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Franceschini, il demagogo
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Tutti i media progressisti sono contenti: col il nuovo capo Franceschini, il PD ha finalmente detto «qualcosa di sinistra». Anzi, qualcosa «di concreto». La concretezza sarebbe questa: Franceschini ha «sfidato» il governo a «dare un assegno ai disoccupati».

Bella concretezza: un assegno (quanto?) ai disoccupati (quanti? Chi sono? Quanti diventeranno, se c’è da prendere «un assegno»?). Già Andrea Monorchio, per 40 anni Ragioniere Generale dello Stato, ha provato a dare concretezza alla «sfida» di Franceschini: «Se si stimasse in 10.000 euro annue l’indennità di disoccupazione, il maggior esborso di spesa pubblica ammonterebbe a 24 miliardi. Si sfonderebbe così ulteriormente il tetto al disavanzo pubblico, pur per quanto si voglia flessibile, previsto dai vincoli di Maastricht. Per non vendere illusioni occorrono interventi generosi ma mirati e selettivi».

24 miliardi. Mettiamo la cifra in prospettiva. La maggior voce di spesa dello Stato è costituita dagli interessi sul debito pubblico: oltre 70 miliardi l’anno, che paghiamo con le nostre tasse. La concreta proposta di Franceschini consiste dunque nell’accrescere di un terzo il disavanzo pubblico.

Niente paura, i soldi si trovano: «Basta far pagare i più ricchi», dice Enrico Letta - facciamo notare, un ex democristo come Franceschini, eredi conclamati di quelli che ci hanno regalato uno dei disavanzi pubblici più alti del mondo. Solo che la parola «ricchi» non è tanto concreta. Chi sono i veri ricchi, in Italia? Franceschini (o Letta, fa lo stesso) tirano fuori confusamente di «mettere una patrimoniale»: in concreto, di tassare le case di proprietà, che sono così poco tassate. Poi tirano fuori «la lotta all’evasione». La valutano in 230 miliardi, un terzo della spesa pubblica.

Solo che, in concreto, sono 30 anni che la sinistra di governo proclama «lotte all’evasione», e non riesce a mettere le mani su questo fantastico Eldorado, che risolverebbe tutti i nostri problemi. E di questo fallimento, la sinistra fa il suo cavallo di battaglia moralistico: colpire i nemici interni,  punire i sabotatori... vecchio discorso sovietoide.

Non dicono mai, i giornali progressisti, che tanta invincibile evasione - dopo 30 anni di «lotta» - non accusa la supposta immoralità degli evasori, ma la inefficienza delle istituzioni responsabili del prelievo. Cercano l’evasione nei posti sbagliati. Le eroiche fiamme gialle fanno incursioni fiscali fittissime nelle fabbrichette del Nord-Est boccheggianti. Ma da quando abito nel centro-Italia, vedo benissimo che l’evasione è tutta nel centro-sud. Qui, le tasse non le paga nessuno, i pagamenti (gli affitti ad esempio) avvengono tutti in contanti, figurarsi nel Meridione. Ma provate a fare irruzioni della Finanza a Napoli o a Bari o in Sicilia, vedrete la rivolta. Meglio al Nord, è più comodo. E si può sempre agitare l’argomento moralistico, alibi della incompetenza e della malafede della Casta - la Casta pubblica inadempiente, che è il bacino elettorale della «sinistra».

Chi sono i veri ricchi, oggi? Ricchi nel pieno della crisi che sbatte sulla strada centinaia di migliaia di lavoratori? Chi prende oggi 18 mila euro mensili, o 22 mila se è deputato europoide? Chi sono i «dirigenti» che beccano 300-400 mila euro annui, senza obbligo di competenza ed efficienza?

Chiedete alla signora Spitz, la moglie di Follini (altro democristo), che come direttrice del Demanio si prende i 300 mila euro. Chiedete ai vari grand commis, a Draghi e ai fattorini di Bankitalia, ai magistrati tutti destinati a percepire stipendi da presidente di Cassazione.

Quelli sono i veri ricchi, quelli i tranquilli, i protetti da ogni competizione internazionale.

E invece, ecco che Livia Turco (un’altra mezzo-democristia) fa passare un emendamento «vivamente sollecitato dalla lobby dei primari», scrive La Stampa che «contiene una serie di deroghe per consentire a molti dirigenti (statali) e professori di continuare a lavorare», ossia a prendere i 400 mila annui, con tutta l’anzianità che accumulano  per «riscatto della laurea, assenze per maternità, aspettative».

Per esempio Gioacchino Genchi, il mago delle intercettazioni, è un vice-questore in aspettativa (sindacale!) da 10 anni, e ne ha solo 49. Matura l’anzianità, mentre si è messo in proprio per lavorare coi magistrati incapaci di condurre indagini. Ditemi voi quale dipendente privato può restare in aspettativa per 10 anni, mantenendo il diritto al posto e il computo di quell’assenza per l’anzianità pensionistica e l’avanzamento di carriera e stipendio.

