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Se il parlamento volesse rendersi utile...
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Per caso, in una trasmissione TV, sento i seguenti dati: in Italia, sono in vigore 150 mila leggi. In Francia, 7 mila. In Germania, 5 mila.

Non so quanto il dato sia vero, ma se lo è, giustifica il primo pensiero d’impulso: è proprio vero che i nostri parlamentari lavorano tanto, come dicono continuamente per giustificare i loro 15 mila mensili: «Ma qui lavoriamo tantissimo!». Hanno più che ragione, il superlativo «tantissimo» è persino pallido per descrivere la loro lena indefessa nel legiferare. Diciamo meglio: lavorano troppo. Anzi troppissimo.

Il secondo pensiero è: ma come occupano il tempo i parlamentari tedeschi e francesi? Non si annoiano? Ma è una curiosità frivola.

Torniamo alle cose serie: è chiaro che il potere legislativo, in Italia, è eccessivo, ed il nostro maggiore problema, ancorchè – stranamente – misconosciuto. È evidente che se Germania e Francia sono meglio governate, è perché hanno 30 o 20 volte meno leggi di noi. Che esiste là qualche freno alla proliferazione neoplastica di disegni, proposte, progetti di legge, che è così sfrenata nei nostri parlamentari. Se il parlamento che ci ha dato questo governo non-eletto volesse occupare tale vacanza della democrazia in modo utile, dovrebbe indagare su questo: come si fa a «non» legiferare?

Altro modo utilissimo di occupare il tempo, per i nostri deputati e senatori, sarebbe di «de-legiferare». Un modo non meno degno di esercitare il potere legislativo: studiare quelle leggi allo scopo di cancellare quelle inutili, dannose, superflue, scoordinate, doppie o triple, cercare di mettere un ordine giuridico in quell’immane gomitolo e matassa caotica, che intralcia la nostra vita, costringendo la normativa in pochi e chiari «testi unici». Questa dignitosissima attività occuperebbe certamente anni di lavoro ben pagato dei nostri cosiddetti rappresentanti; e li tratterrebbe, così occupati, dal legiferare ancora.

Le leggi che ci hanno donato finora ci bastano, anzi ci avanzano. Non temano di lasciarci sull’orlo di un «vuoto legislativo». Ogni cittadino italiano, appena «si butta», sa che cadrà sul soffice materasso di almeno un centinaio di leggi, permessi, divieti, autorizzazioni, adempimenti da compiere, uffici da avvertire in triplice copia, tasse e tributi a dozzine, ammende e bolli da pagare, tutti effetti della così rigogliosa legiferazione italiana. Volta ovviamente a fare il nostro bene, a proteggerci – anzitutto da quel che i parlamentari chiamano «il Far West normativo» – a impedire abusivismi, corruzioni e reati vari.

È probabilmente per questo che l’italiano «non si butta» ad aprire un’azienda o ad iniziare un’attività qualunque. O meglio: i soli italiani che si buttano, sono quelli che hanno modo e motivo di violare le leggi, conoscenze tecnico-avvocatizie e santi nel paradiso della politica, dei legislatori, e della sotto-politica per aggirare lo spesso strato normativo. Abbiamo la più numerosa, minuziosa, severa e draconiana legislazione sull’abusivismo edilizio, e contemporaneamente il più vistoso, inarrestabile, esibito abusivismo, che ha devastato per sempre le nostre coste meridionali. In Germania e Francia le leggi sul tema sono pochissime – a Monaco, uno può farsi un bagno nuovo nel suo appartamento senza avvertire il Municipio, i Vigili Urbani e le Belle Arti, un vero Far West legislativo – eppure non si riscontra questo fenomeno dell’abusivismo. Ed è solo un esempio fra i tanti.

Profondamente intrisi della dignità della loro funzione quali sono, i nostri parlamentari sicuramente rifletteranno che le leggi, quando sono 150 mila, non sono nemmeno leggi, e con ciò degradano la dignità legislativa.

Le leggi, nel senso pregnante del termine, devono avere carattere impersonale, oggettivo e universale, essere applicabili «erga omnes» senza favoritismi e discriminazioni. Per questo gli antichi legislatori curavano che fossero stringate, laconiche, e ancor in tempi moderni, che alla bisogna bastassero quattro codici a contenere tutto il diritto, senza bisogno di aggiunte.

Orbene, è evidente che la massima parte delle 150 mila leggi vigenti costituiscono appunto aggiunte estemporanee al diritto, per lo più allo scopo di consentire ad una lobby amica, a un gruppo di pressione, a piccole coalizioni di elettori con interessi particolari, di violare «legalmente» i principii della giustizia e dell’interesse generale.

