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Liberismo come gnosi
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Donoso Cortes ha mostrato che la radice di ogni forma del Politico è essenzialmente teologica. Presupposto della monarchia è la teologia cattolica del Dio personale, per rapporto analogico;
mentre la democrazia è fondata su una teologia panteistica per la quale il divino è l’impersonale substrato della manifestazione (1). Sulle orme del grande ispanico, ci proponiamo di dimostrare l’esistenza di una radice teologica anche dietro le teorie economiche correnti, in specie del liberismo.

Per questo è necessario porre alcune premesse, per l’appunto, teologiche. Per la teologia cattolica, l’essere è «partecipato» da Dio, e ciò spiega il rapporto di analogia (ma non di identità) tra Dio e le sue creature. Dio, causa prima e increata, ha impresso all’atto della creazione un ordine al creato mediante le leggi, cause seconde, che ne mantengono e regolano l’esistenza. Tale ordine naturale, pur essendo immanente alla creazione, promana tuttavia in ultima istanza da Dio. Egli dunque, perfettamente autosufficiente, crea per Sua libera volontà gli esseri naturali e i preternaturali senza affatto degradarsi in essi perché, pur nella partecipazione gratuita dell’Essere divino all’essere creaturale, sussiste una distinzione assoluta e irriducibile; senza che tuttavia sussista opposizione né separazione tra Dio e gli esseri da Lui liberamente partecipati.

Nella fulgida luce dell’Aquinate, i teologi della Politica quali Vitoria, Molina e Soto, hanno illuminato il fatto che, anche «originariamente», ossia nello stato d’innocenza precedente al peccato originale, si contemplava la presenza del Politico. Per contro, come noto, la tradizione agostiniana ritiene la Politica e le sue forme (a cominciare dallo Stato) frutto del peccato: da cui l’equivoco errore del cosiddetto agostinismo politico medievale il quale partendo dalla difesa (teologicamente sacrosanta e a quel tempo storicamente necessaria) della «libertas Ecclesiae», tuttavia sfociò in una non-ortodossa teocrazia o meglio clericocrazia. Ma la tradizione tomista afferma inequivocabilmente la «naturalità» del Politico e dello Stato; li riconduce dunque all’ordine provvidenziale ab origine impresso da Dio alla creazione. Per questa tradizione, è l’imperfezione introdotta dal peccato originale la causa dei mali e degli aspetti coercitivi e sopraffattori che la storia riscontra nel Politico, senza però cadere nell’abbaglio di sconsacrare o demonizzare la vita sociale extra-ecclesiale o addirittura laicale.

Il diritto naturale cristiano nulla ha inoltre a che fare con il giusnaturalismo illuminista; la lex naturalis è nella teologia cattolica parte di una più vasta legge morale eterofondata. San Tomaso d’Aquino, portando a cristiano compimento un’intuizione aristotelica, identificò tale legge naturale con la natura sociale dell’uomo, unico essere razionale. L’ordine naturale contempla, come riflesso di una più alta perfezione divina, l’articolarsi dell’umanità-una nella pluralità ineliminabile (se non ponendosi contra naturaram) di popoli, culture, nazioni, comunità e corpi intermedi universalmente (cattolicamente) predisposti sin dall’origine ad una universale e verticale ordinatio ad unum intesa come armonizzazione e valorizzazione - e non come eliminazione - delle differenze, in una continua dinamica di interazioni spirituali e culturali creatrice di nuovi popoli e nazioni. Bisogna infatti comprendere che per la tradizione tomistica l’ordine soprannaturale non annulla, ma al contrario perfeziona l’ordine naturale («Gratia naturam supponit, non tollit sed perfecit»); sicché la glorificazione gratis data dell’uomo sommamente partecipato da Dio avviene senza affatto annientare l’identità della creatura - perché è proprio tale identità ad essere amata da Dio. Per questo a ciascuno di noi Egli dice: Ego vocavi te nomine tuo, ti ho chiamato (a Me) con il tuo nome proprio e singolare.

