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Porno-Italia a Kabul
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Alcuni lettori mi chiedono: cosa sta veramente succedendo in Afghanistan?

Chiediamoci prima cosa sta succedendo in Italia. Anzitutto parliamo duramente chiaro: è morto un soldato italiano in Afghanistan, 14 in tutto da quando li abbiamo mandati là. Ogni anno 5-6 mila giovani italiani scemi, spesso minorenni, muoiono in incidenti d’auto da droga, alcol e rincoglionimento di decibel nelle ore piccole. E’ più sicuro pattugliare in Afghanistan che uscire dalle discoteche, o guidare il sabato sera. Ma questa strage continua non merita il «Cordoglio Ufficiale del Capo dello Stato», nè agghiaccia l’opinione pubblica che si commuove al dolore della mamma del soldato, nè merita un servizio speciale del TG al paese del morto in mimetica.

Se questo non vi sembra anormale e disgustoso, vuol dire che siete - che siamo - malati tutti, come società. E’ così: non tolleriamo una morte in conflitto, non tolleriamo tre o quattro morti sul lavoro e vi spargiamo lacrime corali (di coccodrillo). Ma i «morti sul Divertimento» li tolleriamo. Ci sembra un prezzo che si può pagare, perchè i nostri giovani «si distraggano», perchè non vengano limitati nei loro impulsi e desideri, perchè non vengano educati al minimo sacrificio, ma al piacere.

Centinaia di migliaia di giovani italiani ogni settimana corrono rischi estremi e idioti per la causa suprema del nulla. Nessuno di questi vorrebbe andare soldato, anche se le paghe sono ottime. La società glielo ha concesso, ha abolito l’obbligo del servizio militare di leva, perchè avessero più tempo di ammazzarsi in auto ubriachi, di fare i bulli, di farsi le ragazze nei cessi dei locali.

Abbiamo abolito così il primo, elementare richiamo alla responsabilità collettiva e alla serietà della vita associata. Ogni ricordo che la vita è seriamente tragica, e richiede coraggio, dignità, spirito di servizio. Da sempre la cittadinanza ha implicato il dovere di prendere le armi e se occorre morire per la nazione. Dunque, ci siamo spogliati della cittadinanza, ora siamo un gregge amministrato che richiede «provvidenze» e «sicurezza», in cambio della perdita della dignità di cittadino.

La guerra - che ora si chiama missione di pace - l’abbiamo demandata a disoccupati meridionali. Se la vedano loro, sono ben pagati; noi del Nord, di buona famiglia danarosa, di belle speranze di business, abbiamo di meglio da fare che la disciplina e il sacrificio. E ci diamo il lusso di commiserare quando ne muore uno, di questi badanti automontati: siamo amebe che non si lasciano mancare niente, nemmeno la lacrimuccia.

Se ci sembra normale, se non ci rendiamo conto della mina che abbiamo messo sotto la nostra società con la nostra fatuità e fuga da ogni dovere - a cui corrisponde la legittima pretesa a pretendere rispetto dalla cosiddetta autorità politica - vuol dire che siamo tutti malati.

No, non abbiamo più il diritto di chiedere, di pretendere di sapere, «perchè siamo lì in Afghanistan»: anzitutto non siamo lì noi, ma degli stipendiati che usiamo come badanti per quello che i giornalisti e i politici (tra una festa di veline e un talk show, tra una tangente e l’altra) chiamano «un obbligo internazionale». Siamo lì perchè siamo molluschi. Perchè siamo servi, come abbiamo voluto essere, rifiutando in massa il servizio delle armi e quindi il diritto di dire la nostra sul nostro destino collettivo.

Siamo lì, se ben ci pensate, per difendere le discoteche, il diritto dei giovani di scontrarsi in tifoserie e di fotografarsi coi cellulari a tette nude, la società dei consumi voluttuari sempre più minimi. E’ questo ciò che chiamiamo «Occidente», dopotutto, non altro.

