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Schettino e noi
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«Buongiorno Direttore,

posso permettermi di esprimere un parere nettamente controccorrente in merito a quanto in oggetto
? In relazione al quale, inutile dirlo, apprezzerei una sua parola di commento.

Mi riferisco al classico e canonico approccio manicheo dell
opinione pubblica italiana che, (forse perchè ne conosco direttamente gli effetti...), mi ha quasi da subito irritato e infastidito...

Ora
, pare evidente anche ai non addetti ai lavori che il Comandante Schettino abbia commesso un atto grave, molto grave; quella che, fosse andato tutto liscio, poteva essere considerata una pesante leggerezza (e scusate lossimoro!), si tramuta senzaltro in qualcosa di tragico e tremendo, con la perdita di vite umane prima di tutto, e con un disastro di tipo economico che senza dubbio avrà riflessi molto gravi, in un periodo peraltro dove leconomia non gira propriamente a pieno ritmo...

Le posizioni sono state nette sin da subito
: il Bene da una parte (il Comandante della Guardia Costiera di Livorno), il Male da quellaltra (il Comandante Schettino appunto). Agli italiani piace ragionare così, senza troppi sforzi intellettuali... E allora ecco che, come in epoche storiche neppure tanto lontane, quando si identifica il Male Assoluto diventa subito uno sport nazionale quello di sparare sulle Croce Rossa’... e quindi via di insulti, battute, derisioni... Già aspetto con ansia i noti comici nostrani elaborare qualche pezzo spassoso su Schettino che abbandona la nave etc...

Bene
: scusatemi ma non riesco ad accodarmi a questa ondata di pensiero unico... Detto, e ripetuto, della esecrabile manovra da bullo di paese che pare ormai accertato è stata effettuata, fatico a condannare senza appello il comportamento del Comandante successivo allevento... O meglio, ovvio che (con buona pace di Brecht) mai come in questi tempi si sente il bisogno di eroi e si sarebbe ammirato e esaltato un Comandante in plancia, che affonda con la sua nave... Quando però sento il coro di critiche dallitaliano medio, quello dell8 settembre per intenderci, quello che se vede una donna aggredita per strada, nel dubbio cambia direzione... beh non riesco a stare zitto! Quanti di noi si sarebbero comportati in modo differente? In tutta onestà, se mi guardo allo specchio, non so cosa avrei fatto al posto del Comandante! Sicuramente, conoscendo il mio carattere, non mi sarei messo in quella situazione, quello senzaltro; avrei evitato ogni manovra eclatante! Ma se mi ci fossi trovato avrei fatto leroe? Mah... non lo so, di sicuro non ne ho la certezza!

E poi
: va bene che il Capitano deve abbandonare la nave per ultimo, ma quando di grazia sarebbe stato lecito abbandonarla? La mia è una domanda, priva di ogni polemica, proprio perchè non ne conosco la risposta! (sarebbe bello che qualche giornalista avesse approfondito questo aspetto in questi 4 giorni dallincidente); alle 3 di notte? Alle 5? oppure oggi, visto che non si sa ancora se ci sono persone/corpi sulla nave?

E
, per finire, che ora diventi eroe nazionale il Comandante della Guardia Costiera che, col sederino bello al caldo, accende il registratore e intima con voce stentorea comandi perentori... beh mi pare davvero troppo!

Questo è tutto
; grazie per l’ospitalità e per i vostri commenti.

Roberto
»



«L’Italia ha bisogno di farsi un esame di coscienza»: così ho pensato fin dai primi notiziari sul naufragio della Costa Concordia; naufragio delittuoso e idiota, epitome dell’incompetenza, incapacità di comando, faciloneria e viltà che gli stranieri godono di attribuire agli italiani.

