Già nella sua prima enciclica «Summi Pontificatus» (20 ottobre 1939), contenente il
programma del suo pontificato, Pio XII aveva scritto che il mondo attuale (anni
Trenta-Quaranta) era immerso nel culto del presente, attaccato disordinatamente
ai beni della vita terrena e noncurante della Legge divina. E’ un mondo
spiritualmente debole e bisognoso, ma che invece si ostina a non voler che
Cristo regni su di lui. Papa Pacelli pone il suo pontificato sotto il segno di
Cristo re. Parla di apocalittiche previsioni di sventure imminenti e future. Il
tempo presente ha aggiunto ai vecchi, nuovi errori, spinti al parossismo. La
radice prossima dei mali dell’epoca odierna è la negazione dell’esistenza reale
di un Dio personale e trascendente e quindi di una morale oggettiva e
universale inscritta nel cuore dell’uomo, sua origine è il protestantesimo, o
soggettivismo religioso. Da questa duplice negazione, nasce la fine della pace
e della prosperità degli Stati. Se è vero che anche in passato vi furono
guerre, tuttavia si sapeva distinguere il bene dal male, anche se si faceva
pure ma non solo quest’ultimo. Attualmente, però si è persa la sinderesi.
L’assolutismo è un’idolatria, che attribuisce allo Stato le caratteristiche di
Dio o Essere Assoluto. Donde la deficienza di ogni società civile, che si fonda
non su Dio, ma unicamente sulle capacità umane. Pacelli non condanna solo la
statolatria totalitaria e assoluta della razza (nazionalsocialismo, 1933), ma «anche
quella che faderivare ogni potere
dal popolo» (democratismo di
Jean-Jacques Rousseau, +1778) e quella che fa derivare tutto dalla classe (comunismo
sovietico, 1917). Il totalitarismo sovietico della classe e quello germanico
della razza hanno portato alla seconda guerra mondiale, ma occorre guardare al
futuro per restaurare la società, una volta passata la bufera. Occorre
ristabilire i principi dalla retta ragione, del diritto naturale e della divina
Rivelazione, che è stata ultimata da Cristo. Pio XII cita la enciclica «Quas
primas» di Pio XI (1925) sulla
regalità sociale di Cristo e riafferma che solo se la società tornerà a Lui
troverà il vero ordine. Infine conclude che l’epoca attuale è una vera «ora
delletenebre» e l’immane flagello della guerra mondiale è forse solo «l’inizio dei dolori». Tuttavia Cristo re non è mai tanto vicino come nell’ora della
prova, che è l’ora della fedeltà. Purtroppo quando il cristianesimo assicura la
potenza tutti lo seguono, ma quando porta la persecuzione moltissimi lo
abbandonano. Oggi gli uomini parlano di progresso e invece indietreggiano, di
elevazione ma si degradano, di maturazione mentre divengono schiavi. Questi
sono i principali enunciati della prime enciclica di Pio XII. Secondo don Julio
Meinvielle essi - come il radiomessaggio del Natale 1944 - sono diametralmente
opposti ad ogni democratismo o mito religioso della «democrazia» moderna
come bene assoluto («Nuestro Tempo», numero 26, 16 marzo 1945), la quale è una forma di idolatria
della massa e della falsa libertà, condannata da Papa Pacelli sia nel 1939 come
nel 1944.
b) Il radiomessaggio (1944)
Il Papa inizia il suddetto radiomessaggio, ricordando che il
Natale del 1944 coincide con il sesto anno di guerra. Se questa non è ancora
terminata, volge tuttavia al termine (ancora quattro-cinque mesi) e «le
moltitudini, irrequiete, travolte dalla guerra, sono oggi invase dalla persuasione (…) che,
se non fosse mancata la possibilità di sindacare e correggere l’attività dei poteri pubblici, il mondo non sarebbe stato trascinato nel
turbine disastroso della guerra» (1). Pacelli si
rende conto e constata semplicemente che l’Asse Roma-Berlino-Tokio oramai va
verso la sconfitta e che i cittadini delle tre suddette nazioni - di fronte a
tanto sfacelo - attribuiscono (a torto o a ragione) alla dittatura la colpa
della guerra e disfatta e vedono nella «democrazia» la possibilità di ricostruzione.
Ora, di fronte a tale cambiamento di opinione da parte dei popoli, che pure
avevano largamente aderito ai regimi autoritari nei primi decenni del Novecento
sino alla conflagrazione mondiale e al suo volgere al peggio (1943), ne prende
atto e cerca di insegnare quale sia la vera «democrazia» e quale la
falsa, in modo tale da preservare l’umanità da una ulteriore e ancora più
cocente illusione. Egli cita Leone XIII («Libertas», 20 giugno 1888), il quale aveva insegnato che «la
Chiesa non riprova nessuna delle varie forme di governo, purché adatte a procurare il bene dei
cittadini» e affronta la realtà
- che non sempre è l’ideale - esclamando «Noi indirizziamo la Nostra attenzione al
problema della democrazia, per
esaminare secondo quali norme deve essere regolata, per potersi dire una vera e sana democrazia» (2).