Alla luce della Rivelazione e contro ogni tradizione gnostica (o protestante), il male non può essere creduto come qualcosa di sostanzialmente proprio alla creazione, quasi essa fosse manicheisticamente opposta al Creatore. E anche l’evento che determinò la caduta originaria - e che la Tradizione connette alla luciferina pretesa di autosufficienza - non fu tale da deturpare la natura umana in modo irrimediabile e assoluto: tale natura perse, per dirla con il linguaggio patristico, l’originaria somiglianza, ma non l’immagine del suo Creatore, che essa reca in sé indelebile anche nella condizione post-adamitica. Allo stesso modo l’ordine naturale originario non può ritenersi del tutto annichilito dal peccato di Adamo: esso è rimasto in qualche modo ancora attingibile all’uomo, sebbene non perfettamente: perché l’umana coscienza sìa pienamente consapevole della Legge naturale è necessario (come era del resto anche in origine) il soccorso della Grazia.

Dunque il cattolicesimo tradizionale non consente svalutazioni pessimistiche dell’uomo e del mondo, come nemmeno accetta ogni utopico ottimismo da bon sauvage. Con sano realismo coglie l’evidenza di una creazione senza dubbio offuscata dalla presenza (innaturale) del Male, connessa alla presenza preternaturale del Maligno, ma debitrice di una Promessa di redenzione, unilaterale, da parte di un Creatore innamorato della sua creatura.

Politica, diritto ed economia, per la dottrina cattolica, appartengono all’ordine naturale e perciò hanno un loro positivo valore. Ciò non significa che la loro autonomia debba ritenersi ab-soluta, svincolata dall’ordine superiore del quale il diritto naturale è parte, cosi come quest’ordine
naturale, pur sfigurato dal peccato, non può ritenersi sciolto dall’Ordine soprannaturale di cui è veicolo, coi sacramenti, la tradizione e il magistero, la Chiesa.

Alla teologia cattolica si oppone dall’inizio la pseudo-teologia della gnosi. Essa concepisce gli esseri come caduti da un’innominabile e informe oscurità primordiale variamente indicata nei miti gnostici come «Vuoto», «Uno», «Silenzio», «Tutto», «Nulla»: termini tutti comunicanti l’idea di un olismo panteistico (2). Tale caduta sarebbe «degradazione», in quanto comporterebbe la differenziazione, illusoria, tra gli esseri evocati alla manifestazione dall’interno di quel substrato divino e indifferenziato che si ritiene permeare immanentemente il cosmo.

Dunque, per la gnosi, non c’é creazione, né bontà del mondo creato; anzi il mondo é svalutato come prigione o «illusione» (maya), degradazione rispetto all’originaria informità. In tale anti-teologia non c’é posto per alcuna analogica distinzione tra Ordine soprannaturale e ordine naturale, ma solo per l’assoluta indistizione panteistica. Da tale indistinzione, consegue la negazione di qualsiasi ordine naturale che, in quanto riflesso di una superiore perfezione sovrannaturale, contempli reale diversità e varietà tra gli esseri, finalizzati dall’alto a una trascendente e verticale uni-pluralità; nonché l’affermazione, come unica vera realtà, dell’originario e indistinto caos primordiale: da cui un malvagio demiurgo ci avrebbe tratti per una perfida volontà di vederci soffrire.

Per la gnosi dunque la salvezza é un’auto-salvazione: che sta nel rifiuto del mondo e della propria identità creaturale (che sarebbe infida illusione) per dissolvere se stessi e il mondo nell’informe primordiale, con un atto di auto-affermazione prometeica. E’ la volontà di potenza che, nella sua espressione veramente luciferina, tende alla distruzione nichilistica dell’ordine naturale come di ogni preteso ordine etero-fondato. «Opera al nero», la salvezza gnostica é un percorso a ritroso dal distinto all’indistinto, dal manifesto al non-manifestato; itinerario verso il basso, dato che l’informe é ritenuto soggiacente al formale.