Ahimè, ecco qui a cosa s’è ridotto l’esame di coscienza: alle solite due tifoserie pro e contro, facilone incompetenti e vili la loro parte. Alle serate di Bruno Vespa ed altri talk-show televisivi, «processi del lunedì» applicati al gravissimo tragico delitto che tutti ci infanga. Con questa ulteriore tendenza – anch’essa sintomo collettivo ben noto – che traspare dalla sua lettera: una voglia di simpatizzare, di esprimere solidarietà e manica larga per lo Schettino perchè «in fondo, è come tutti noi», e antipatia per l’ufficiale De Falco che gli dava «comandi perentori».

Perchè non è vero, caro lettore, che lei esprime un parere controcorrente. Al contrario, è un parere della corrente: anche molti giornalisti (Luca Telese ad esempio) hanno preso questo atteggiamento di «comprensione» per l’imperdonabile comandante, antipatia per il De Falco. Anche il vescovo che ha celebrato la Messa al Giglio per i morti che il comandante ha ammazzato ha parlato di «linciaggio mediatico». Anche Niki Vendola, la kulandra delle Puglie con l’orecchino, s’è messo a deplorare i media linciatori. Una gran voglia, se non di assolvere, di trovare circostanze attenuanti; non era il solo a decidere, cos’ha fatto la compagnia di navigazione, eccetera.

E qui, ad uno della mia età, cascano le braccia. Ciò che è successo, è la conseguenza del fenomeno storico che ho descritto in Selvaggi col telefonino, un insieme di saggi facili facili sulla de-civilizzazione italiana. Partivo dalla nozione (espressa da Walther Rathenau) della «invasione verticale dei barbari»: ogni società è continuamente invasa dai «barbari» che sono i suoi figli stessi, la generazione dei neonati. Questi sono barbari senza colpa; non sanno nulla della civiltà in cui hanno avuto la sorte di nascere. È la società degli adulti, la società storicamente formata, a dover civilizzare questi innocenti barbari, istruirli ed educarli, per renderli cittadini adeguati a una civiltà estremamente complessa, artificiale, ed ai valori (spesso inespressi) che la fanno esistere, migliorare e progredire.

Quando una società rinuncia a civilizzare questi barbari che nascono al suo interno, magari per malinteso buon cuore, non riesce più a «trasmettere il progresso». Accade che questi barbari, innocui a cinque anni d’età, diventino quarantenni restando barbari. Anzi, selvaggi (1) col telefonino: selvaggi che vivono nella cultura credendo che essa sia «natura». Che godono dei beni artificialissimi, frutto di studi e sforzi degli antenati, che questa civiltà mette a loro disposizione, come se nascessero sugli alberi: come se i telefonini fossero banane, e le istituzioni che danno loro la libertà e tante possibilità di essere, fossero mele selvatiche. Questo genere di selvaggi, dicevo, non si sente impegnato a mantenere la civiltà di cui tanto gode; non si sente responsabile, per la sua parte, del suo mantenimento e del suo miglioramento. Non prova alcuna gratitudine per gli sforzi, le lacrime e il sangue degli antenati che gli hanno dato un numero infinito di beni materiali e anche giuridici, spirituali. Crede che la civiltà durerà comunque, per quanto lui la consumi e la devasti, come la foresta primigenia dell’Eden.

Ebbene: dal naufragio della Costa, abbiamo avuto la prova provata che ormai la generazione dei barbari mal civilizzati, superficialmente educati, è – letteralmente – al timone. Il comandante Schettino è il selvaggio al timone. Selvaggio col telefonino; anzi con l’eco-scandaglio, con radar, GPS ed apparati tecnici sopraffini escogitati per rendere sicura la navigazione, e che nonostante questi è riuscito a fare il naufragio più cretino e demente della storia; per boria cialtrona, per fare colpo sulla moldava 25enne che ha introdotto in plancia di comando, violando una mezza dozzina di regole e doveri marinari.

