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India compra greggio dall’Iran. In oro
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Gli USA hanno decretato l’embargo «schiacciante» contro l’Iran; la UE s’è servilmente accodata alle sanzioni volute dai talmudisti. Risultato: l’Iran è oggi un Paese isolato dal mondo e nessuna azienda può commerciare con questo Paese senza incorrere in sanzioni essa stessa.

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Ma è proprio così? Una delegazione indiana s’è recata a Teheran per accordarsi sul come continuare a comprare greggio iraniano: Delhi ne importa attualmente per il 12% del suo consumo,12 miliardi di dollari l’anno. Risultato: l’India ha accettato di pagare l’Iran in oro. Non più in dollari, ma nell’antico metallo giallo, perenne riserva di valore indipendente dal credito. ('India to buy Iran oil in gold not dollars') In questo modo, i due Paesi aggirano l’imminente congelamento degli attivi della Banca Centrale di Teheran.

Gli indiani condurranno la compravendita attraverso la UCO Bank di Calcutta (il cui consiglio d’amministrazione è composto da rappresentanti della Banca Centrale Indiana e da membri del governo indiano), e la Halk Bankasi, la settima banca turca per dimensioni. L’una e l’altra non sono banche private, bensì di Stato: il che non pare aver effetti devastanti sulle rispettive economie (notoriamente in crescita tumultuosa), e presentare invece il vantaggio di assecondare i governi in operazioni come questa, cariche di senso politico.

Ora – segnala Debka File – le sue fonti ritengono che la Cina seguirà la stessa strada, pagando l’Iran in oro. Cina ed India insieme assorbono il 40% dell’export iraniano. Entrambe hanno enormi riserve di oro. Si pensa che la Russia metta in piedi una simile struttura per gli scambi con l’Iran. La Corea del Sud ha già chiarito che non intende partecipare all’embargo anti-iraniano.

A doversi cercare un nuovo fornitore sarà l’Unione Europea, che fino a ieri comprava il 20% dell’export energetico iraniano. Non sarà facilissimo, data la domanda dell’Est Asia in crescita. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che l’effetto delle sanzioni sarà un rincaro dei prodotti energetici del 20-30%.

L’altro effetto è che l’interscambio fra Iran e Cina è cresciuto del 55% nel 2011, una quota di mercato sottratta agli europei. Le sanzioni hanno accresciuto i legami commerciali e industriali fra i due Paesi.

Chi è più danneggiato dall’embargo giudeo-americano? Chi è isolato di più?

Apparentemente, le sanzioni stanno provocando il sorgere attorno a Teheran di un blocco economico e commerciale di Cina e India (i giganti), Turchia (l’alleato NATO), e la Russia, altra potenza petrolifera e fornitore di altre materie prime strategiche. È più che probabile che altri Stati vengano a gravitare attorno ad un simile blocco – che si sta consapevolmente formando contro il dollaro e il suo dominio egemonico.

È evidente che il blocco decretato dagli occidentali, che voleva essere una dimostrazione di potenza mondiale, accelera invece il declino del dollaro come moneta di riserva globale. Basta ricordare la ferocia con cui l’America e il suo satellite europeo hanno reagito a tentativi di sostituire il dollaro nelle transazioni petrolifere – si veda la fine che hanno fatto fare a Saddam Hussein (che tentò di aprire una Borsa petrolifera in euro) e a Gheddafi (col suo sogno del gold dinar) – per valutare la dimensione dello scacco: quelli erano sparsi e piccoli, inetti tentativi, qui si tratta di qualcosa di ben maggiori dimensioni, per le dimensioni degli attori. Tutti ben decisi a infischiarsene dei diktat della Superpotenza. È significativo che il primo a cercare il metodo di scavalcare il diktat sia stata l’India, una potenza regionale che Washington si lusingava di aver attratto nella sua sfera d’influenza.

Robert Zoellick
  Robert Zoellick
Ancor più significativo se si pensa che nella fase cruciale di instabilità – o destabilizzazione – monetaria attuale, persino all’interno del blocco occidentalista si sono levate voci che contestano, su basi tecnocratiche, il monopolio del dollaro come valuta di riserva. Il presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick (che è un ex dirigente del Tesoro americano) ha invocato una «nuova Bretton Woods», ossia il regime di cambi fissi ancorchè fluttuanti che resse fino al 1971, quando Nixon sganciò il dollaro dall’oro. Il nuovo sistema, ha auspicato Zoellick in un articolo sul Financial Times, «probabilmente coinvolgerà dollaro, euro, yen, sterlina e un renminbi che si avvii verso linternazionalizzazione e quindi un conto capitale aperto».

Zoellinck ha di mira il costante intervento cinese per tener basso il valore del renminbi onde acquisire un ulteriore, sleale vantaggio competitivo. Ma aggiunge: «Il sistema dovrebbe anche considerare di usare loro come un punto di riferimento internazionale». Dunque l’oro come moneta parallela, un tempo tema tabù di questi circoli mondialisti, non è più censurato... (Zoellick seeks gold standard debate)

 Wolfgang Schauble
  Wolfgang Schauble
Wolfgang Schauble, il ministro delle Finanze tedesco, ha da parte sua sparato a zero sulla Federal Reserve che ha pompato altri 600 miliardi di dollari in quantitative easing, in modo esplicito: «Non è coerente che lAmerica accusi i cinesi di manipolazione del tasso di cambio, e poi distorca il dollaro a un tasso artificialmente basso con laiuto delle stamperie» della sua Banca Centrale.

Dunque i responsabili monetari europei ne hanno abbastanza dell’egemonia del dollaro e dei suoi trucchi; ma i responsabili politici europei, al dunque, si accodano a Washington nelle auto-lesioniste sanzioni a Teheran per servilismo verso i paranoici del Tel Aviv e delle sue lobby in Europa. Ciò, come direbbe Schauble, «non è coerente».

A questo punto, le manovre per «isolare l’Iran» somigliano ad una trappola che il blocco atlanticista ha teso a se stesso, finendo in qualche modo isolato dal blocco demografico-economico più formidabile del pianeta nei nostri anni. Per l’Europa, e gli USA, la voglia o la necessità di compiacere Israele appare sempre più chiaramente un grave danno. Qualcosa di simile a quello che, per dispetto alla moglie, si tagliò i Dìdimi.



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