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Iran: quante interferenze
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Ma quanti sono ad impicciarsi delle facccende interne iraniane? Persino la radio tedesca di Stato Deutsche Welle ha una emissione in farsi. Esiste dal 1962, ma dal 2000 si è dotata anche di un sito online in farsi, e dal 2007 è stata ulteriormente rafforzata. Durante le manifestazioni, eccitava con notiziari ora per ora sulle «reazioni dell’Occcidente», in aperto sostegno a Mussawi. Oggi, la stazione riceve 120 mila visite al giorno e 3 mila mail.

Ma già da gennaio Teheran segnalava una intensificazione della propaganda tedesca, tanto che  il regime iraniano accusò Deutsche Welle di attività sediziosa e bloccò temporaneamente l’accesso al sito (1).

Ancora più attive le «fondazioni culturali» e le ONG  affiliate ai partiti tedeschi. Da anni la Friedridh Ebert Foundation (dell’SPD, i socialdemocratici) ha un programma diretto esplicitamente ad «aiutare l’Iran ad aprirsi» attraverso la formazione di «istituzioni della società civile».

Ma nelle scorse settimane s’è distinta in frenetico attivismo la Friedrich Naumann Foundation, affiliata al Freie Demokratische Partei o FDP, oggi il terzo partito tedesco, ultra-liberista in economia e radical-chic (individualista-consumista) per il resto. La Naumann Foundation agisce in coordinamento con l’Internazionale Liberale (Liberal International) una potente lobby diretta da Londra (il presidente è Lord Alderdice, politico protestante dell’Irlanda del Nord) e partiti affiliati in decine di Paesi, fra cui (avete già indovinato) il partito radicale italiano.

Ebbene: appena cominciati i disordini a Teheran, in tutta fretta la Naumann Foundation ha radunato a Francoforte una conferenza sul tema: «La questione etnica e la democrazia in Iran». Svolgimento: la repressione delle minoranze linguistiche e religiose da parte degli ayatollah. Con entusiastica partecipazione della tedesca «Società per i popoli minacciati» (GfbV), una specie di Lega Nord che intende promuovere una politica di promozione delle minoranze etniche tedesche all’estero, che dice oppresse; il GfbV crede allo «ius sanguinis» ed ha ovvie simpatie per il Terzo Reich (questione dei Sudeti, se ricordate). I radical-chic, in questo frangente, non si sono fatti scrupolo di associarsi con dei nostalgici del Male Assoluto: il fine giustifica i mezzi.

«Oltre il 60% della popolazione (in Iran) deve avere diritti speciali, perchè appartiene a minoranze oppresse», dichiara il GfbV.

Per di più, la Naumann Foundation ha un ruolo nel recente colpo di Stato in Honduras: un suo dirigente, Peter Schroeder del FDP, dal 2005 è stato consulente del presidente Zelaya (non a caso alla testa del «Partito Liberale» onduregno) e lo ha aiutato a vincere le elezioni. Da quando Zelaya si è avvicinato a Chavez, e soprattutto da quando ha licenziato il ministro presidenziale Yani Rosenthal e la governatrice della Banca Centrale Gabriela Nunez, la Naumann Foundation ha cominciato ad aiutare gli avversari (2).

Chi scrive continua a ritenere che la crisi iraniana sia essenzialmente uno scontro interno alla classe degli ayatolla (Rafsanjani contro Khamenei, per semplificare). Ma non può sottovalutare il ruolo di  miriadi di «fondazioni» e organizzazioni non-governative occidentali nel creare lo stato d’animo collettivo per la esplosione di piazza.

«Gli USA non interferiscono negli affari dell’Iran», ha detto Obama. Ufficialmente almeno.

Il principale ente di cui gli Stati Uniti dispongono per interferire in modo non-ufficiale è il National Endowment for Democracy (NED), finanziata quasi per intero dallo Stato, e per il resto da privati e altre fondazioni della «destra» liberale, vicino ai neocon. Il suo scopo è «assistere gli sforzi di democrazia nel mondo», finanziando organizzazioni «favorevoli alle politiche USA». O come dice Allen Weinstein, uno dei fondatori della NED: «Ciò che noi facciamo oggi lo faceva 25 anni fa la CIA di nascosto».

