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Blair senza vita devota
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Fresco fresco di «conversione», già Tony Blair – dalla rivista gay «Attitude» – invita pubblicamente la Chiesa a «cambiare atteggiamento» verso gli omosessuali (1). Il suo argomento è che, «se si fa un sondaggio in una qualsiasi chiesa cattolica in una qualsiasi domenica», la gente risulta più «evoluta» e più «liberale» della gerarchia.

Superato lo sconforto per tanta banalità, sorgono alcune domande. La prima: perchè Blair non è rimasto anglicano? La chiesa della regina è sovraffollata di arcivescovi non solo evoluti ed aperti ai sondaggi, ma dichiaratamente omosessuali e favorevoli ad unire i gay in santo matrimonio.

La seconda: un tempo, quando un adulto chiedeva di entrare nella Chiesa cattolica, veniva in qualche modo esaminato e preparato; c’è stato qualche prete che abbia preparato Blair alla fede cattolica e ai suoi impegni?

Ma d’altro canto, Blair con questa uscita – amplificata con delizia dai media – si rivela un perfetto cattolico post-conciliare: ossia mentalmente vacuo, e moralmente crepuscolare.

Secondo lui, essere cristiani è (se la frase vi sembra intorcinata, non è colpa mia) «un atteggiamento mentale dove il concetto di evoluzione degli atteggiamenti diventi parte dell’approccio alla propria fede religiosa», ossia un’adesione alla «evoluzione» di quel che via via è politicamente corretto ed accettato nei «sondaggi».

Aggiunge che sui gay «la gente parla di compassione e solidarietà. Sarei sorpreso se dicesse che ha a che vedere con il ritenere che l’omosessualità sia sbagliata», e qui il suo fraseggiare vacuo è addirittura contraddittorio: se la gente tributa agli omosessuali «compassione e solidarietà», è proprio perchè nel fondo ritiene l’omosessualità «sbagliata». Compassione si esprime per un malato, per la sua infermità; solidarietà, per una sciagura, in ogni caso per qualcosa di «sbagliato» o manchevole.

Ma nel cattolico Blair c’è qualcosa di peggio che la vacuità e la confusione mentale, ed è il rovesciamento della sensibilità morale. Blair è stato capo di un governo che ha lanciato il suo Paese nella inutile guerra in Iraq, è dunque colpevole di migliaia di morti non necessari, di infinite rovine e dei 4,7 milioni di profughi iracheni tuttora impossibilitati a tornare alle loro case, costretti a vivere nella miseria e nella paura in Siria e altrove.

Oggi, è capo del «Quartetto» che dovrebbe sistemare la questione palestinese, e in questa veste ha assistito senza fiatare (e senza dimettersi) allo sterminio di 1.500 civili per metà bambini, ad infinite atrocità gratuite, e alla messa alla fame di un milione e mezzo di esseri umani. E tuttavia, la sua coscienza cristiana non è scossa da questi eccidi; invece, trova intollerabile «l’atteggiamento della Chiesa verso i gay».

Qui, non serve chiedersi che razza di «cattolico» sia Blair. Meglio che cominciamo a chiederci quanti di noi sono «cattolici» allo stesso modo: ossia quanti di noi prendono per «morale cristiana» quella dettata dalle propagande e dai media, dal politicamente corretto e dalle mode, ed hanno sostituito la loro coscienza personale di credenti con i «valori» e gli sdegni dettati dall’atmosfera collettiva.

Quella moralità per cui, per esempio, è peccato evadere le tasse e fumare, o dire «negro» anzichè «afro-americano», o «invertito» anzichè «gay», ma non trattare da terroristi tutti i musulmani e ritenere che, in fondo, quelli di Gaza se lo sono meritato. Quella stessa morale, per cui si crede che la sensualità nelle sue varie forme sia un fatto «privato», in cui la Chiesa non ha da impicciarsi.