Leggi del tipo: «Ai violatori delle normative europee sul latte che sono amici nostri, le multe le paga lo Stato; gli altri, se le paghino da sé». Oppure: «I sindacati hanno il diritto di non presentare bilanci, cosa che è un dovere per tutte le altre organizzazioni». O anche: «Diamo dei soldi ai furbastri mafiosi che riempiono la Calabria di pale eoliche, a spese dei cittadini onesti, con la scusa – che è gradita agli ecologisti – che stiamo sussidiando le energie rinnovabili». Oppure: «La prescrizione continua a decorrere anche dopo che è iniziata l’azione penale, contrariamente a quel che si fa in ogni parte del mondo, perché ciò serve a Silvio B.». Ma non si vuole infierire su Silvio B.: quasi tutte le 150 mila leggi vigenti sono leggi «ad personam».

Salta agli occhi infatti che i nostri parlamentari lavorano tantissimo – troppissimo – essenzialmente perché non resistono mai ad alcuna lobby, gruppo di pressione, corpo di interesse particolare anche microscopico. Non ne sono capaci, hanno un cuore troppo generoso.

Ogni partito ha i suoi cari: taxisti, imbucati RAI, proprietari di cavalli da corsa, COOP rosse e bianche, ‘ndrangheisti e impiegati comunali (categorie spesso coincidenti), parenti da sistemare, persino controllori di caldaie. Effettivamente, la «legge» che obbliga chiunque abbia uno scaldabagno a gas a farselo controllare da «esperti autorizzati» ogni anno, al costo di 90 euro, è un regalo agli idraulici, i quali evidentemente hanno i loro referenti in Parlamento, in Regione e dove che sia.

Abbiamo scoperto con stupore, quando il precedente governo ha voluto prolungare per 90 anni (anziché 6) le concessioni agli stabilimenti balneari esistenti, di fatto regalando loro gli arenili demaniali di tutti noi e i profitti relativi, che è viva, vegeta e robustamente scalciante fra noi anche la casta dei bagnini. Una lobby segreta ma efficacissima a perseguire i suoi interessi privati a danno di quelli di tutti.

Il fatto ci ha personalmente messi in crisi in quanto cospirazionisti: attenti per anni a denunciare i «poteri forti globali» che manipolano i parlamenti, come non demoralizzarsi quando si scopre che il nostro parlamento abdica anche davanti a «poteri deboli locali», ai gestori dei Bagni Maristella di Cervia? E fa leggi a loro esclusivo favore, onde non debbano affrontare la concorrenza e il mercato come tutti gli altri privati?

Inutile sottolineare che la vigenza di 150 mila leggi, lungi dall’imporre il rispetto della Legge, invita ad una violazione continua di essa, spesso necessaria e qualche volta involontaria, perché nessuno può conoscere tutta la proliferazione cancerosa che ci hanno donato i nostri parlamentari. Intere categorie professionali, come sappiamo, esistono al solo scopo di aiutare il cittadino a districarsi nel titanico coacervo, e ad aggirarlo.

Soccorrono a questo proposito le cifre fornite da Piercamillo Davigo, l’ex ideologo di Mani Pulite. La Francia ha 44 mila avvocati (uno ogni 1.465 abitanti), il Giappone ne ha 20 mila, l’Italia ne ha 210 mila (uno ogni 283 abitanti), che crescono di 15 mila unità all’anno, e forse si stabilizzeranno attorno ai 600 mila, circa un avvocato ogni 90 abitanti. È questo il motivo per cui, informa Davigo, un giudice civile italiano si trova ogni anno davanti «sopravvenienze contenziose» (nuove cause) in numero di 438, contro le 224 del giudice francese, e le 54 del giudice tedesco (otto volte meno). Quanto alle cause penali per reati gravi, ogni giudice italiano se ne vede accumulare davanti 191 ogni anno, contro le 81 in Francia e le 42 in Germania.

Viene da ipotizzare che è forse per questo che in Italia la magistratura lascia impuniti l’81% dei reati, e che 150 mila violazioni gravi della legge vadano in prescrizione.

Piercamillo Davigo – che per una volta
«non reclama più mezzi per la Giustizia» – la mette così: «In Italia ogni giudice, con il suo lavoro, deve consentire di vivere a 32 avvocati».

A prima vista sembra strano, dopo che abbiamo appreso che il Parlamento è affollato di avvocati che hanno redditi professionali da milioni di euro ciascuno; ma chiniamo lo sguardo pietoso sulla folla anonima e rattoppata dei 210 mila, che presto saranno 600 mila, e certo non arrivano a sbarcare il lunario contendendosi i pochi clienti e suggerendo loro cause pretestuose o temerarie.

Davigo, per esempio, punta l’indice sullo spreco enorme costituito dai «procedimenti a carico di irreperibili»: dove «i procedimenti di impugnazione vengono continuamente reiterati, dapprima dal ricorso del difensore (di solito d’ufficio, quindi pagato dallo Stato) e poi dall’imputato (con più ricorsi se vi sono più imputati)». Tutto per poi arrivare, se ci si arriva, a non eseguire la sentenza. Davigo si domanda se tutto questo spreco non abbia come fine di contribuire con denaro pubblico al reddito degli avvocati», specie a quelli strapelati che altrimenti dovrebbero cercarsi un’occupazione più utile.