Di qui la tensione dello gnostico di infrangere ogni limite: naturale, morale, giuridico, poiché la finitudine non sarebbe che la degradazione propria all’imperfezione-illusione della realtà manifestata.

Nelle forme secolarizzate della gnosi, come sono in sostanza tutte le teorie politiche moderne ma anche le teorie economiche che quelle ideologie comportano, la dissoluzione dell’ordine naturale vien perseguita attraverso il mito del «mondo nuovo» (3). Già nel monismo hegeliano si manifesta la volontà di negare il mondo come dato oggettivo da contemplare a lode del suo Creatore, per assumerlo come limite malvagio che si oppone alla volontà umana di onnipotenza. Il compito dell’uomo in tale prospettiva é di violentare la realtà, trasformare soggettivisticamente il mondo per «purificarlo» e «rinnovarlo» spezzandone gli intrinseci limiti naturali: questo é il vero senso della «rivoluzione», atto riservato alla elite iniziata agli arcani del’ideologia e quindi deputata alla guida del processo sowertitore del vecchio ordine a cui crede la plebe profana.

L’atto «magico-rivoluzionario» puo assumere sia formà ideologia, sia tecnocratica. Ma se l’ideologia é stata prevalente nella fase della modernità, nella fase post-moderna e nichilista della secolarizzazione tendono a prevalere le forme tecnocratiche, per loro natura post-ideologiche: forme «neutrali» in apparenza, ma in cui é dato veder connesse le pulsioni irrazionalistiche autodistruttive proprie del post-moderno, con le sue manifestazioni sociali di psico-magismo, fino alle manifestazioni di una sacralità invertita e necrofila.

Questi tratti di gnosi si ravvisano integralmente anche nella dottrina economica libero-scambista. Anch’essa infatti mira alla fusione-dissoluzione di quelle realtà di diritto naturale che sono i popoli, le nazioni, i corpi intermedi e le comunità organiche: con la giustificazione che queste realtà naturali ostacolano l’unità orizzontale e immanente del mercato-mondo, che gli Stati nazionali provocano «interruzioni di flusso» nel circuito planetario delle operazioni finanziarie speculative, di quel liberissimo «movimento di merci, uomini» e (soprattutto) «capitali», presentato come l’ideale e definitivo «mondo nuovo». Indifferenziato e informe, il «libero mercato planetario», auspicato in termini escatologici e palingenetici, si vuole assolutamente privo di qualsivoglia trascendenza: non solo religiosa, ma anche politica o giuridica. La teoria secondo la quale il primato totale dell’economia (con riduzione-dissoluzione della politica all’economia, e del diritto ad «amministrazione») farebbe cessare ogni conflitto si colora di umanitarismo pacifista: come per l’antico gnostico era l’esistenza delle leggi (l’obbedienza a norme, che sempre rimandano a un trascendente) a rendere infelice l’uomo e a creare la penuria sociale, sicché basta abolire le leggi perché torni l’abbondanza e la beatitudine originaria, cosi per la nuova gnosi: ogni trascendenza è generatrice di conflitto, e solo il confinamento definitivo dell’umanità in un orizzonte economico chiuso ad ogni motivazione che superi l’economia - il «mercato-mondo» - consegnerebbe l’umanità alla più totale neutralizzazione, provocando dunque la fine della storia.

Infatti, il mercato-mondo viene concepito come senza legge: disticamente auto-regolato dalla «mano invisibile». Si tratta qui in fondo, nella sua preter-realtà luciferina, di presumere l’intervento di quella stessa automatica spontaneità sociale che per Marx avrebbe dovuto rendere felice la società comunista compiuta: dove, senza bisogno di intervento di leggi, nella scomparsa dello Stato (Marx non era statalista, va ricordato), la nuova società a-statuale avrebbe dato «a ciascuno secondo i suoi bisogni e da ciascuno secondo le sue capacità»; nella più assoluta e prometeica immanenza neutralizzatrice dove ognuno, superata la divisione del lavoro, avrebbe potuto pacificamente cacciare la mattina, pescare il pomeriggio e filosofare la sera.

