di Williamson è scandalo, «oportet ut scandala eveniant».

Oltretutto, mi aiutano a chiarire a me stesso la mia posizione. Vedere quanto sono lontano agli uni, e vicino agli altri. Con una certa, imbarazzata solitudine. Misurando tutta la crisi della Chiesa, che è poi la mia.

Per esempio: sulla «nuova teologia della natura» caldeggiata da Mancuso, per istinto non mi faccio guidare dai pur ottimi tradizionalisti. La mia guida è il buddista tibetano con la figlia cieca, sorda, muta e paraplegica. Arai e don Curzio mi possono portare argomenti convincenti. Ma nessuno è più convincente del tibetano che vive la sua sciagura con quella mansuetudine eroica.

Provo a spiegarmi meglio: Mancuso ha recensito con lode il film di Olmi (cristiano «adulto») «I centochiodi», specie il dialogo del protagonista col vecchio monsignore: «Lei ama i suoi libri più degli uomini, ma Dio non parla coi libri». Il monsignore l’ammonisce di non bestemmiare e gli ricorda il giorno del giudizio. Lui risponde: «In quel giorno sarà Dio a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo». Il monsignore se ne va, non sa cosa replicare.

«Neppure la Chiesa lo sa» - incalza Mancuso - «la sua dottrina al riguardo è incerta, ci sono contraddizioni tra gli scritti di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, persino tra gli articoli del Catechismo. La voce dei preti trema quando si chiede loro perché, se Dio è amore e onnipotenza, vi è tanto dolore innocente».

E secondo lui, «La Chiesa non riesce a trovare una risposta soddisfacente al problema del male perché ha un’immagine del mondo antiquata e sbagliata, un mondo governato dall’alto dove l’autonomia e la libertà sono sinonimi di disobbedienza e peccato».

Il tibetano non si chiede continuamente - eppure ne ha motivo - perchè esiste il dolore innocente, che scandalizza noi cristiani (cristiani a metà). Non ha davanti a sè un Dio personale a cui «chiedere conto». Ha di fronte l’impersonale perfezione del mondo, con le sue leggi karmiche secondo cui ogni azione ha una conseguenza, e tutto ha una ragione ancorchè occultata.

E se gli si chiede: perchè hai avuto una bambina cieca sorda e muta?, non se la prende con Dio. Risponde: «E’ colpa mia».

Noi  cristiani adulti, evoluti (e anch’io), siamo invece pronti a dire: «In quel giorno sarà Dio a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo».

E’ spaventoso. Appena Dio si è fatto uomo, dando a noi cattolici il privilegio di parlarGli e di incontrarLo a tu per tu e perfino di mangiarLo, e siamo tutti lì a urlargli: «Perchè permetti la sofferenza? Perchè fai soffrire i bambini innocenti? Perchè ci fai soffrire?».

Ma non vedete che anche Lui è crocifisso? Che state chiedendo conto a un Suppliziato?

Egli può rispondere come il Cristo di Guareschi: «E a me lo dici, don Camillo?».

Ma non c’è niente da sorridere. In quella domanda c’è un cattivo spirito, uno spirito ipocrita e lubrico. Dostojevski tratteggia la figura di un alcolizzato, lussurioso, attratto da bambine, che ogni tanto proclama di non credere in Dio perchè «permette il male innocente», e per giunta «spreme una lacrimuccia».

Il mio tibetano non ha questo cattivo spirito. Dice: è colpa mia. Dice anche con la sua vita: ma la liberazione da ogni male è possibile, «esiste il guado». E mi insegna ad essere cristiano, e senza mettere alcun puntino dottrinale sulle «i».

Accade che, in questo tempo di crisi, nella misura in cui sono cristiano (misura scarsa) mi sento confermato, più che da Martini o da Hans Kung, ma anche più che dai tradizionalisti, dal buddista e dal buon mullah musulmano, che credono semplicemente - con una semplicità che a noi è negata.

Per la serenità del lettore che ha dato origine a questa lunghissima predica voglio ancora dire una cosa, anche a costo di allungarla ancora di più.

Il problema che si pone - se esiste salvezza nelle altre religioni - non è di oggi nel cristianesimo.

La evoca Dante nel Paradiso, Canto XIX. Egli è di fronte all’Aquila, ossia alla forma che prendono tutte le anime beate in quel cielo, e le pone la domanda che - dice - lo ha assillato tutta la vita:

«... Un uom nasce a la riva
de l’Indo, e quivi non è chi ragioni
di Cristo né chi legga né chi scriva;
e tutti suoi voleri e atti buoni
sono, quanto ragione umana vede,
sanza peccato in vita o in sermoni.
Muore non battezzato e sanza fede:
ov’è questa giustizia che ‘l condanna?
ov’è la colpa sua, se ei non crede?
».

Ecco, uno dice, le anime beate risponderanno. Finalmente, sapremo la verità. Invece, ecco la risposta:

«Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta d’una spanna?
(...)
Oh terreni animali! Oh menti grosse!
La prima volontà, ch’è da sé buona,
da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse
».

Ma poi, rabbonita, l’Aquila santa una risposta la dà, più o meno:

Stai certo, dice,

«A questo regno
non salì mai chi non credette ‘n Cristo,
né pria né poi ch’el si chiavasse al legno
».

Quando si  salva uno nato sull’Indo, è sempre attraverso Cristo che si salva. Egli ha salvato uomini anche «prima» della crocifissione. Un Cristo misterioso, il Logos, che non potete capire perchè supera tutto l’universo «in infinito eccesso» (Dio «non poté suo valor sì fare impresso/in tutto l’universo, che ‘l suo Verbo/ non rimanesse in infinito eccesso»). Sicchè la mente dell’uomo, come «‘ogne minor natura/ è corto recettacolo a quel bene/che non ha fine, e sé con sé misura».

Nessuno di noi riesce nemmeno a concepire l’infinita misericordia di Cristo; solo essa stessa è misura a se stessa, solo essa si conosce.

E poi l’Aquila  aggiunge: 

«Ma vedi: molti gridan ‘Cristo, Cristo!’,
che saranno in giudicio assai men prope (1)
a lui, che tal che non conosce Cristo;

e tai Cristian dannerà l’Etiòpe,
quando si partiranno i due collegi,
l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe.

Che poran dir li Perse a’ vostri regi,
come vedranno quel volume aperto
nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?
».

L’Etiope e il Persiano saranno più vicini, nell’ultimo giudizio, di tanti cristiani che predicano bene e razzolano male.

Nella crisi che tutti ci coinvolge, tra i dubbi di cui nessuno di noi è esente, questa umile certezza del mistero, caro lettore, sia sostegno ai suoi dubbi - ed ai miei.




1) «Prope» significa «vicino». Come più sotto, «inòpe» significa «povero», da latino inops. Dante è di difficile lettura; ma provate a leggerlo ad alta voce, si capisce più facilmente.



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