Com’è potuto avvenire questa sostituzione, questo trapianto delle nostre coscienze con la «coscienza» collettiva dettata dai tempi? Qualcosa ci è mancato ad un certo punto, come cristiani, se quel vuoto è stato riempito da tanto fuffa politicamente corretta. Come mai abbiamo sostituito la ricerca della carità con la cosiddetta «etica», e dovunque vediamo problemi «etici» anzichè di redenzione, di salvezza o dannazione? Che cosa ci è mancato?

Ciò che ci manca – scopro in un articolo rivelatore apparso sulla rivista «Sì sì, no no» – si chiama «la vita devota» (2). L’espressione è così strana, che probabilmente i più giovani non l’hanno mai sentita. Ma la vita devota era, per così dire, lo yoga cristiano; l’insieme delle pratiche interiori e private (orazione mentale, meditazioni, mortificazioni, digiuni, esame di coscienza) con cui un cristiano laico «si teneva in contatto giornaliero col sovrannaturale, le cui grazie, necessarie alla salvezza della sua anima, erano continuamente impetrate».

Proprio così. C’erano dei metodi accertati e graduali per ricevere la grazia, che venivano consigliati ed insegnati anche ai laici. La stessa espressione «vita devota» viene da un manuale scritto da San Francesco di Sales nel 1609, la «Filotea», dove il santo insegnava ad una fittizia dama dell’alta società (Filotea, «amante di Dio») ad acquistare, anche nelle cure e negli impegni del «mondo», la «agilità spirituale con cui (...) operiamo la carità prontamente e con trasporto». Era un testo progressista vero, anzi rivoluzionario, in tempi in cui si riteneva che chi avesse voluto farsi santo, avrebbe dovuto farsi frate o suora e ritirarsi dal «mondo»; Francesco di Sales ricordava che è possibile e doveroso anche ai laici crescere asceticamente, e insegnava come, secondo un «metodo». Ve n’erano altri, quasi uno per ogni gruppo laicale. Erano corsi di formazione alla «vita interiore», al rapporto personale con Dio che doveva diventare colloquio.

Tutto prendeva origine dalla Messa; dove il sacerdote, e noi con lui, offre al Padre il figlio, la sola Vittima sanguinante a Lui gradita, innocente senza macchia. A un simile sacrifico non si assiste come pali; vi si partecipa, cercando di essere degni in purezza alla vittima e diventare – negli estremi eroici della santità – altri Cristi, abbracciare come Lui la croce. Ciò comportava uno sforzo privato e costante; la custodia dello sguardo, degli impulsi e delle parole come «culto interiore», e ciò era possibile con pratiche di pietà interne, che dovevano continuare finito il sacrificio liturgico.

Lo facciamo? Quanti lo fanno ancora? Quanti capiscono che essere cattolici non è un fatto di «etica», ma di obbedienza amorosa e personale al  Padre che frequentiamo ogni giorno, al Figlio di cui ci nutriamo, allo Sprito di cui dobbiamo ascoltare gli intimi consigli?

Apprendo che negli anni ’20 già alcuni teologi e prelati «progressisti» sostenevano che queste pie pratiche private (che loro chiamavano, con lieve dispregio, «soggettive») non dovessero più essere consigliate; che la vita cristiana dovesse consistere solo nelle «pratiche liturgiche e nel culto pubblico». Era già una forma di giudaismo di ritorno; anche per i farisei e i rabbini la religione si riduce al culto pubblico, esterno e formale.

Pio XII, questo grande Pontefice che dovette turare da solo tante falle che si aprivano nella Chiesa, contro questa tendenza scrisse un’enciclica, la «Mediator Dei» (20 novembre 1947), dove ricorda che se «l’opera di redenzione» è «in sè indipendente dalla nostra volontà», essa però richiede «l’intimo sforzo dell’anima nostra perchè possiamo conseguire l’eterna salvezza».