Allo stesso modo, Adam Smith presuppose che il mero pullulare degli interessi individuali, coniugati secondo la «legge della domanda e dell’offerta» resa libera da ogni ostacolo o considerazione extra-economica, si componga spontaneamente in un’armonia universale e senza ombre. E’ questa la «mano invisibile del mercato», e come si sa Smith ne trasse l’idea da quella Favola delle Api di Mandeville, secondo cui i «vizi privati» - il lusso, la lussuria, la ghiottoneria e simili - diventano, se non contrastati, la radice delle «pubbliche virtù» e prosperità, visto che per fabbricare oggetti di lusso, preparare cibi ghiotti e soddisfare lussurie lavorano operai, si accumulano capitali, funzionano macchine e si producono profitti. Un minimo di realismo e buon senso suggerisce in realtà che gli interessi, lungi dall’unire gli uomini, li dividono (e cosi i vizi); ma nella gnosi di Mandeville e Smith la «mano invisibile» è appunto la forma peculiare di quella occulta e informe «realtà spirituale» che, per ogni gnosi, celata dentro (o sotto) il mondo manifestato, lo agisce. E non sfuggirà la natura luciferina della suggestione ad abbandonarsi ai peccati e ai vizi per consentire alla «mano invisibile» di dispensare senza sforzo la felicità e il tornaconto universale: l’economista liberista ha come padre, non troppo segreto, il libertino nichilista.

Basterà dunque che l’umanità intera sia ridotta a un apolide e indifferenziato agglomerato di «produttori-consumatori», o di «venditori-acquirenti», di soggetti economici sciolti da ogni vincolo religioso, nazionale, comunitario o familiare, perché regnino, col benessere planetario, «pace e sicurezza»: quella «pace e sicurezza» al cui annuncio, ci ricorda l’Apostolo, «sarà la fine» (4).

Il progetto è in avanzatissimo stato di realizzazione. I flussi immateriali della speculazione finanziaria corrono, per mezzo delle tecnologie informatiche, da un capo all’altro del mondo, gonfiando la «bolla speculativa» senza alcun riguardo né rapporto, con l’economia reale. Questa, abbandonata dai capitali che si affollano nella finanza derivata (dove i profitti sono altissimi, come i rischi), è rimasta senza ossigeno: implodendo in recessioni, deflazioni e disoccupazione, con luciferina distruzione di posti di lavoro. Gli accordi GATT, abbattendo i dazi per favorire l’interazione globale e competitiva delle imprese transnazionali, mettono in concorrenza i lavoratori manifatturieri del primo e del terzo mondo; i livelli di vita tendono ad omogeneizzarsi (in arretramento, per i lavoratori del primo mondo). Vengono intanto imposti consumi omogenei, persino la varietà delle merci si riduce: analogo maligno della gnostica tensione verso la disintegrazione delle diversità nel pleroma planetario e indifferenziato.

Il profeta del nuovo mondo liberista, Adam Smith, funzionario della Compagnia delle Indie, teorizzò per primo il concetto del «vantaggio competitivo»: è importante capire che esso non afferma affatto il mantenimento della competizione economica fra imprese, ma al contrario la sua finale abolizione. Grazie all’abolizione di ogni barriera protezionistica ogni Stato, concepito come azienda, finirà per specializzarsi nella sola produzione che è in grado di produrre al prezzo più basso per l’esportazione, importando invece dagli altri Stati-azienda quelle merci che essi sanno produrre al prezzo più basso: la divisione internazionale del lavoro. L’economia, da tecnica («arte») di produrre «cose» reali per reali bisogni umani, viene mutata in una questione di vendite-acquisti, dominata in modo totale dalla finanza: non sono più le «cose» che contano, ma i loro prezzi, i profitti calcolati in valuta del loro export, i costi valutari per importarle. E questa filosofia economica del tutto anti-autarchica e anti-dirigista presume - gnosticamente - di conciliare il regno della necessità con quello della libertà.