Ossia il Papa non è un fanatico della democrazia come l’optimum, anzi essa
potrebbe anche essere falsa e insana, ma capisce che essa oramai (fine del
1944) è diventata un problema e cerca di risolverlo dando le regole del diritto
naturale e cristiano, le quali impediscano il sorgere di una erronea e malsana
forma di governo, la quale sotto il nome di democrazia, nasconda la sostanza
della «dittatura del relativismo e opinionismo». Innanzitutto, Pacelli ricorda che «la democrazia, intesa in senso largo, ammette varie forme e può attuarsi così
nelle monarchie (vedi Gran Bretagna e Belgio, nda) come nelle repubbliche» (3). Poi dà le
regole ai cittadini per essere ben governati ai cittadini e quindi ai
governanti quelle per ben dirigere la res publica.
a) I cittadini
Debbono essere «popolo» e non «massa», ossia «agglomerazione
amorfa di individui (…) la massa è
per sé incerta e non può essere mossa che dal di fuori (…), facile trastullo nelle mani di chiunque ne
sfrutti gli istinti o le impressioni,
pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell’altra bandiera.
(…) Della forza elementare della
massa, abilmente maneggiata ed usata, può servirsi lo Stato: nelle mani ambiziose di uno solo o di più (…). Quale spettacolo offre uno Stato
democratico lasciato all’arbitrio
della massa! La libertà (…), si
trasforma in una pretensione tirannica di dar libero sfogo agli impulsi e agli
appetiti umani a danno degli altri» (4). Nel popolo
invece «tutte le ineguaglianze, derivanti
non dall’arbitrio, ma dalla natura stessa delle cose, ineguaglianza di cultura, di averi, di posizione sociale (…), non
sono affatto un ostacolo all’esistenza
e al predominio di un autentico spirito di comunità e fratellanza» (5). Come si vede Pio XII aveva
previsto il pericolo di una deriva tirannica della «democrazia della massa
amorfa» (quale oggi essa è
divenuta de facto nel mondo «occidentale»), sfruttata da alcuni poteri in vista
del proprio interesse e non del benessere comune temporale dei cittadini,
subordinato a quello spirituale. Dopo averlo previsto, lo ha condannato ed ha
proposto i rimedi per evitarlo, ma - oggi costatiamo - invano. D’altro canto
egli ha riprovato l’egualitarismo livellatore delle diversità e ineguaglianze,
che «non ledono la giustizia e carità», dacché non tutte le ineguaglianze sono per sé buone, infatti ove
esse siano contrarie alla virtù di giustizia (dare a ciascuno il suo) e alla
carità (amare il prossimo come noi stessi, per amor di Dio), esse sono
disordinate e peccaminose.
b) I governanti
Lo Stato democratico - secondo il Papa - deve avere e
riposare su una concezione dell’autorità conforme al diritto naturale e
cristiano. Se si nega l’autorità non vi è più Stato, ma anarchia e disordine;
se si esagera il potere dell’autorità umana, dissociandolo da quella divina, si
ha la tirannide. Pacelli ricorda che l’autorità «non può avere altra origine che in un Dio personale, nostroCreatore»
(6). Come si vede la sua
concezione di democrazia non ha nulla in comune con quella moderna, secondo la
quale il potere viene dal basso o dal popolo e non dall’alto o da Dio. Inoltre,
il Papa ricorda che la vera «dignità dell’uomo è la dignità dell’immagine
di Dio» (7). Ossia l’uomo ha valore o «dignitas» solo in quanto corrisponde alla sua natura di persona
intelligente e libera, fatta per conoscere il vero e amare il bene. Onde se
aderisce all’errore e fa il male, perde la sua vera dignità o valore di «immagine di Dio». Così lo Stato «è la dignità della comunità morale, voluta daDio»
(8). Vale a dire, lo Stato è
voluto da Dio e dalla natura come l’unione di più uomini e famiglie per
ottenere un fine comune, sotto un’autorità. Infatti l’uomo, per natura, è
animale socievole, fatto per vivere in società o comunione morale. Onde, se lo
Stato perde questa connotazione, perde ipso facto anche valore o dignità.
Infine, Pio XII riafferma che l’autorità umana è tale in quanto «partecipazione
all’Autorità divina». Perciò, asserire che Pio XII sia
stato un Papa «democratico» nel senso moderno del termine, è
assolutamente contrario alla realtà.
c) Il pericolo dell’insana democrazia
Pio XII mette in guardia contro l’assolutismo di Stato,
quale corruzione della sana forma di governo «democratica». Questo
accade quando si attribuisce allo Stato «un potere senza limiti né freni, chefa
anche del regime democratico, nonostante
le apparenze contrarie ma vane, un
puro e semplicesistema di
assolutismo»
(9). Ossia, le apparenze
ingannano («all’esterno tanti Dèi,
all’interno farisei»). Anche la
democrazia può essere assolutismo, e molto più dei regimi autoritari, che nel
dicembre 1944 volgevano al termine. Infatti, il Papa in un’udienza del 1°
maggio 1944 «si lamentò (…) che gli
Alleati a volte bloccavano le navi cariche di vettovaglie o addirittura mitragliavano
icamion della missione alimentare.