La NED ha finanziato i gruppi d’opposizione anti-sandinista in Nicaragua (mentre la CIA armava i contras). In Bulgaria, nelle elezioni del 1990, la NED ha speso 1,5 milioni di dollari per sconfiggere il Partito socialista bulgaro; fallito il tentativo, ha finanziato i disordini di piazza che hanno costretto presidente e primo ministro a dimettersi. Ha operato allo stesso modo in Albania nel 1991. Finanzia la Cuban-American National Foundation. In Mongolia, ha dato una mano a unificare in una coalizione - La Unione nazional-Democratica - i partiti che hanno sconfitto il partito comunista (che  aveva vinto le elezioni nel 1992). Vinte le elezioni nel ‘96, i «liberali» mongoli hanno trasformato il Paese, su indicazione della NED, con un «passaggio immediato all’economia di mercato» (shock therapy). La NED ha pagato l’opposizione di Haiti, riuscendo a far cacciare Jean-Bertrand Aristide; in Venezuela, ha finanziato le opposizioni a Chavez. Ha avuto le mani in pasta in tutte le rivoluzioni colorate dell’Est.

Ovvio che la NED si occupi anche della democrazia in Iran. Ha dato 345 mila dollari ad una «Abdorrahman Boroumand Foundation» (dal nome di un oppositore che sarebbe stato ucciso da agenti iraniani a Parigi nel  1991). Ha dato sostegni finanziari crescenti al NIAC, National Iranian American Council: 25 mila dollari nel 2002, 64 mila nel 2005, 107 mila nel 2006... Il primo nel 2002 per «un seminario di addestramento» in pubbliche relazioni di membri di gruppi civili iraniani. Il secondo, per «rafforzare le capacità delle organizzazioni della società civile in Iran», e il terzo per «favorire la cooperazione tra organizzazioni non-governative iraniane e la comunità della società  civil internazionale (ossia le ONG transnazionali) e per rafforzare le capacità istituzionali delle ONG in Iran».

Perchè le ONG non hanno vita facile, dal punto di vista «istituzionale», nel territorio iraniano, e quelle straniere sono bandite. La presidente del NIAC è Trita Parsi, una iraniana che si è laureata alla John Hoplins con il professor Francis Fukuyama: il quale è un membro influente del «board» del National Endowmente for Democracy, e proclama che il «regime change» è il metodo migliore per far finire il programma nucleare iraniano.

Dall’inizio del 2006 la «Voice of America» in lingua farsi, che sonnecchiava da anni trasmettendo per poche ore al giorno, ha preso a trasmettere 24 ore su 24. Ciò perchè i suoi fondi sono stati aumentati da 10 a 75 milioni di dollari, per volontà di Condoleezza Rice. Si tratta, spiegò al Congresso, di «montare la più grossa campagna mai vista contro il governo di Teheran».

In contemporanea, il Dipartimento di Stato ha creato al suo interno un Officeof Iranian Affairs (OIA) che ha cominciato ad assumere  più esperti dell’Iran nel servizio diplomatico e persone di lingua farsi. L’Office ha creato una sede d’ascolto in Dubai per «avere meglio il polso di quel che accade dentro l’Iran» e, come ha ammesso il vice-direttore della stazione Dubai, per «finanziare e sostenere le organizzazioni della società civile e politica» iraniane. Dallo OIA dipende anche un «International Relations Officer Generalist», che ha sede ad Istanbul con il compito di «diffondere gli obbiettivi politici USA nella comunità iraniana (espatriata) in Turchia e Israele».

Simili uffici con simili scopo dovrebbero essere stati aperti a Francoforte, Londra e Baku. Alla direzione dell’OIA è stato messo David Denehy, un israelita che è di casa nel Jewish Institute for Internazional Affairs (Jinsa), potente centrale neocon, e membro di un International Republican Institute, che riceve fondi dalla NED, fra cui 300 mila dollari per aiutare a fare un colpo di Stato contro Chavez in Venezuela.

