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Il Messico e Pio XI Papa «liberale»?
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Introduzione
 
In ambienti neo-gallicani si presenta Pio XI come Papa «liberale», poiché nel 1926 scomunicò Charles Maurras (1). Tale critica viene ripresa dagli stessi ambienti per difendere il maurrassismo, nella vicenda della «cristiada» messicana (1926-28 e 1932-34). Pio XI nel 1929 avrebbe tradito i cattolici messicani, come aveva fatto nel 1926 con i maurrassiani francesi, dato il suo spirito «liberale» e pronto al concordato o al cedimento (2).

Ora, se si studia la storia della Chiesa (e non «le storie» gallicane) si vede come tale accusa sia del tutto infondata. Infatti Pio XI nel corso del suo Pontificato, cercò di riportare le nazioni a Cristo Re (l’esatto opposto del cattolicesimo-liberale) tramite concordati o patti bilaterali giuridici tra Stato e Chiesa, i quali garantissero alla Chiesa la piena libertà di esercitare il suo ministero spirituale non solo in privato, ma anche socialmente e con riconoscimento ufficiale da parte dello Stato, che aveva firmato un concordato con la Chiesa.

In Italia, ad esempio, il concordato del 1929 fu voluto da Pio XI in un’ottica di «aperto rifiuto dell’impostazione di fondo del problema (rapporti Stato-Chiesa), secondo la vecchia tradizione liberale. (…). Pio XI non avrebbe mai accettato una semplice regolamentazione unilaterale (dei rapporti tra Stato e Chiesa) (…). La posizione della S. Sede (…) fu ispirata innanzitutto, anche se non esclusivamente, da considerazioni di ordine dottrinale e di diritto pubblico ecclesiastico (…), conforme alla mentalità di Pio XI, ‘che considerava il Risorgimento con le sue leggi ecclesiastiche peggio di un errore, qualcosa di brutto e deforme, da cui nulla di buono poteva ricavarsi’ (Gabriele. De Rosa)» (3).
 
I fatti del Messico secondo gli storici seri

«Nel Messico ebbe inizio, con la dittatura di Benito Juarez (1861-72), un regime molto ostile alla Chiesa (…). Nel 1874 fu applicata brutalmente la separazione tra Stato e Chiesa (…). Sotto la presidenza, poi dittatura, dell’energico generale Porfirio Diaz (1887-81 e 1884-1911) la situazione interna al Paese si consolidò e la Chiesa poté acquistare di nuovo una posizione più salda, pur rimanendo in vigore la legislazione della lotta anticlericale. Quando Diaz fu rovesciato da Madero (1911), nell’infelice Paese tornarono l’anarchia e la guerra civile, a cui si accompagnò presto, sotto il presidente Carranza (1915-20) una furiosa persecuzione della Chiesa» (4).
 
«La lotta aperta contro la Chiesa ebbe inizio sotto il presidente Carranza (1915-20). La nuova costituzione del 1917 doveva servire (…)ad assoggettare e, se possibile, ad annientare la Chiesa (…). Il presidente Calles (1924-28), socialista radicale e massone, passò alla più rigorosa applicazione delle leggi anticlericali (…). La sospensione delle sacre funzioni (1926) ordinata da parte della Chiesa e le insurrezioni armate non portarono al risultato sperato. Vi fu perfino un numero di martìrii sanguinosi (5) (…). Nel giugno 1929 si pervenne ad un modus vivendi che permise di nuovo l’esercizio del culto cattolico. Ma alla fine del 1931 divampò ancora la persecuzione. Fu introdotto un metodo di educazione espressamente ateo e marxista (…). Pio XI deplorò tutto questo amaramente in varie encicliche dal 1926 al 1937 (…). Sotto il presidente Camacho (1940-46) quasi tutte le chiese furono restituite al culto» (6).
 