Non sto esagerando. E’ quel che dice Guido Rampoldi su Repubblica: «Il ritiro degli occidentali comporterebbe prezzi spaventosi. Per l’Afghanistan, che ri-collasserebbe nell’anarchia militare. Per la stabilità dell’area, la miscela più instabile al mondo di tecnologia nucleare, terrorismo e nazionalismo a base religiosa. Per l’Alleanza Atlantica, la cui residua credibilità svanirebbe. E, perché dimenticarle?, per le ragazze afgane, la cui unica speranza di liberazione coincide con il pieno successo della NATO. Se questa è la posta, si dovrà convenire che la scommessa è non soltanto giusta: è obbligata».

La liberazione delle ragazze afghane. Se vi sembra normale come motivo dell’occupazione, vuol dire che non siete sani. Naturalmente Rampoldi riecheggia le ragioni ufficiali della guerra afghana. La sua è una parafrasi maldestra di quel che scrive il Telegraph: laggiù dobbiamo impedire che «un Pakistan con armi nucleari cada sotto i talebani, per contenere la Russia (eh sì), bloccare i fanatici islamici altrimenti verrebbero a fare attentati nei nostri Paesi, i cittadini USA e britannici (mussulmani) che vengono addestrati in Afghanistan per missioni suicide; i mullah dell’Iran sono prossimi a farsi amri atomiche... minacce che sono meno visibili di quelle poste da Hitler, ma alla lunga sono non meno pericolose per la sopravvivenza dell’Occidente, specie perchè molte minacce sono poste da attori non-statali che non hanno un indirizzo che possiamo colpire se attaccati».

Anzitutto, tutti i guai e le minacce sopra elencati esistono perchè li ha provocati l’Amministrazione Bush. Il caos, l’instabilità esplosiva dell’area, è stata creata deliberatamente con due invasioni, due occupazioni settennali, e una quantità di provocazioni (contro l’Iran, contro la Russia in Georgia, tutto attorno al Caspio) - da uno Stato che si ritiene superpotenza, ma che da 70 anni non ha vinto una guerra guerreggiata, nè in Corea, nè in Vietnam, nè in Somalia (ha vinto Granada e Panama, complimenti), perchè è fatto di criminali sì, ma molli come polipi. Il fatto è che noi non abbiamo eccepito, non abbiamo rifiutato l’obbedienza servile al potere  neocon- israelo-americano, ed ora siamo lì a condividerne il destino. E i neocon che hanno creato il caos sono a piede libero.

E poi, se veramente la posta in palio è così grande da minacciare «l’Occidente», allora perchè non mandiamo in Afghanistan mezzo milione di uomini? Perchè non facciamo retate all’uscita delle discoteche per spedire i nostri giovani, che comunque muoiono di scemenza, a combattere i Talebani collina per collina, canale per canale? L’Italia perse 600 mila giovani nella grande guerra, 250 mila nella seconda. Se fosse vero che la posta è così alta, bisogna preparare la nazione a perdite di centomila uomini in Afghanistan.

Ma naturalmente non lo si fa. L’America per prima, ha creduto di poter mantenere una guerra a risparmio, in qualche modo part-time, che non faccia i titoli delle prime pagine. Perchè non può dichiarare i motivi reali di queste guerre, motivi insieme torbidi e confusi, inconfessabili. E la sta perdendo perchè ogni guerra, anche in lontane colonie, deve essere «totale», richiedere tutte le energie della nazione, assillarla totalmente e totalmente chiamarla a partecipare, non fosse che con la psiche e la volontà, alla guerra. Le guerre dove si mandano badanti a contratto, mentre la massa della gioventù va in discoteca, alla partita, o si compra la coca, è per definizione ingiusta e immorale. Immorale, prima che per l’Afghanistan martoriato, per la nostra società, che esenta i figli suoi viziati, e fa far la guerra ai poveri tra noi.

La guerra, cari lettori, è persa. Lo dice anche Rampoldi di Repubblica: «Alla strategia di Obama il vertice dei Taliban, il cosidetto ‘consiglio (shura) di Quetta’, ha risposto con un contro-piano. Ricomposta la frattura che avevano prodotto i servizi segreti pachistani con un lungo lavorio, il consiglio ha deciso anch’esso un’escalation. Per fare fallire tanto l’offensiva NATO quanto le elezioni presidenziali, ha aumentato il numero dei propri miliziani, inviandone dal Pakistan o assoldandone in Afghanistan con ingaggi part-time, tanto lauti da risultare irresistibili per la gioventù disoccupata. E ha cominciato a operare anche nel nord, reclutando tra le comunità pashtun maltrattate da tagichi e uzbechi. Se ai Taliban riuscisse di etnicizzare il conflitto, l’Afgfhanistan sparirebbe dalle mappe».