Devo ricordare da dove vengono questi attrezzi tecnici, radar, scandagli radio-trasmittenti, posizionatori satellitari? Per millenni, la navigazione è stata l’attività umana più pericolosa. Ancora pochi secoli fa, 35 navi su cento sparivano in tempeste, o con le chiglie tagliate da barriere coralline sconosciute, equipaggi morivano di scorbuto o di malaria; o anche per manovre sbagliate, errori di valutazione incolpevoli, in epoche in cui nessuna radio trasmetteva le previsioni del tempo, nè si sapeva veramente calcolare la longitudine, nè esistevano mappe. Equipaggi e navi finivano nel nulla e nella morte senza poter lanciare un allarme, senza alcuna speranza di soccorso. La loro fine era semplicemente indovinata, con mesi di ritardo, quando non ricomparivano nei porti d’arrivo. O di partenza.

Lacrime e sangue, coraggio e volontà, hanno creato con sforzo scientifico e dolore umano quegli strumenti sofisticati di cui la Costa era dotata in tanta abbondanza. Le stesse lacrime e sangue hanno creato i valori spirituali del mare: il linguaggio marinaro che non ammette equivoci (quando s’hanno da fare manovre istantanee), la disciplina militare a bordo, e la superiorità gerarchica assoluta del «comandante»: l’arbitro ultimo delle vita e dello scafo affidatigli doveva essere anche obbedito senza esitazione nè riserve mentali. Perchè era anche l’ultimo ed unico responsabile. Una responsabilità schiacciante, che nel pericolo estremo ne faceva il rappresentante di Dio, e che formava ogni fibra della sua personalità. La sua solitudine consapevole, la prontezza alla morte, gli conferivano persino un passo, un volto diverso, quando era a bordo.

L’impomatato Schettino non aveva evidentemente alcuna nozione di questa storia, di questo dolore, di queste vittorie sulla morte, del coraggio e delle solitudini lontane dalle famiglie e dagli affetti, che conferiscono legittimamente il titolo di «Comandante». Il Selvaggio non conosce la storia; se sa usare lo scandaglio, lo schifa perchè «passo di qui ogni mese, io so cosa fare», e riceve donne in plancia, ed usa il telefonino per cazzeggiare con chissà chi, e riesce a produrre uno squarcio di 70 metri. E a scappare per primo.

È
così evidente: abbiamo al timone gente che non abbiamo civilizzato. Per questo la vena assolutoria che lei, come tanti altri, hanno dimostrato verso il personaggio (il suo paese, nel Sorrentino, lo ha accolto addirittura come un eroe, o una vittima) non è di buona lega.

Lei chiede: «Quanti di noi si sarebbero comportati in modo differente?». Giusto, ma nè io nè lei ci candidiamo a comandare una nave con otto ponti e 4.000 persone a bordo. Per comandare una nave, la qualità del coraggio, del pensare prima ai passeggeri, del prendersi le proprie responsabilità, vanno ritenute uno stretto dovere professionale. La sua domanda presume che un uomo qualunque, come lei ed io, possa coprire qualunque incarico. Presume anche che il carattere, la forza di volontà, il senso di responsabilità siano innati: uno ce li ha o non ce li ha. Invece no: carattere, spirito di sacrificio, abnegazione, si imparano. E persino si insegnano. Negli istituti nautici, se non si insegnano più, è una tragedia di cui dobbiamo accorgerci.

Perchè in Italia non ci sono più istituzioni dove si insegna la responsabilità, il coraggio, la forza del carattere. Non più la scuola, sempre più facilitata. Non l’università, preda di baroni e precari parassitari. Non il servizio militare – ultima spiaggia educativa – che è stato abolito. Per contro, abbiamo continuamente davanti agli occhi realtà e persone che promuovono, fanno propaganda e si vantano dei vizi contrari: codardia e furberia, superficialità e disonestà, mancanza di carattere e voglia di seguire i propri impulsi primari, sono il pane quotidiano che ci viene servito dalla politica e dalla TV, dai politici, nani, trans e ballerine.