Il Pentagono ha creato un «Iranian directorate» che, fatto significativo, ha sede negli stessi locali che furono occupati dall’Office of Special Plans, quello che Wolfowitz, Douglas Feith e Richard Perle crearono, al tempo in cui era ministro Rumsfeld, per scavalcare  la CIA e le altre agenzie, e fornire la «intelligence» falsa necessaria per legittimare l’attacco all’Iraq. Da allora, si sa di azioni coperte, per lo più atti di terrorismo in Iran, compiute attraverso elementi curdi del PKK, i mujaheddin del popolo (un gruppo comunista sterminato dal regime degli ayatollah, e i cui superstiti hanno combattuto dalla parte di Saddam durante la guerra all’Iran), e gruppi separatisti baluchi. Nel luglio 2008 il generale pakistano (a riposo) Mirza Aslam Baig asserì pubblicamente che gli USA armavano il gruppo Jundullah, baluchi; quello che ha poi rivendicato l’attentato ad una moschea nella città di Zahedan, il 14 maggio 2009, con molti morti fra le guardie della rivoluzione (3).

Nel marzo 2006, il New York Times riferì che il Dick Cheney stava lanciando un programma per «coprire a tappeto l’Iran con trasmissioni radio e TV e sostenere i dissidenti politici», un programma che era stato affidato alla figlia del vice-presidente, Elisabeth Cheney.

Il fatto che anche la Germania sia parte della vasta operazione può indicare che la regia è, diciamo così, transnazionale, che Berlino abbia aderito a pressioni della nota lobby. Tali interferenze sono controproducenti, anzi pericolose per gli stessi dissidenti moderati, dice Bahman Nirumand, un analista iraniano in Germania:«Il movimento sarà immediatamente accusato di essere teleguidato dall’Occidente e i suoi leader bollati come traditori collaborazionisti».

Ma questo non conta, per la nota lobby. Emanuele Ottolenghi, l’israelo-italiano che lavora per il Transaltantic Institute (un altro think tank impegnatissimo nel progetto), ha scritto sul Riformista il 29 giugno: «Di fronte a questo regime, sostenere la democrazia non è solo un disperato gesto utopico o l’espressione idealista di un imperativo morale. E’ un atto dovuto che mira anche a servire i nostri interessi strategici (israeliani, ndr). E’ inutile dialogare con questo regime - nulla ne verrà fuori se non tempo prezioso perso perché i suoi gerarchi consolidino il loro potere e avanzino le loro ambizioni. E’ tempo di isolarlo e aiutare quelle forze politiche in Iran che, dopo le immagini di queste settimane, ci dovrebbe risultare impossibile ignorare» (...).Un Iran democratico aprirà le porte del suo nucleare alla trasparenza».

D’accordo. Ma pensate per un momento se i media dessero la seguente notizia: «Il presidente Ahmadinejad ha stanziato 75 milioni di dollari per bombardare gli Stati Uniti con trasmissioni  radio-televisive intese a sostenere i gruppi dissidenti americani e incoraggiarli a operare un ‘cambio di regime’ a Washington, una nuova direzione politica più favorevole all’Iran. Allo stesso tempo, ha ordinato alla SAVAM (il servizio segreto iraniano) di finanziare i gruppi suprematisti bianchi perchè compiano attenatti nel territorio americano».

Provate a immaginare lo sdegno, la grancassa, lo stracciamento di vesti davanti a questo «Stato canaglia» senza scrupoli, che non lascia nulla di intentato per «aggredire l’Occidente». Invece, sono stati gli USA ad organizzare l’enorme operazione di provocazione e propaganda, e a finanziare i terroristi perchè compiano attentati in Iran. E allora non si tratta di operazioni-canaglia di uno Stato-canaglia, bensì «diffusione della democrazia».

Il ministero degli Esteri tedesco, all’inizio dei disordini iraniani, ha convocato l’ambasciatore dell’Iran per esprimergli «lo sdegno» della Germania. Quando Israele compiva il suo annuale massacro a Gaza, che continua a tenere sotto assedio, l’ambasciatore israeliano non è stato convocato. Non c’è stato alcuno «sdegno».




1) Anticipating a coup», German Foreign Policy.com, 22 giugno 2009.
2) «The Naumann Caucus», German Foreign Policy, 30 giugno 2009.
3) Jeremy Hammond, «Has the U.S. Played a Role in Fomenting Unrest During Iran’s Election?, Foreign Policy Journal, 23 giugno 2009.



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