Essenzialmente loro, più ancora che Silvio B., godono del sistema di prescrizione vigente in Italia e solo in Italia: dove «la prescrizione decorre non solo dopo l’esercizio dell’azione penale (quando in ogni altro Paese la prescrizione è sospesa), ma anche dopo la condanna di primo grado se ad impugnare è il condannato: il che è ragione sufficiente per indurre ad appellare», dice laconicamente il Davigo. Infatti si appella non per farsi riconoscere innocenti, ma nella fondata speranza di sfuggire alla pena per intervenuta prescrizione. Dopo milioni di spese pubbliche, parte delle quali vanno agli avvocati.

Scopriamo che gran parte della categoria, cosiddetti «professionisti privati», sono in realtà sussidiati dai contribuenti. Come gli idraulici revisori di scaldabagni nuovi, come i gestori dei Bagni Maristella. Come gli elevatori di pale eoliche inutili e dannose, i montatori di pannelli fotovoltaici, i meccanici da bollino blu e i notai, i taxisti e i proprietari di destrieri di razza, docenti universitari e oncologi alla Veronesi, i palazzinari e i loro amici sindaci, i consiglieri regionali, fancazzisti pubblici e i sindacalisti, eccetera, eccetera.

L’elenco prolungabile a piacere inserisce il dubbio che i cittadini che in qualche modo i soldi pubblici, pochi o tanto, li prendono, siano ormai più numerosi dei contribuenti produttivi, che i soldi allo Stato li danno. O che il popolo italiano sia corrotto fino al midollo, infinitamente litigioso, massicciamente disonesto all’inverosimile.

È vero. Ma si tenga presente questa massima: se un popolo intero è così corrotto, è perché è stato deformato moralmente dalle sue istituzioni.

A cominciare dall’istituzione parlamentare e dal suo cancro proliferante di leggi che sono anti-leggi, fino a non escludere la pubblica istruzione: palesemente, il cittadino italiano è troppo poco istruito per capire le idee generali, elevare l’intelletto al bene comune, dedicare ad esso le sue energie migliori anziché a strappare privilegi minimi indebiti per sé, per il proprio gruppetto, di cortissima veduta, ricorrendo ai tribunali e ai parlamentari «amici». Con danno generale e complessivo della comunità.

È qui che splende lo strano fenomeno per cui la comunità italiana, formata di furbissimi, è tanto stupida come collettivo. Tanto da tenersi al potere gente che s’è scremata ventine di miliardi con rimborsi elettorali che superano le spese elettorali di 5 volte 5; tanto da sopportare la slealtà fiscale per cui lo Stato non paga i fornitori privati, ma esige immediatamente i pagamenti di imposte magari non dovute, e aggravate da multe che le quadruplicano, unite a confische draconiane dei mezzi di produzione. Non chiede reciprocità dei doveri – un pilastro del diritto, secondo cui «La Legge è uguale per tutti» – perché le 150 mila leggi hanno demolito questo pilastro, e tutti sperano di trarre vantaggio da qualche occulta falla della reciprocità – ossia di lucrare mancando a doveri, che vengono imposti agli altri. Troppo stupidi e ignoranti per comprendere che, aderendo all’interesse generale anziché a quello minimo e indebito privato, tutti staremmo meglio. Troppo assuefatti ad esercitare l’aggiramento, elusione e violazione legittimata delle troppe leggi legiferate dai legiferatori a 15 mila mensili.

Se davvero i parlamentari volessero rendersi utili, prenderebbero coscienza che questo è il più grave problema italiano, la causa della sua arretratezza e del suo arretramento; e che loro, come corpo, sono sia espressione del problema, sia causa di esso. Si scioglierebbero, anche se non senza prima scremarsi qualche emolumento eterno (1) per la vecchiaia. Ed emanerebbero l’ultima legge: l’abolizione delle 150 mila vigenti, e la loro sostituzione con le leggi tedesche, che, in numero di 5 mila, sarebbero tradotte da uno stuolo di interpreti. Almeno, sarebbe chiaro chi ci comanda, e magari si prenderebbe la responsabilità che va con la carica e lo stipendio.

Ma naturalmente è una speranza onirica. Troppi avvocati, nel parlamento.

P.S.: A cosa serve la democrazia? è il titolo dell’ultimo numero di Limes. È bello chiamarsi Caracciolo ed essere della famiglia Agnelli, perché si può arrivare a porsi la domanda in ritardo di anni su modesti ed anonimi blogger, già da anni non solo adusi a chiedersi «a che serve la democrazia» ma persino capaci di tentare una risposta – e ancora «fare opinione». Non c’è giornale, radio o TV che in questi giorni non intervisti Caracciolo per apprendere a cosa serva la democrazia. Meglio così, magari si apre «er dibbattito»…





1) È uno dei casi classici in cui vale la pena di pagare profumatamente della gente perché «non» lavori. È un carattere che i nostri parlamentari condividono con i malavitosi che chiedono il pizzo. Non a caso.


 
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