Giuseppe De Rita (del Censis) ha scritto nel suo ultimo, sconsolato saggio sociologico, questa verità: l’Italia ha una «classe media», ma non una classe dirigente. La classe media del dopoguerra non ha avuto questa ambizione, ed ora – per un giusto contrappasso – decade anche come medietà, si avvia alla proletarizzazione. Giovanni Gentile, come ministro della Pubblica Istruzione, creò il liceo classico proprio come fucina di formazione di una classe dirigente. Da gran tempo il classico è stato formato e riformato a tal punto, da non rappresentare più uno sforzo, una selezione, nulla. Lo stesso è avvenuto nelle altre scuole. Lo stesso negli apparati militari dove, per la ragione che costituivano la difesa ultima dello Stato, a prezzo della vita – doveva restare qualche briciola di serietà educativa. Macchè, anche lì abbiamo la Folgore trasformata in mercenari a 4 mila euro mensili per le operazioni speciali, e i generali che ordinano Maserati come auto di servizio...

Questo è un Paese che è andato in vacanza. In vacanza dalla storia e dalla scena del mondo. In vacanza da se stesso. Per questo mi addolora ma non stupisce quel che lei dice del comandante della Guardia Costiera di Livorno: «Col sederino al caldo, dava ordini stentorei». La capisco, un Paese in vacanza da se stesso prova fastidio davanti a chi gli ricorda i suoi doveri, persino i doveri professionali più elementari. Trova che lui ha «il sedere al caldo», che per lui è facile... De Falco aveva il sedere al caldo, ma era seduto esattamente dove doveva, ed a lui competeva. Alle tre di notte, in una sala-comando, a cercare di supplire all’enormità delle colpe di Schettino. Il quale aveva forse il sederino bagnato (sembra di no: era subito «inciampato» in una scialuppa), ma per sola unica colpa sua. Ad avere il sedere fuori posto, era lui.

Non ce l’ho con lei personalmente. So che questo è il nostro difetto collettivo. Ma è per questa antipatia verso chi, dal suo posto, dà ordini, e per il senso di solidarietà che proviamo d’istinto per il codardo confuso e ridicolo, che dobbiamo la tragicommedia italiana. Quale?

  Angelo Balducci
Il fatto che in Italia, comanda chi «non deve» comandare. Perchè quello di Schettino «comandante» da naufragio, non è mica il solo caso. Dovunque ci voltiamo, ci vediamo comandati da gente che «non deve» comandare. Un caso plateale che mi viene in mente è Angelo Balducci: presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici («Massimo organo consultivo tecnico dello Stato» per la certificazione, ispezione e prova nelle opere pubbliche), carica altissima e ad alta responsabilità per la quale Balducci (per sua ammissione) riceveva 2 milioni di euro annui, come la usa? Per prendere le fila di tutta quell’organizzazione di appalti truccati chiamata «la Cricca», tangenti e scambi di favori «pagati» con soggiorni in alberghi di lusso all’Argentario, e in giri di ragazzini per i vizietti omosessuali del personaggio. Per Balducci vale la domanda che vale per il comandante Schettino. Chi l’ha messo a quell’altissimo e pagatissimo posto? Dove ha studiato? Chi gli ha dato la licenza, la laurea, il brevetto? E soprattutto: a chi ha rubato il posto? Quanti bravi comandanti, quanti ingegneri di lavori pubblici migliori sono rimasti fuori, a becco asciutto, costretti ad arruolarsi all’estero?

Chi prova pietà per Schettino, dovrebbe sapere che ha rubato il posto a qualche italiano più meritevole, più capace e responsabile. E questa provoca la continuità della tragicommedia italiana. Mi viene in mente la Corte Costituzionale, i cui magistrati (supremi) danno a turno la presidenza al collega che più presto andrà in pensione, onde farlo godere dei benefit spettanti al Presidente Emerito... un comportamento da ladruncoli nei magistrati (supremi) che dovrebbero essere il modello del disinteressato servizio dello Stato.

O cito la faccenda più recente: i partiti, con voto unanime, si sono «condonati» le multe che avevano ricevuto per affissioni illegali nelle ultime elezioni, ed elevate dai vigili urbani. Solo per Milano, tali multe ammontavano a 6 milioni di euro. Destra e sinistra d’accordo. Quella sinistra che ha strillato a petto in fuori contro «i condoni fiscali concessi da Tremonti e Berlusconi, al grido di «mai più condoni agli evasori»; adesso condona se stessa, a parità con la cosiddetta destra.

