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Indagine sul post-concilio
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Dopo la modernità Maria De Filippi dopo il modernismo la tradizione

Il rombante motore degli abbassamenti mentali accompagnò il fruscio dei vescovi aggiornanti. Umiliata da scaccini imporporati, la ragione fu respinta negli imperiosi anfratti del vietato vietare. La fede di sempre strisciò sotto i fulmini di teologi sussurranti. L’assordante chiacchiera intanto straripò. La giustizia fu sequestrata dai banchieri politicanti e dai servili vù inizia?.

La cultura ultimamente vive in un’arena riservata alle papesse della futilità e ai lanciatori di pronostici malauguranti. L’uomo massa oscilla tra il raggelante sorriso di Maria De Filippi, l’apocalittico ecologismo di RAI3 e i lugubri filosofemi di Massimo Cacciari.

Fine della cristianità italiana? Certamente fine della scuola di Bologna e di Todi. Le montagne della nuova teologia hanno partorito topolini della taglia di Mario Monti e Andrea Riccardi.  Karl Rahner ruggiva sotto il sole della novità conciliare. I discepoli dell’avventurosa teologia squittiscono sotto i rottami della modernità. I cardinali Carlo Maria Martini e Gianfranco Ravasi pretendevano di modernizzare il cattolicesimo e hanno finito per inventare personaggi interessanti solo per il caricaturista Maurizio Crozza. La ridicolaggine dei cattolici progressisti, il loro balbettante circiterismo (la fulminante definizione è di Romano Ameri) rianima i credenti in cammino nel deserto.

Naturalmente l’attenzione dei media è ancora puntata su quella specie di triangolo delle Bermuda che ha per ipotenusa la gongolante fatuità delle televisioni e per cateti il de-creazionismo di Cacciari l’ecumenismo alla Nutella del cardinale Ravasi. Se non che Kierkegaard ha stabilito che il vero nome dei giornalisti è notturnisti: testimoni della mondanità allergica, come i pipistrelli, alla luce del giorno.

L’ingloriosa notte della modernità è peraltro alla fine. Ai notturnisti non rimane che la incensante contemplazione del nichilismo, ultimamente personificato delle sagome oscure dei banchieri sodomiti, dei drogati, dei suicidi in Svizzera, delle dive da talk-show, delle ciccione e dei nani politicanti tra Parigi e Berlino, dei filosofi estenuati dal continuo lancio di malauguri, dei calciatori in perpetua manfrina, degli stalinisti affranti dalla sconsigliata vecchiaia.

Tramonto della modernità, tramonto del modernismo. Gli scolarchi di Bologna non sanno che la parola fine corre fra le righe dei loro sgangherati componimenti. La fede vede la fine del deserto, il declinante modernismo conosce solo la danza perpetua intorno al vuoto heideggeriano-rahneriano.

Nei primi anni Ottanta, Tommaso Romano, per qualificare le temerarie riflessioni di una ristretta e sparuta comunità di tradizionalisti, inventò un titolo orgoglioso e preveggente: Dopo la modernità la tradizione. Oggi si può dire senza timore di smentita che dopo Hegel, Marx e Heidegger la modernità è desolatamente rappresentata da Maria De Filippi e dalle comparse del Grande fratello, mentre il pensiero tradizionale eleva e fortifica l'intelletto delle nuove generazioni.

  
Nati dopo il Concilio Vaticano II sono gli autori (Lorenzo Bertocchi, Francesco Agnoli Matteo D'Amico, Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro, Luisella Scrosati e Cristina Siccardi) del volume dedicato alle Sentinelle nel post-concilio e pubblicato da Cantagalli, editore anticonformista nella rossa Siena.

I testimoni della fede, che ha attraversato indenne il fumo modernistico penetrato nella teologia cattolica sono Eugenio Corti, Romano Amerio, Giovannino Guareschi, San Pio da Pietralcina, padre Tomas Tyn, don Divo Barsotti, padre Cornelio Fabro, cardinale Giuseppe Siri, monsignor Brunero Gherardini, monsignor Marcel Lefebvre. Si tratta di autori detestati e condannati dai poteri forti e sconsigliati dai teologi infurianti nelle parrocchie. Autori di opere di non facile accesso, data l’azione degli arcigni inquisitori, che sorvegliano i banchi delle librerie e le terze pagine dei quotidiani.

Nonostante il contrario vento della storia e l’ostilità dei teologi rampanti, la generazione postconciliare ha espresso una folta e robusta scuola di pensiero. Una comunità capace di violare i divieti del potere culturale, esangue e tuttavia capace di sferrare devastanti colpi di coda. Ora la vivacità della giovane scolastica si manifesta nell’attitudine, comune a tutti gli autori del volume in questione, di cogliere l’essenziale nell’opera monumentale e complessa degli autori esaminati.

Bertocchi, ad esempio, sceglie una frase tratta dalla prefazione a Iota unum di Romano Amerio per definire il pensiero di don Barsotti, strenuo antagonista della scuola bolognese di Giuseppe Dossetti e Giuseppe Alberigo: «Io vedo il progresso della Chiesa a partire da qui, dal ritorno alla Santa Verità alla base di ogni atto».

Di Marcel Lefebvre, Cristina Siccardi rammenta una sentenza oggi quanto mai attuale: «La corruzione dei pensieri è ben peggiore della corruzione dei costumi. È per questo che il dovere più pressante dei vostri pastori, che devono insegnarvi la Verità, è quello di diagnosticarvi le malattie dello spirito che sono gli errori».

Di Brunero Gherardini, Luisella Scrosati rammenta il dolore sofferto a causa del falso ecumenismo «una specie di caravanserraglio, dove le varie denominazioni cristiane sassestano pacificamente per tutelare il loro immobilismo confessionale, mascherato da lemmi autogiustificativi: unità nella molteplicità, arricchimento comune, unità non uniformità, consenso differenziato».

Di Cornelio Fabro, il più originale filosofo del XX secolo, Luisella Scrosati rammenta l’onestà intellettuale e il coraggio che lo avviarono a una lettura non elusiva ma non servile (quale fu la lettura di Karl Rahner) di Heidegger: «Fabro poté affrontare le grandi sfide del pensiero contemporaneo… Suscitò in lui potente seduzione la grande questione posta da Martin Heidegger: la filosofia è caduta in un oblio dellessere. ... Il pensiero filosofico si è dimenticato dellessere per rivolgersi allessenza, scollando così la filosofia dalla realtà concreta, che è ben più ricca di quanto possa essere rinchiuso nellessenza».

Senza perdersi nei meandri dell’esistenzialismo heideggeriano, Fabro riuscì a scendere nella profondità della filosofia di San Tommaso, svelando i nuovi orizzonti del pensiero cattolico.

Di San Pio da Pietralcina, Gnocchi e Palmaro rammentano la strenua difesa della liturgia tradizionale, un aspetto della vita del grande santo che è messo in ombra dai francescani festanti nelle giornate di Assisi.

Dell'opera di Amerio, Matteo D'Amico sottolinea la penetrante analisi del rapporto tra il disordine ecclesiale dilagante nel post-concilio e le equivocità o anfibologie del Concilio stesso. I testi giustificano la strenua resistenza che è stata opposta ai modernizzatori dal cardinale Giuseppe Siri, resistenza che è oggi continuata da Brunero Gherardini e dai continuatori di Marcel Lefebvre.

Il libro si raccomanda quale breviario di una storia censurata ma destinata al futuro già negato ai progressisti e sul punto di essere negato ai modernizzatori del Cattolicesimo.

Piero Vassallo




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