Plutarco Elìas Calles (1924-28) «pretese l’applicazione della costituzione del 1917. I cattolici fondarono la ‘Lega Nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa’ (…). La seconda legge Calles, costrinse l’episcopato a metter fine a tutte le manifestazioni ecclesiastiche (…) a partire da 31 luglio 1926 (…). La lotta si fece più aspra da ambedue le parti: il governo applicò la seconda legge Calles, i cattolici passarono dalla resistenza passiva a quella attiva e poi armata. Durante questi anni (1926-28) la Chiesa messicana ebbe le sue catacombe e i suoi martìrii» (7).
 
Il movimento armato fu spontaneo e si diffuse notevolmente a partire dalla fine del 1926. «Esso era diretto dalla ‘Liga’ e i suoi militanti erano detti ‘cristeros’ a motivo del loro grido di battaglia ‘viva Cristo Re’ (…). La lotta fu dura per ambedue le parti. Emilio Portes Gil, presidente dal 1928 al 1930, dichiarò alla stampa che ‘non esisteva problema, che non potesse essere appianato con la buona volontà da ambo le parti’. Rappresentanti dello Stato e della Chiesa pervennero ad un accordo, che venne ratificato da Pio XI nel 1929 quale male minore e mezzo per evitare ulteriori danni (…). Da una parte e dall’altra si ebbero proteste e scontenti. Molti cattolici ritennero che le cose ottenute non compensassero i sacrifici sofferti, mentre molti sostenitori del governo e la massoneria vi videro un atto di debolezza del presidente. Ma i compromessi concordati vennero sempre meno osservati dal governo. La maggioranza dei ‘cristeros’ si arrese, però alcuni di essi vennero assassinati nonostante l’amnistia. Altri continuarono la lotta o la ripresero» (8).
 
«Pio XI seguì attentamente gli avvenimenti del Messico e nell’Enciclica «Acerba animi anxietudo» del 29 settembre 1932 lamentò che il governo messicano non tenesse fede al modus vivendi concordato. Lodò il popolo e il clero del Messico ed esortò i cattolici a «difendere i sacri diritti della Chiesa» (…). Il governo e il partito nazionale non accolsero bene il documento pontificio e interpretarono l’ultima espressione come un incitamento alla ribellione» (9). Il presidente successivo Lazaro Càrdenas (1934-1940) continuò nella politica anticristiana. Pio XI «in una Lettera dell’aprile 1937 raccomandò ai messicani (clero e Azione Cattolica) di organizzarsi in maniera pacifica (…), pur riconoscendo la legittimità della difesa armata in determinate condizioni» (10).
 
«Quando il Papa nel 1929 abolì l’interdizione, le chiese vennero riaperte. Ma contrariamente agli accordi, i cattolici furono nuovamente puniti (…). Dopo un nuovo bagno di sangue contro i ‘cristeros’, il popolo si convinse che il governo aveva ingannato i vescovi. Il 31 dicembre 1931 l’arcivescovo di Città del Messico Pascual Dìaz Barrete alzò la propria voce contro i nuovi soprusi …). Pio XI si vide costretto a stigmatizzare nuovamente l’ingiusto trattamento (…) e il 29 settembre 1932 mandò una Circolare a tutti gli ordinari (…). Nell’Enciclica del 28 marzo 1937 «Firmissimam constantiam» Pio XI si rivolse nuovamente ai cattolici del Messico (…), invitandoli a tutelare i propri diritti con mezzi legali (…). Il Papa riconobbe il diritto alla rivolta armata» (11).
 
«Il 4 febbraio 1926, in un intervista, l’arcivescovo Mora y Del Rìo, confermava l’atteggiamento di protesta (contro la costituzione del 1917), annunciando al giornalista (…) che «l’episcopato, il clero e i cattolici non riconoscono e combatteranno gli articoli 3, 5, 27 e 130 della Costituzione vigente». Immediata fu la reazione di Calles (…). La «Lega Nazionale di Difesa della Libertà Religiosa», (…) pubblicò un foglietto che riprendeva la pastorale collettiva del 1917 contenente la condanna della Costituzione da parte dei vescovi» (12).
 