Eccoli, i ricchi: nell’Italia dei precari, ecco i veri privilegiati.

Ma la sinistra è contenta perchè ha finalmente trovato in Franceschini il demagogo dei suoi sogni. L’eversore, il sobillatore dei suoi desideri.

L’avevamo già visto alla prova. Ricorderete la rivolta dei clandestini a Lampedusa, fuggiti in massa dal centro di raccolta, hanno incendiato la palazzina principale da 400 posti letto, causando a noi contribuenti danni per milioni, e per di più sostenuti dal sindaco con fascia tricolore, per non parlare di parroci e vescovi. Allora - era il 24 gennaio o giù di lì - mi sono stupito: ma come, questi tunisini, marocchini e africani sono appena arrivati, e già hanno capito tutto dell’Italia? Già hanno capito che da noi si può «protestare» bruciando e invadendo, occupando autostrade e binari, senza essere mitragliati dalla polizia come accadrebbe al Pese loro? Anzi suscitando la solidarietà organizzata di metà della «politica» e della «Caritas»?

Ma poi ho capito: non avevano imparato da soli, gliel’avevano insegnato con un corso accelerato.

Il 22 gennaio, a Lampedusa s’era presentata una delegazione capeggiata da Franceschini. Che poi aveva indetto una conferenza stampa: «E’una vergogna. C’è una chiara violazione di legge. Ci troviamo di fronte ad una grave violazione dei più elementari diritti dell’ uomo per una precisa scelta politica, anzi, per una scelta di furore ideologico da parte dell’attuale ministro dell’interno».

Insomma, il 22 arriva Franceschini, e il 24 i clandestini inscenano la più classica rivolta all’italiana. Secondo me, li ha sobillati lui. A noi tocca pagare per la palazzina bruciata e i 400 letti sostituiti (io li avrei lasciati dormire nella palazzina bruciata, chè imparassero le conseguenze dei loro  atti, ma lo stato italiota-Caritas è più compassionevole).

Ciò ci insegna che Franceschini è un eversore senza scrupoli. E molto pericoloso, dato che esercita la sua demagogia irresponsabile nel pieno di una crisi economica epocale, che non ha soluzioni facili - e forse non ha alcuna soluzione.
Perchè pericoloso? Perchè Franceschini fa appello al perenne ventre barbaro dell’Italia, al sedimento di inciviltà invincibile della popolazione, ignorante delle condizioni dell’economia globale, e ipnotizzata dalle soluzioni facilistiche.

Lo si è visto qualche sera fa dal solito Santoro. Un operaio di Pomigliano con l’orecchino esigeva da Tremonti, seduta stante, che «il governo» obbligasse la Fiat a portare le lavorazioni dalla Polonia a Pomigliano, per dar lavoro agli operai napoletani anzichè ai polacchi. Senza rendersene minimamente conto, l’operaio con l’orecchino superava ogni dibattito anti-global o sui pro e contro del protezionismo, per evocare uno Sato fascio-sovietico a scopi assistenziali, totalmente autarchico, capace di dare ordini alla Fiat (se mai è il contrario), in modo che una fabbrica producesse auto che nessuno comprerà per «sostenere l’occupazione». Uno Sato impossibile, coi vincoli europei, globali e debitori che ci troviamo. Quel che colpiva era la simpatia che i presenti - che dovevano saperne di più mostravano per le tesi dell’operaio di Pomigliano. Poverino!

Altrimenti «non gli resta che arruolarsi nella criminalità organizzata» (chissà perchè, questo salto logico viene facile a Napoli: datemi un lavoro, altrimenti devo andà a «rubbà». Del resto, i metalmeccanici di Pomigliano hanno già bloccato l’autostrada per far pesare la loro «protesta» con un atto eversivo).

Naturalmente, Tremonti s’è difeso male. Stretto fra l’ordine di ottimismo di Berlusconi e la coscienza che la crisi ha una complessità inarrivabile per un talk show, non ha saputo dire che se il governo facesse una sola delle cose pretese dall’operaio con orecchino, sarebbe multato dalla UE, espulso dal WTO, bollato come Stato-paria dal consorzio mondiale, e costretto a pagare sul nostro torreggiante debito pubblico interessi ancora più esosi, ammesso poi che qualcuno li compri, i nostri BOT. Che persino Obama ha dovuto rimangiarsi l’invito a «comprare americano». Che la Toyota, la prima del mondo, che fa auto migliori della Fiat, ha ridotto la produzione del 39%, la Nissan del 54%, la Honda del 33%, e che il Giappone intero ha visto calare l’export del 46%.

