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In mano alla euro-pirlocrazia
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Magari non sapete chi è Angel Gurria. Sappiate che è un messicano, ex ministro, ovviamente membro del Bilderberg, oggi cooptato come segretario generale dell’OCSE, il gruppo transnazionale che sorveglia altri Paesi (come la Russia) facendo loro l’esame del sangue quanto a «democrazia» e «mercato».

Ebbene: questo Angel Gurria ha dichiarato che la BCE – Banca Centrale Europea – potrà aumentare i suoi interventi «via via che ci sarà più disciplina» nei Paesi dell’Unione Europea. Dichiarazione istruttiva, perchè pone alcune domande:

1) La Banca Centrale Europea, così gelosa della sua indipendenza dai governi europei e in generale da ogni potere politico, prende ordine da un messicano? Dall’OCSE? Angel Gurria può prendere impegni a nome e per conto di Mario Draghi?

2) Mario Monti, con la sua manovra tutta-tasse e tutta-regali ai banchieri (la garanzia di Stato sui crediti dubbi, l’intensificazione dei pagamenti elettronici da cui le banche estraggono commissioni) sta obbedendo ad Angel Gurria, cercando di dimostrargli che l’Italia si impone «via via più disciplina», ossia più austerità e stretta di cinghia? Oltrechè, beninteso, la cessione di sovranità sul nostro proprio bilancio, che dovrà essere giudicato da Bruxelles prima di essere approvato dal parlamento italiano? Insomma, siamo governati dal messicano servo degli yanquis?

3) In cambio di cosa, questa austerità e stretta di cinghia dei cittadini (e non delle caste nè delle banche)? In cambio di una vaga promessa del messicano Gurria, che la BCE potrà aumentare i suoi «interventi»: senza però specificare la natura di questi interventi. Eurobonds no, perchè la Germania non vuole. Quantitative easing nemmeno, perchè come si sa ciò è vietato dal regolamento della BCE.

Il bello è che non è vero. Sì, l’articolo 123 del trattato di Lisbona (grazie, Gianfranco Fini, per avercelo cucinato) vieta alla BCE di comprare i titoli di debito pubblico degli Stati.

Ma la sacra dottrina delle BCE ha un altro pilastro: in nome della stabilità monetaria, essa deve mantenere la moneta M3 (il circolante e liquidità nella sua più vasta accezione) in crescita del 4.5%. (You are all wrong, printing money can halt Europe's crisis)

Ora, nei Paesi periferici, la liquidità circolante è tragicamente collassata in questi mesi – più precisamente, da quando a luglio Trichet ha rincarato il costo del denaro per debellare un’inflazione che non esisteva – facendo precipitare Italia, Spagna e ora anche Francia sull’orlo della deflazione. Aggravando cioè la crisi. Le banche non prestano, dunque il denaro (che esse creano indebitando il prossimo) è scarso. Dunque, i consumatori non spendono. Dunque le imprese falliscono, licenziano, aggravando la recessione in depressione. È così che funziona la deflazione. È così che la crisi del 1929 diventò il disastro mondiale del decennio seguente. Quando la guerra – il solo metodo conosciuto per vincere la deflazione – pose il suo rimedio alla crisi deflattiva.

Qui sotto, si vede il crollo della liquidità nel sistema economico italiano. La tabella è della Banca d’Italia. Spagna, Irlanda, Belgio, Portogallo e Grecia, non stanno meglio.


Di fronte a questa tabella, qualunque banchiere centrale in possesso dei suoi poteri normali e delle sue normali facoltà mentali, si affretterebbe a stampare moneta, per iniettare liquidità nell’economia in caduta. Magari con il vecchio e collaudato metodo delle «open market operations», ossia comprando titoli di Stato sul mercato secondario e in Borsa.

La BCE può farlo legalmente, non fosse che per riportare l’aumento della massa monetaria in Europa alla crescita, ritenuta fisiologica, del 4,5% annuo. Non lo fa, perchè un solo Stato – la Germania – esige che l’inflazione interna resti al 2%. Anche la Francia infatti soffre di una notevole fuga di capitali stranieri (sui 100 miliardi di euro) dunque di restrizioni monetarie che la mettono in condizioni di deflazione. (Bank of France debts jump tenfold on capital flight)

Non lo fa, perchè il messicano Angel Gurria vuol prima vedere «prove di disciplina» nel Club Med. La dottrina dominante, infatti, ritiene che gli Stati nazionali (quelli a cui la dottrina ha tolto ogni potere) debbano mettere prima a posto i loro conti, a forza di austerità. Ma costringere all’austerità in sincronia i due terzi dei Paesi dell’euro, con strette fiscali e monetarie simultanee, non porterà che alla recessione, da qui alla depressione, e poi alla deflazione. Una situazione che il collasso a novembre degli ordinativi delle piccole medio industrie europee, già mostra inevitabile.