L’episcopato messicano era diviso: da una parte gli «intransigenti», che non volevano nessuna conciliazione col governo, a costo di arrivare alla rivolta o - meglio - legittima difesa armata e dall’altra parte i «conciliazionisti», disposti a patteggiare con lo Stato, pur di giungere ad un accordo onorevole, che ridesse la libertà alla Chiesa. La parte conservatrice o «radicale» dei vescovi era composta da Manrìquez y Zarate, Lara y Torres, Mora y Del Rìo (arcivescovo di Città del Messico, che fu rimpiazzato nel 1929 dal «conciliatorista» Pascual Dìaz), Gonzales y Valencia, Valverde y Tellèz, Orozco y Jménez.
 
La parte diplomatico-legalistica era composta da Pascual Dìaz, (che da vescovo di Tabasco nel 1922, diverrà arcivescovo di Città del Messico nel 1929, rimpiazzando il «radicale» Mora y del Rìo, che morirà nel 1936), Rùz y Flores, Banegas y Galvàn (13).
 
Se arcivescovo della capitale messicana e presidente del «Comitato Episcopale Messicano» era l’intransigente Mora y Del Rìo (rimpiazzato dal «prudente-conciliante» Pascual Dìaz nel 1929),
segretario di esso e presidente del «Segretariato Arcidiocesano per l’Educazione» era monsignor Pascual Dìaz, che si muoveva - assieme a Ruiz y Flores, vicepresidente del «Comitato Episcopale Messicano» - nella linea della «stretta legalità giuridica» e non era gradito assieme a Ruiz ai «ligueros» «Lega Nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa». Pascual Dìaz era molto benvisto - tra il 1924/25 - dal cardinale Pietro Gasparri, Segretario di Stato di Pio XI. Però «prudenza» o «conciliazione» non significavano arrendevolezza sui princìpi, ma una tattica di agire pratico, volta ad ottenere la libertà della Chiesa non tramite la resistenza attiva e anche armata, bensì solo grazie alle trattative giuridiche. Quando si giunse al 1926, di fronte alla politica anticristiana di Calles, Papa Pio XI scrisse la Lettera Apostolica «Paterna Sane Sollicitudo» (2. II. 1926). In essa «Pio XI aveva alzato il tono della critica, definendo i provvedimenti adottati dal governo messicano ‘così ingiusti da non meritare il nome di leggi’ » (14).
 
Ci si avviava verso una «protesta legale (…), in cui si era espressa un’energica protesta, ispirata a quella del 1917, contro la riduzione dei margini della libertà della Chiesa; con questa era ribadita la volontà della gerarchia di collaborare per la pace, ma anche di agire risolutamente per la riforma degli articoli 3 e 130 della Costituzione» (15).
 
La reazione governativa fu talmente drastica che «fece vacillare la linea ‘conciliatorista’ imposta nell’episcopato da Dìaz e Ruiz y Flores, spingendo i vescovi a prendere contromisure drastiche, (…) quale avrebbe potuto essere la sospensione del culto. Nonostante le perplessità personali esposte dal cardinale Gasparri (…) l’11 luglio il «Comitato Episcopale Messicano» decise che il culto sarebbe stato sospeso in tutta la Repubblica (…), dopo aver consultato il Santo Padre Pio XI, che ha approvato» (16).
 
Tuttavia nel mondo cattolico messicano si era formata una spaccatura tra «Comitato Episcopale Messicano» e «Lega Nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa»; i «ligueros» non avevano accettato favorevolmente la tattica del dialogo di Dìaz e Ruìz. Mentre il «Comitato Episcopale Messicano» rigettava l’idea di una resistenza armata, la «Lega Nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa» si avviava verso essa, ma non tutti i vescovi erano anti-«ligueros», anzi numerosi li appoggiavano. Gonzàles y Valencia, vescovo di Durango, si trasferì a Roma, nel 1927, per patrocinare la causa pro «ligueros» presso la Santa Sede. L’8 luglio 1926 Pio XI, sentendo prossimo il pericolo di una guerra civile in Messico promulgò l’enciclica «Iniquis Afflictisque» per ispirare fiducia nel futuro e nell’azione comune dei cattolici. Nel 1927 la Segreteria di Stato vaticana aveva deciso di appoggiare la linea «conciliazionista» dei vescovi Dìaz e Ruìz.
 