La Fiat di Pomigliano, dove dovrebbe vendere le sue mediocri macchine, ottenute con lavoratori pagati il doppio dei suoi polacchi? All’estero? Ma se la produzione industriale è calata del 12% in Germania, dell’11% in Francia, del 30% in Giappone, del 15% in Brasile e in Spagna, del 19% in Corea, del 43% nella prospera Taiwan, a chi vendere cosa?

La miseria avanza per tutti, e a passi da gigante. Si tenga presente che nel 1931, la produzione industriale europea calò del 5,1%, oggi, rapidissima, del 15%. Oltretutto allora il sistema bancario non pesava il quadruplo del PIL tedesco, o il 900% del PIL irlandese. Allora potevano essere insolventi le aziende, ma oggi rischiano la bancarotta a catena gli Stati, anche i più forti, gravati da quella follia bancaria, resi impotenti da essa. E agli Stati, si chiede adesso di frenare anche la disoccupazione che dilagherà entro sei mesi, nel mondo occidentale, a 50 milioni.

Ma l’operaio di Pomigliano non lo sa, e conta di ottenere quel che vuole occupando autostrade. Tra i presenti della serata-Santoro però c’era chi doveva saperne di più, sindacalista, politico o imprenditore. Nessuno si è sentito di evocare all’operaio occupa-strade i nostri «vincoli internazionali», la cessione di sovranità che ci lega le mani e ci fa dipendere da obbligate soluzioni concordate in Europa, anzi nel mondo. Di colpo, europeisti, globalisti e liberisti erano lì ad annuire, come se quella fantasia alla Pomigliano di uno Stato totalitario-dirigista-sovietico-caritativo, dispensatore di posti superflui per prodotti invendibili, fosse possibile. Come se quella rabbia minacciosa del «popolo» pronto alla rivolta tipo clandestini (spacco tutto, così imparate), fosse una cosa da incoraggiare.

Nemmeno Tremonti è stato in grado di ricordare quel che aveva detto pochi giorni prima: che ci sono 100 miliardi di euro stanziati dal 1989 ad oggi «per lo sviluppo del Mezzogiorno», e non spesi dalle Regioni, per mancanza di idee (salvo quella di arraffarli in mazzette, autobù ed emolumenti da 500 mila euro agli assessori siciliani); e che il governo può sbloccarli anche domani, se qualche regione tra fuori uno straccio di progetto su come spenderli «per lo sviluppo».

No, è più facile favoleggiare dei 230 miliardi di evasione fiscale, sognare l’Eldorado lì a portata di mano - basta punire «gli evasori». Il moralismo punitivo e invidioso a sostituire la competenza mancante.

Il giorno dopo, a RAI3, sento un romagnolo sbavare di rabbia contro il «governo» che non si occupa del «ceto medio», e fa il caso di sua sorella: tre adulti, villetta, terreno, ma ora uno è licenziato e «allora finiamo in miseria», «il governo deve occuparsi del ceto medio che va indietro».

Il commentatore radiofonico simpatizza. E non gli viene in mente di rispondere che questo «ceto medio» con villetta, terreno e lavori per tre persone (oggi due) ha abbastanza grasso per non dovere sùbito, con rabbia, intimare al «governo» di occuparsi di lui. Magari può vendere il terreno, ipotecare la villetta? Magari s’è adagiato in false sicurezze e a una vita da redditiere, questo ceto medio emiliano? Magari può chieder conto alla Regione così ben governata, anzichè sùbito al «governo»?

Ma no, si simpatizza. Vescovi invocano «il lavoro» per Pomigliano - tanto a loro non costa niente - e capeggiano cortei di piazza, come il sindaco di Lampedusa capeggiava la protesta dei clandestini e, insieme, dei lampedusani stufi dei clandestini: cosa possibile solo in Italia. Nemico degli uni e degli altri, «il governo». Da cui ci si aspetta peraltro tutto, anche l’onnipotenza.

E’ questa pancia retriva, questo statalismo primordiale impossibilmente coniugato con particolarismi minimi, cieco alla visione del quadro complessivo, che pretende dirigismo e anarchismo insieme, che sta per scoppiare, a causa della crisi economica mondiale, come «rivolta sociale» italiota: ossia in forma di blocchi di ferrovie, jacqueries senza testa, pretese senza disegno, tumulti per il pane alla Manzoni («Il pane rincara? Diamo fuoco ai forni!»).

Franceschini fa appello a questa pancia, la sobilla. Non ha un progetto complessivo per il Paese; il suo movente è di restare segretario della maceria chiamata PD, di cui è segretario per caso, superando in demagogismo Bersani. Pro domo sua, come l’operaio di Pomigliano - con la differenza che i suoi 18 mila euro mensili non sono a rischio, e non gli costa niente sobillare le masse ignoranti, disperate e particolariste alla eversione.



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Le esposizioni delle banche europee verso i Paesi dell’Est sull’orlo della bancarotta. Si rende conto Franceschini di qual è la situazione?



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