Si noti che qui non si parla di «etica», ma di «eterna salvezza». Perchè se Dio non c’è, non c’è etica che tenga, e conviene essere, secondo i gusti, omosessuali o adulteri, ladri mentitori e violenti, insomma «godersela» se si può; ma se Dio c’è, non credano i lussuriosi e i fornicatori di entrare nel Regno dei cieli, come dice San Paolo; e non già perchè lassù facciano l’esame di morale, ma perchè lassù si entra solo se si è diventati ontologicamente della natura della vittima, alter Christus.

Papa Pio XII consigliava caldamente nell’enciclica «gli esercizi di pietà non strettamente liturgici», e ne dava un elenco non esaustivo: «La meditazione di argomenti spirituali, l’esame di coscienza, i ritiri spirituali (...) la visita al santissimo Sacramento, le preghiere particolari in onore della Beata Vergine tra le quali eccelle il Rosario».

Queste pratiche private «scoprono i pericoli della vita spirituale, ci spronano all’acquisto delle virtù e aumentano il fervore... La genuina pietà (...) ha bisogno della meditazione delle realtà soprannaturali e delle pratiche spirituali perchè si alimenti, stimoli e ci animi alla perfezione».

Questi esercizi preparano alle «condizioni necessarie» e interiori senza le quali «nessuno può ricevere validamente un Sacramento»: con ciò, il Papa rispondeva direttamente a coloro che sostenevano che il culto esterno, la partecipazione alla Messa e magari alla Comunione, bastasse «ex opere operato».

Come tanti allarmi lanciati in anticipo dal grande Papa, anche questo è caduto nel dimenticatoio. Non so quanti, anche buoni cristiani, mantengano una forte vita interiore (parlo anche per me). Certo è che il Concilio, nel decreto Optatam Totius sulla formazione dei seminaristi, si raccomanda che la loro formazione «non consista solo in questi esercizi (privati)... Imparino piuttosto a vivere secondo il Vangelo, a radicarsi nella fede, speranza e carità». E’ in quel «piuttosto», quell’«imparino piuttosto» (discant potius), l’insidia: crea una contrapposizione tra la vita devota interiore e «vivere il Vangelo» – come se quella non fosse già questo – e incitano ad una «prassi» senza orazione, senza devozione, senza esame di coscienza, senza visite al Sacramento, senza Rosario.

Magari esagera,«Sì sì no no». Ma c’è da chiedersi se da questo vuoto di esercizi interiori non derivi lo scadimento della Confessione: l’impossibilità di trovare un prete in attesa nel confessionale, e tante confessioni imperfette e malfatte (parlo anche per me) dopo le quali si prende la Comunione «senza le necessarie condizioni», in un culto pubblico-spettacolo con chitarre, tutto esterno, dove il momento «liturgico» che più entusiasma i fedeli è la stretta di mani che segue all’invito «scambiatevi un segno di pace».

Mi domando se non sia per questo, che non si sente più il bisogno di una direzione spirituale, nè si trova un sacerdote capace o dsponibile a fare il direttore spirituale. O se è per questo che i «Papa boys» accorrono in entusiasmanti raduni, passano nottate nei sacchi a pelo in attesa del Papa, e poi lasciano parecchi preservativi usati durante quest’attesa: non è il segno di una «religione» che non viene più sentita come impegno personale, ma esterno, e magari panico-sentimentale?

Il sentimentalismo – «solidarietà verso i gay», ad esempio – sembra aver sostituito la carità ascetica; brutta sostituzione, perchè il sentimentalismo spinge ad atti generosi («aiutiamo i terremotati!») e, ugualmente, ad ammazzare la fidanzata che ti vuol lasciare.