Frattanto tra il 1928-29 divampava una vera e propria guerra civile. Mentre Pio XI l’8 giugno 1928 scrisse una «Lettera a los pueblos de America en favor de México perseguido», il cardinale Gasparri propendeva ancora per la via di prudenti negoziati riservati e guardava con diffidenza la «Liga» e ci riavviava così nel 1929 verso un «modus vivendi» di tolleranza pratica, da parte del governo messicano, della libertà ecclesiastica. Tale accordo pratico spiacque ai radicali cattolici e a quelli laicisti. Da parte del Vaticano si esigeva un’amnistia completa per clero e laici, la restituzione delle proprietà ecclesiastiche e la garanzia di relazioni senza alcuna restrizione tra Roma ed episcopato messicano. Per la Santa Sede tutto ciò non era l’ideale ma de facto ci si poteva accontentare di questa tolleranza pratica per evitare mali maggiori alla chiesa messicana. L’ala intransigente dell’episcopato si adeguò in pratica alle direttive vaticane, pur non rinunciando de jure alle proprie posizioni «radicali». Ma tra i fedeli si era scavato un solco fra intransigenti e dialoganti.
 
Tuttavia gli accordi («arreglos») del 1929 non durarono molto, lo Stato non li mise in pratica volentieri e già nel 1931 si tornò alla persecuzione. Pio XI pubblicò l’enciclica «Acerba animi», 29 settembre 1932, in cui invitava i cattolici «ad obbedire alla legge e a difendere la Chiesa». Scoppiò quindi la seconda «cristiada» (1932-34), cambiò anche la strategia dell’episcopato e l’azione della Santa Sede, «che nel 1937 con l’enciclica ‘Firmissimam Constantiam’ assunse una decisa presa di posizione, e contribuì a rafforzare la presenza pubblica del cattolicesimo intransigente» (17).
 
In essa il Papa scriveva: «Fra voi si è detto che, qualora questi poteri insorgessero contro la giustizia e la verità al punto di distruggere le fondamenta stesse dell’autorità, non si vedrebbe come condannare quei cittadini che si unissero per difendere con mezzi leciti e idonei se stessi e la Nazione (…). Se la soluzione pratica dipende dalle circostanze concrete, dobbiamo tuttavia da parte Nostra ricordarvi alcuni principi generali, da tener sempre presenti, e cioè: (…) che l’uso di tali mezzi (…) o di difesa violenta, non entrano in alcun modo nei compiti del clero e dell’Azione Cattolica come tali, benché ad essi appartenga preparare i cattolici a far retto uso dei loro diritti».
Ossia il clero in quanto tale e l’Azione Cattolica in quanto associazione direttamente mandataria dell’episcopato, non debbono usare mezzi violenti, ma possono e debbono preparare i fedeli laici a impiegare lecitamente anche il diritto della resistenza armata contro un ingiusto aggressore.
 
Conclusione

La leggenda di Pio XI «Papa liberale» è sfatata dai fatti storici e dai princìpi dei documenti magisteriali promulgati da Papa Ratti (18). Infatti,
 