«E’
recente il mitragliamento di una colonna
di 50 autocarrivaticani da
bassissima quota in pieno giorno, da
parte di velivoli anglo-americani, e
quanto aglisforzi fatti per ottenere
che le navi vaticane portino vettovaglie, non si riesce ancora ad averrisposta
dal governo inglese, mentre quello
tedesco ha già risposto affermativamente. Bisogna riconoscere che in quest’ultimo periodo ha più riguardi per il
Vaticano il governo tedesco, che nongli Alleati» (…). Il Papa si lamentò (…) anche degli Alleati, per il
bombardamento di Castelgandolfo, e per il loro modo di condurre la guerra in
Italia, cioè «bombardando le città abitate da civili inermi (G. Sale, «I
rifugiati in Laterano al tempo dell’occupazione
nazista di Roma», in La Civiltà
Cattolica, 20 dicembre 2008, pagine 542 e 548)». Inoltre - conclude il Papa - assolutismo di Stato o democrazia
insana non è la «monarchia assoluta», ma consiste «nell’erroneo
principio che l’autorità dello Stato sia
illimitata»
(10). Onde la regula
capitalissima di ogni buon governo, sia monarchico che democratico, è «la
conformità all’ordine voluto dal
Creatore» (11).
La dottrina
tradizionale
San Tommaso, insegna che le forme di governo sono tre:
monarchia, aristocrazia e democrazia (che, in senso stretto, è una
degenerazione della politìa). Per l’Aquinate la prima forma di governo è la
monarchia (governo di uno solo); essa può degenerare in tirannia. La seconda è
l’aristocrazia (governo dei migliori) che può degenerare in oligarchia
(tirannia di pochi). La terza è la politìa (governo della moltitudine o dei
cittadini) o timocrazia (governo in cui le cariche sono assegnate in base
all’onore (timé), che tutti possono avere, anche i semplici cittadini), la
quale può degenerare in democrazia (tirannia della massa); oggi, tuttavia, al
posto di politia o timocrazia è prevalsa la parola democrazia (che anticamente
aveva in sé una valenza negativa), la quale può degenerare in «demagogia». Pio XII ha voluto evitare che la democrazia degenerasse in
demagogia, come poi - invece - è avvenuto. Nel «Commento alla politica» di Aristotele, l’Angelico spiega
meglio il concetto di politìa. Essa è una forma di governo che conserva
l’ordine pubblico, l’esecuzione delle leggi e la tranquillità dello Stato ed
amministra la giustizia tramite i magistrati e i loro ministri, ossia i
militari che oggi si chiamano anche «polizia». Onde la politia è il governo dei
magistrati, mentre la «democrazia» è il governo della massa informe e
quindi è una degenerazione della politìa. La politìa è una via di mezzo tra due
vizi (l’eccesso o oligarchia e il difetto o democrazia), che si fonda sulla «sanior pars populi» e non sulla massa o sull’aristocrazia. In essa la partecipazione
degli onesti e validi cittadini alla vita politica è la più vasta e intensa
possibile, ogni capace cives deve poter partecipare all’esercito, alla
magistratura e al governo (12).
Conclusione
Come si evince, la dottrina tradizionale (da Aristotele a San
Tommaso e Leone XIII) è stata ripresa da Pio XII e applicata alle contingenze
del suo tormentatissimo pontificato. Pacelli non ha innovato nulla, ha solo
calato i principi immutabili dalla filosofia politica nel caso concreto (fine
1944), evitando l’eccesso (non tener conto delle circostanze) e il difetto
(dimenticare i principi), per evitare il neo-totalitarismo democratico e
tecnocratico, in cui viviamo oggi, nel quale le leggi, le istituzioni e i
governi, conculcano sub specie democratiae il diritto naturale e divino,
riducendo i cittadini a massa e non popolo, in oppressi - senza violenza fisica
ma «democraticamente» - e manipolati - psicologicamente ma
dolcemente - e non più uomini dotati di intelletto e volontà, creati ad «immagine e somiglianza di Dio».
«Uomini siate, e non pecore matte,
sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida!» (Paradiso, V, 81)
Per gentile concessione di don Curzio Nitoglia
1)
Pio XII, «Ai popoli del mondo intero»,
Radiomessaggio natalizio, 24 dicembre 1944, in «Atti ediscorsi di Pio XII», Volume VI -1944»,
Roma, Pia Società San Paolo, 1945, pagine 165-166.
2)
Ibidem, pagina 166.
3)
Ibidem, pagina 167.
4)
Ibidem, pagine 168-169.
5)
Ibidem, pagina 169.
6)
Ibidem, pagina 171.
7)
Ivi.
8)
Ivi.
9)
Ibidem, pagina 174.
10)
Ivi.
11)
Ivi.
12)
Confronta R. Spiazzi, «Enciclopedia del pensiero sociale cristiano», ESD, Bologna, 1992, pagine 54-57. Idem
, «Lineamenti di etica politica»,
Bologna, ESD, 1989.
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