Come può un simile apparato politico pretendere di avere una minima autorità, di ottenere una minima fiducia dalla società? Con quale faccia di bronzo possono alzare il ditino contro gli «evasori fiscali», loro che evadono per primi, facendosi maleodoranti leggine ad hoc a loro profitto?

Questo per illustrare che quando in un Paese comanda chi «non deve comandare», tutta la società sottostante marcisce, si fa furba, si deresponsabilizza, evade nel senso più largo. Per questa società non esiste più la «patria», intesa come la responsabilità di ciascuno verso tutti, verso gli antenati e verso i nipoti – da cui la necessità di non fare atti vergognosi che macchiano la patria di fronte al mondo, come li ha fatti il «comandante» Schettino. Quando una società si abitua al comando di chi «non deve» comandare, perde infatti il senso della vergogna comune, e dunque la volontà di comune riscossa. In una tale società ogni individuo è ridotto alle sue forze private, individuali; dunque impotente di fronte a forze collettive potenti, quali sono oggi in Europa, in USA, e perfino in Libia, e non parliamo della Cina. Quando una società si lascia comandare da «chi non deve», essa stessa si deforma e si distorce, per potersi adeguare a qualcosa che, nel fondo e nell’intimo della sua coscienza collettiva, sente abusivo e intollerabile: l’antipatia istintiva per De Falco illustra bene questa deformità – che nello stesso tempo perpetua la illegittimità del comando. Siamo noi a eternizzare il potere di chi «non deve» averlo, se appena un ufficiale dà un ordine difficile, pensiamo che lui ha il sederino al caldo.

Una simile società deforme, intimamente dubbiosa su chi la comanda, non può essere lanciata in guerra (e l’abbiamo visto, da Caporetto all’8 Settembre), ma nemmeno nelle difficoltà: le difficoltà dell’attuale crisi economico-sociale ci devastano, e ancor più ci devasteranno, frantumeranno, rompendo ogni unità e serietà – i più forti già hanno preso posto per primi nelle scialuppe di salvataggio, spintonando donne e bambini, e rubando i salvagenti ai pensionati. È successo nella Costa, ma è successo prima sulla nave Italia.

È questo il motivo vero – lo dico da ultimo – per cui io sono a favore dell’uscita dell’euro, e per il ritorno alla lira. La moneta non è un dato neutro e anonimo, come credono gli eurocrati di Bruxelles, eredi idioti degli illuministi, riformatori a tavolino: la moneta è l’epitome del Paese, della società che la usa e la mette in circolo, dei suoi vizi come delle sue virtù. È la fotografia psicologica e sociale della collettività. Per questo non possono esistere monete sovrannazionali, se non nelle fantasie degli ideologi massonici. I riformatori a tavolino, imponendo l’euro, hanno forse creduto di poter imporre per questo mezzo la disciplina che non hanno la legittimità di ordinare legittimamente. Speravano che, con l’euro, saremmo diventati tutti tedeschi, ossia amanti dell’ordine, patrioti, docili a chi comanda legittimamente, e odiatori delle furbizie. Abbiamo avuto l’euro da una dozzina d’anni ormai, e non siamo diventati tedeschi; anzi ci siamo dati una classe dirigente da avanspettacolo osceno, superficiale fino all’incredibile, priva di saperi e di studi fino all’inverosimile, che addirittura si vanta di essere ignorante e irresponsabile, di presentarsi come modello negativo.

La Costa coricata sul fianco, siamo noi. Meglio tornare alla lira, la liretta di Pulcinella che ci somiglia.




1
) Dovrebbe essere nota la differenza tra «barbaro» e «selvaggio». Il primo è l’incolto innocente, perchè vergine di civiltà. Il secondo è il degradato che, al punto finale di agonia della civiltà a cui ha appartenuto, torna ad usi tribali, amuleti, tatuaggi, stregoni.



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