A) se una parte dell’episcopato messicano preferiva, per evitare un male maggiore, trattare giuridicamente col governo al fine di ottenere la libertà per la Chiesa, vi era un’altra parte dell’episcopato che preferiva la resistenza, prima passiva, poi attiva e in ultimo armata, per ottenere lo stesso risultato.
B) La dottrina cattolica insegna che è lecito pattuire giuridicamente, a condizione di non ledere i principi delle fede e del diritto naturale e divino. Dunque non vi è stato peccato di liberalismo nella pratica «concordataria» di una parte dell’episcopato, anche se essa si è poi rivelata una chimera. Al massimo si può dire che vi fu un errore pratico di valutazione sui mezzi migliori da prendere, ma non che vi sia stato cedimento sui princìpi o scelta di mezzi cattivi in sé. Così pure - per la dottrina cattolica - è lecito, come extrema ratio, resistere attivamente ed anche con le armi a certe determinate condizioni (essere sicuri moralmente della riuscita della rivolta e che la situazione posteriore non sarà peggiore di quella anteriore). Ora i «cristeros» avrebbero potuto vincere (ma tuttavia non ve ne era la certezza) e ridare la libertà alla Chiesa. Quindi anche la loro condotta non fu biasimevole, anzi, essa si sarebbe rivelata poi - praticamente - la migliore. I «cristeros» obbedirono all’episcopato (a differenza di Maurras) e questo si lasciò dirigere da Roma (a differenza dei gallicani).
C) La tattica della Segreteria di Stato fu più «conciliazionista» di quella del Papa.
D) Pio XI, che già il 2 febbraio 1926 («Paterna Sane Sollicitudo») «aveva alzato il tono della critica» (M. De Giuseppe) e l’11 luglio 1926, aveva appoggiato l’episcopato messicano nella decisione di sospendere il culto (a differenza di Gasparri, che manteneva le sue perplessità su tale divieto), nel 1929 appoggiò (pur con qualche dubbio pratico) la tattica del dialogo giuridico, onde evitare una guerra civile; nel 1932, però, cambiò strategia, (distanziandosi dal cardinale Gasparri che opinava ancora per gli accordi giuridici) davanti al fatto che il governo messicano non aveva rispettato i patti. Infine, nel 1937 dette il nulla osta alla rivolta armata dei fedeli laici, escludendo dalla lotta armata - ma non dalla direzione e protezione degli insorti - soltanto il clero e l’Azione Cattolica in quanto associazione direttamente mandataria del clero.