Quelli fanno la guerra totale, come vedete, mobilitano con la violenza tutte le forze di cui possono disporre, ed anche quelle dormienti o renitenti. Cosa credete, che ai giovani pashtun non piacerebbe di più andare alla partita o uscire il sabato sera, invece che essere reclutati ed armati e buttati a battersi da un potere duro, arbitrario, ma che parla la loro lingua?

Quelli combattono per la vita e per la morte, per la loro idea di potere religioso: giusta o sbagliata che sia, non siamo noi - che idea non ne abbiamo nessuna, nessuna idea per cui morire - a poterla giudicare.

E non basta. Cerchiamo altre badanti da gettare in quel forno, magari extracomunitarie. Cito ancora l’incredibile Rampoldi:

«La  NATO non può  riuscire da sola. Occorrerà il contributo dei Paesi dell’area, però riluttanti. E - perché non sollecitarlo? - dei Paesi, delle organizzazioni internazionali e degli opinion-maker che si richiamano all’islam. Se il sodalizio Taliban-al Qaeda esprime i più pericolosi diffamatori dell’islam, come si afferma, il cosiddetto mondo islamico ha il dovere di reagire. Dimostri di non essere una categoria vuota. Mandi in Afghanistan le sue Brigate internazionali. Trovi il coraggio di essere se stesso e di difendere, davvero, una propria identità. Si mobiliti. Combatta sul serio questa battaglia, non a parole ma nei fatti. Oppure taccia, e si rassegni ad essere considerato una finzione, una vacuità, un’ipocrisia».

«Il mondo islamico ha il dovere di reagire», dopo essere stato destabilizzato e demonizzato. Per dimostrare di non essere «una categoria vuota», l’Islam che si dissocia da Al Qaeda (made in USA)  deve combattere le guerre neocon, che i neocon hanno perso, contro gli  islamici. Che mandi i suoi giovani a morire per noi in una guerra che è stata sferrata contro di loro. Altrimenti è ipocrita, l’Islam. Noi no.

Se questo vi sembra un ragionamento sostenibile, degno di apparire su un importante giornale e non come un referto porno-psichiatrico, ma come un’autorevole opinione, vuol dire che siete malati.

Che siamo tutti malati di irresponsabilità, fatuità e scemenza. E dunque perdenti nella darwiniana lotta per l’esistenza. Siamo noi gli «inadatti alla vita».

Renato Farina, ex agente Betulla oggi parlamentare a 14 o 20 mila euro al mese, scrive su Libero: «Morire per Kabul è necessario». Se ne è convinto, dia lui l’esempio, mi scrive l’amico Siro Mazza: al tempo del fascismo (il male assoluto) Marinetti si arruolò nell’ARMIR e andò a conquistare la Russia a 66 anni. Vada, l’agente Betulla, o ci mandi i suoi figli. Ci mandi i suoi figli LaRussa di Paternò, che recentemente è apparso in un talk-show dove, da ministro della guerra, ha dato l’esatta ricetta degli spaghetti alla Norma. A Paternò dovrebbe avere imparato qualcosa di più. Ci mandi i figli, il Berlusca.

Invece, è appena uscito un romanzo erotico-politico, titolo «Il pesce rosso non abita più qui», che narra gli amori di una cassiera di Bari con una ministra del governo Berlusconi, che i giornalisti ben informati riconoscono, la quale  - «si faceva succhiare da lei i seni femminei» e poi non l’ha neppure candidata alle elezioni (da Gramellini, su La Stampa). E vogliono ancora farci credere ai loro cordogli ufficiali per un caporalmaggiore della Folgore.

La nostra intera vita associata è così: pornografia. E la chiamiamo pure Occidente.



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