Temo che il «cattolicesimo» di Blair sia – come in tanti di noi – della stessa lega e con la stessa falla: la mancanza di vita interiore, la non coltivata urgenza della propria salvezza o dannazione eterna. Le «conversioni» diventano vacue, se si tratta di passare da un rito esterno ad un altro un po' diverso. Senza abnegazione ed offerta di sè (la prima carità), senza vita devota, il cattolicesimo diventa una vaga «identità» o una «ideologia» (3), un’«etica» dove – come dice Blair – l’imperativo categorico diventa l’accettazione della «evoluzione degli atteggiamenti», assunta addirittura come «parte dell’approccio alla propria fede religiosa»; con la conclusione della pretesa che la Chiesa decreti che l’omosessualità «non è per niente sbagliata»; non solo da trattare con compassione, ma da approvare come tendenza «naturale», perchè così detta l’aria che tira, e basta vedere i sondaggi.



1) Da un giornale: «Il cattolico Tony Blair auspica un ripensamento della Chiesa sul tema dell'omosessualità. Intervistato dal magazine gay "Attitude", l'ex premier britannico parla della necessità di adottare: "un atteggiamento mentale dove il ripensamento e il concetto di evoluzione degli atteggiamenti diventi parte dell'approccio alla propria fede religiosa". "Vi sono molte cose grandi e belle che fa la Chiesa cattolica, e vi sono molte cose fantastiche per le quali si batte il Papa, ma quello che è interessante e che se si va in una chiesa cattolica particolarmente frequentata, in una qualsiasi domenica, e si fa un sondaggio nella congregazione si rimane sorpresi di quanto la gente sia di mente liberale", afferma Blair, convertito al cattolicesimo dopo aver lasciato la guida del governo. "Ritengo che su molte questioni i leader della Chiesa e la Chiesa siano in completo accordo - ha proseguito Blair - ma penso che su alcune di queste questioni, se si chiede alle congregazioni, penso che vedrete che i fedeli non basano la loro fede su questo tipo di atteggiamenti arroccati". Se si chiede alla gente su cosa si basa la loro fede, ha proseguito l'ex premier, la gente parla di "compassione, solidarietà. Sarei sorpreso - ha aggiunto - se dicesse che ha a che vedere con il ritenere che l'omossessualità sia sbagliata».
2) P.P. «La crisi della vita devota e le responsabilità del Concilio», Sì Si, No no, 15 febbraio 2009.
3) Qui hanno trovato il loro spazio i neocon, o i loro emuli italiani detti «atei devoti». Per i quali un ritorno al cristianesimo è strumentale, la fornitura di «basi etiche» all’Occidente liberale e liberista in piena degradazione morale. Marcello Pera, nel suo ultimo saggio «Perchè dobbiamo dirci cristiani», afferma: «se vogliamo godere delle libertà liberali, dobbiamo essere cristiani». Ma naturalmente aggiunge: «non si tratta di conversione», ma di «coltivare» principi, una tradizione e una cultura che forniscano «le basi etiche» al liberalismo. «Non è necessario che i liberali siano cristiani (nel senso di aver fede nel Dio incarnato). ma è sufficiente che lo siano nel secondo senso» (per cultura). Per Pera, beninteso, «il pensiero religioso di Kant è il cristianesimo più genuino», insieme alla «Riforma» protestante. Purtroppo, il libro di Pera reca una prefazione di Benedetto XVI che elogia il tutto: «Ella analizza l’essenza del liberalismo (...) mostrando che all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio. Il liberalismo (...) può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare con quella cristiana, che gli è congenere». Proprio le battaglie liberali per l’aborto legale, l’eutanasia e i «diritti» dei gay mostrano quanto poco il liberalismo sia «congenere» alla fede nel Dio incarnato. Ma tant’è, se il cristianesimo si riduce a ideologia senza interiorità personale, allora può allearsi agli occidentalisti filo-americani in funzione anti-islamica, il comune «nemico». E la liturgia comune sarà quella dell’unica religione pubblica e obbligatoria rimasta: la sacra visita a Yad Vashem.



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