Per gentile concessione di don Curzio Nitoglia





1) Su Pio XI, l’Action Française e Maurras ho già scritto su questo sito.
2) Anche durante il pontificato di Pio IX la Chiesa stipulò numerosi patti con i governi liberali nell’America latina. «Fra il 1853 e il 1863, Roma era riuscita a concludere una serie di concordati soddisfacenti, ma dopo il 1870 la situazione mutò con il ritorno al potere dei liberali (…). Nel Messico il potere passò ai democratici nel 1855, che si affrettarono a sopprimere gran parte dei privilegi del clero». A. Fliche - V. Martin (diretta da), «Storia della Chiesa», Torino, Saie, 1969, volume XXI/2, «Il pontificato di Pio IX (1846-1878)», parte seconda, pagine 678 e 680. Ciò non significa che Pio IX sia stato un liberale. «La Santa Sede riuscì anche a concludere tra il 1852 e il 1862 sette concordati o convenzioni (in America latina), molti dei quali non ebbero che scarsi effetti, ma che erano segno di un miglioramento di rapporti tra la Chiesa e i governi (…), prima del trionfo pressoché generale dei liberali negli ultimi decenni (dell’Ottocento)». H. Jedin (diretta da), «Storia della Chiesa», Milano, Jaca Book, 1975, volume VIII/2, «Liberalismo e integralismo. Tra Stati nazionali e diffusione missionaria (1830-1870)», pagina 283. Come si vede anche Pio IX si accontentava di un concordato dal risultato insoddisfacente, purché rispettoso dei principi cattolici e finalizzato ad evitare mali peggiori, senza dover essere per questo «liberale».
3) G. Sale, «La difficile conciliazione tra Stato e Chiesa in Italia», in La Civiltà Cattolica, 21 febbraio 2009, pagine 325, 327 e 329.
4) K. Bihlmeyer - H. Tuechle, «Storia della Chiesa. L’epoca moderna», Brescia, Morcelliana, 1983, 4° volume, pagina 284.
5) Si parla di 25. 000 morti tra i «cristeros», 20.000 tra i civili e 25.000 tra l’esercito governativo, oltre 200.000 tra sfollati e profughi (confronta M. De Giuseppe).
6) K. Bihlmeyer - H. Tuechle, «Storia della Chiesa. L’epoca moderna», Brescia, Morcelliana, 1983, 4° volume, pagina 382.
7) H. Jedin (diretta da), «Storia della Chiesa», Milano, Jaca Book, 1975, volume X/2, «La Chiesa nei vari Paesi ai nostri giorni (XX secolo)», pagina 704.
8) H. Jedin (diretta da), «Storia della Chiesa», Milano, Jaca Book, 1975, volume X/2, «La Chiesa nei vari Paesi ai nostri giorni (XX secolo)», pagina 705.
9) H. Jedin (diretta da), «Storia della Chiesa», Milano, Jaca Book, 1975, volume X/2, «La Chiesa nei vari Paesi ai nostri giorni (XX secolo)», pagina 706.
10) H. Jedin (diretta da), «Storia della Chiesa», Milano, Jaca Book, 1975, volume X/2, «La Chiesa nei vari Paesi ai nostri giorni (XX secolo)», pagina 706.
11) A. Fliche - V. Martin (diretta da), «Storia della Chiesa», Cinisello Balsamo, San Paolo, 1990, volume XXIV, «Dalle missioni alle chiese locali (1846-1965)», pagina 500.
12) M. De Giuseppe, «Messico 1900-1930. Stato, Chiesa e popoli indigeni», Brescia, Morcelliana, 2007, pagine 338-339. Confronta anche Jean Meyer, «La cristiada», Città del Messico, Siglo XXI, 1971-73.
13) M. De Giuseppe, «Messico 1900-1930. Stato, Chiesa e popoli indigeni», Brescia, Morcelliana, 2007, pagine 337-446.
14) M. De Giuseppe, «Messico 1900-1930. Stato, Chiesa e popoli indigeni», Brescia, Morcelliana, 2007, pagina 353.
15) M. De Giuseppe, «Messico 1900-1930. Stato, Chiesa e popoli indigeni», Brescia, Morcelliana, 2007, pagina 353.
16) M. De Giuseppe, «Messico 1900-1930. Stato, Chiesa e popoli indigeni», Brescia, Morcelliana, 2007, pagine 354-355.
17) M. De Giuseppe, «Messico 1900-1930. Stato, Chiesa e popoli indigeni», Brescia, Morcelliana, 2007, pagina 454.
18) Dal punto di vista filosofico-teologico, Pio XI volle riportare in auge, seguendo la linea di Leone XIII e San Pio X, il tomismo contro ogni forma di immanentismo liberale e modernistico, con la enciclica «Studiorum duce» del 1923. In campo sociale-politico istituì la festa liturgica di «Cristo Re» e scrisse la «Quas primas» sulla regalità sociale di Gesù Cristo nel 1926; ad essa seguirono la «Divini illius magistri» del 1929, sulla esatta nozione di educazione della gioventù, la «Quadragesimo anno» sulla questione dei rapporti tra capitale e lavoro nel 1931, la condanna del comunismo come «intrinsecamente perverso», con la «Divini Redemptoris» del 1937. In materia dogmatica nel 1928 condannò il falso ecumenismo, con la «Mortalium animos». In campo ascetico, condannò ogni forma di americanismo e falso misticismo con la «Mens nostra», sugli «Esercizi Spirituali» di Sant’Ignazio da Loyola, nel 1929 e la «Ad catholici sacerdotii» nel 1935, sulla retta definizione del sacerdozio cattolico. Infine, «in re morali» scrisse la magistrale «Casti connubii»  nel 1930. Come si vede, le idee di Pio XI sono l’esatto contrario per diametrum di ogni forma di liberalismo, naturalismo, immanentismo, laicismo e modernismo, condannati già nella sua prima enciclica «Ubi arcano Dei» del 1922, che è il programma del suo pontificato: la pace tra uomini e nazioni (appena uscite dalla prima guerra mondiale) potrà sussistere solo se si tornerà sinceramente a Cristo, non solo individualmente ma anche socialmente. Onde accusarlo di essere un Papa «liberale», significa o non aver letto il suo magistero o essere in mala fede.



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