Poichè la deflazione produce un aggravio ai debitori (al contrario dell’inflazione, che diluisce il debito) la deflazione significa la rovina immediata per uno Stato che ha il 120% di debito sul PIL, una moneta che gli taglia le gambe in competitività, le famiglie che non ricevono i mutui, dunque un mercato immobiliare bloccato e svalutato, e le imprese che non hanno fidi, e sempre meno clienti.

Indovinate il nome di questo Stato, e poi telegrafatelo a Monti, l’euro-pirlocrate.

E a Mario Draghi, l’altro mega-pirlocrate. Quello che potrebbe, senza violare nessun sacro trattato, risolvere immediatamente la crisi d’insolvenza di Italia e Spagna aumentando la liquidità. E che già vìola le sacre norme, ma nel modo più torbido e inefficace, comprando i titoli degli Stati in difficoltà in misure ridicolmente insufficienti.

Naturalmente, ciò significa che l’Italia cadrà in default come la Grecia, ma trascinando con sè non solo l’euro e le banche europee, ma l’intero complesso bancario collegato, ossia anche inglesi, svizzeri e scandinavi. Un sistema di 31 trilioni di euro. Ben gli starà, ai pirlocrati. Ma il fatto è che essi moriranno solo «dopo» di noi. Dopo averci succhiato l’ultima goccia di sangue nelle loro austerità e rigori; inutilmente perchè il default è inevitabile.

Nouriel Roubini, che non è un pirlocrate e non ha mai sbagliato una nera previsione, oggi consiglia l’Italia di auto-ridursi il debito pubblico di un bel 30%, portandolo dal 120 % del PIL a un più maneggevole 90%. E spiega anche come si può fare senza provocare troppo gravi disastri bancari.

Rimando al suo articolo da noi tradotto > Il debito italiano deve essere ristrutturato.

Roubini fa anche il conto del costo del metodo-Monti; precisamente del costo con cui Monti potrebbe ottenere lo stesso risultato (riduzione del debito pubblico al 90% del PIL a forza di tasse). Dovrebbe imporre una patrimoniale di 450 miliardi di euro, il 30% del PIL. E anche se la rateizzasse in dieci anni, Monti otterrebbe un prelievo del 3% del PIL aggiuntivo a tutte le tasse e i balzelli già gravanti su di noi, più che abbastanza per inabissarci in una depressione – depressione che renderebbe il servizio del debito ancor più impossibile.

Roubini, nel suo articolo, butta là anche una notazione interessante. Che è la risposta a tutti i bempensanti i quali strillano che, se l’Italia ripudia il debito, «nessuno ci farà pù credito», nessuno straniero comprerà più i nostri BOT.

La frase di Roubini è:

«Dal momento che lItalia gode di un piccolo avanzo primario, una ristruturazione del debito sarebbe fattibile anche senza un finanziamento ufficiale estero significativo».

Insomma, possiamo sopportare le difficotà di finanziamento che seguirebbero al ripudio. In cambio di cosa?

Qui soccorre una tabella del colosso finanziario giapponese Nomura. Contrariamente ai nostri pirlocrati, che dichiarano di stare salvando l’euro, la Nomura si pone la questione: cosa succederà se e quando l’euro si spaccherà, e gli Stati dell’euro-zona torneranno alle loro valute nazionali?


(CLICCARE PER INGRANDIRE)
La neo-lira italiana si svaluterebbe del 27,3% rispetto all’euro – e ancor più rispetto al neo-marco tedesco. Sarebbe una benedizione per il nostro export. Non altrettanto per la Germania, che vedrebbe rincarare all’export i suoi prodotti, rispetti ai prodotti simili italiani, del 28,6%. La Grecia, con la dracma svalutata del 60% sull’euro, vedrebbe un’invasione tedesca: più esattamente, di turisti tedeschi con pinne, fucile ed occhiali. E gommoni al traino delle Mercedes.

Ma la tabella dice altre cose interessanti. Anzitutto, anche i Paesi-satelliti della Germania, i primi della classe (Olanda, Austria, Finlandia, e non parliamo della Francia) subirebbero svalutazioni. È la conferma dello squilibrio strutturale (misalignment) che la moneta unica, forzosamente imposta, ha portato all’eurozona disattivando i normali meccanismi di flessibilità del regime di cambi, per troppi anni.

Dimostra anche ciò che gli euro-pirlocrati, i grandi omogeneizzatori, non sanno riconoscere: quelle «nazioni» di cui negano l’esistenza e che dichiarano «superate», esistono pur sempre, ciascuna con i suoi vizi, le sue virtù – e i suoi ritmi. Solo un illuminismo demenziale – l’illuminismo giacobino dei plutocrati – può negare questa realtà.

Nomura l’ha vista e la sta soppesando. Ma noi obbediamo al messicano Angel Gurria. Il signor Barroso ha appena dichiarato che l’eurocrazia dovrà «rendere i parlamenti nazionali più coscienti delle regole europee». Cioè austerità sincronizzata per salvare l’euro, ammazzando gli europei.

Questi euro-pirlocrati sono pure arroganti!


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