Scriveva Adam Smith nel 1776: «Se tutte le nazioni seguissero il sistema liberale della libera esportazione e della libera importazione, gli Stati somiglierebbero alle diverse province di un grande impero». Ma anche: «Una volta che sono stati rimossi i sistemi preferenziali o vincolanti, il sistema ovvio e semplice della libertà si stabilisce da sé. Ogni uomo... è lasciato perfettamente libero di perseguire il proprio interesse nel modo che desidera e di entrare in concorrenza con la sua industria e il suo capitale con quelli di un altro uomo (...). Il sovrano è completamente svincolato da (...) il dovere di sovrintendere l’industria dei privati e di dirigerla verso gli impieghi più adatti agli interessi della società» (5).

E’ evidente che nell’invocata abolizione di tutti i «sistemi preferenziali o vincolanti», nella visione della società quale organizzazione acefala ed autosussistente svincolata da ogni eteronoma sovranità nazionale (anche da Marx avversata quale «trascendenza egemonica»), nell’invocazione alla più sfrenata libertà di concorrenza, si riveli il tipico odio gnostico per tutto ciò che è limite e vincolo naturale, gerarchia ed ordine metafisicamente sussistente dall’alto. Come la società comunista senza-Stato di Marx, il «grande impero» sognato da Adam Smith è un sistema da cui è scomparsa la sovranità-autorità («per sua natura discendente»), sostituita da un potere collettivo che sale automaticamente dal basso.

Ora, è proprio questo sogno d’onnipotenza - e quest’odio gnostico - che anima i cìrcoli mondialistici come la Trilaterale, il FMI, il Council of Foreign Relations, il Gruppo Bilderberg. Essi coltivano e con ogni mezzo promuovono l’idea, oggi di comune dominio, che è necessario abbattere ogni forma anche residuale di protezionismo nazionale o sociale per consentire, in un’ampia strategia globale per la gestione dell’interdipendenza, il superamento degli Stati nazionali in nome dell’efficienza e del mercato. George Ball, membro fondatore della Trilaterale, ha ben spiegato il ruolo giocato nella mondializzazione dalle multinazionali, «imprese impegnate ad estrarre materie prime in un gruppo di Paesi, trasformarle in merci industriali con il lavoro e gli impianti di un altro gruppo di Paesi, e poi venderle a un altro gruppo ancora».

Lo scopo: il massimo di efficienza e di profitto, usufruendo delle moderne tecnologie e telecomunicazioni planetarie per delocalizzare le industrie verso i Paesi a basso costo del lavoro. Naturalmente la crescita della disoccupazione nel primo mondo e l’obbligo, per le nazioni del Terzo Mondo che riescono ad attrarre investimenti solo grazie alla loro manodopera a poco prezzo, di rimanere per sempre «arretrate», per Ball e i suoi co-iniziati sono cose senza importanza. Di fatto, persino la promessa primaria dei fautori della globalizzazione - l’enorme crescita degli scambi, e quindi del benessere totale, che conseguirebbe all’abbattimento delle barriere doganali, per la riduzione dei prezzi delle merci - si è mostrata falsa: nella realtà, l’alba della globalizzazione ha prodotto una recessione delle economie avanzate, perché i consumatori del Primo Mondo (che dovrebbero comprare le merci prodotte dalle multinazionali, a buon prezzo, nel terzo Mondo) riducono i loro consumi, spaventati dalla precarietà e dalla diminuzione delle loro paghe.

Anche il socialismo «realizzato» ha mancato tutte le sue promesse, libertà, uguaglianza e abbondanza, e tuttavia i suoi custodi hanno continuato ad imporlo, incuranti del deperimento e della degradazione che la teoria provocava nella società sottostante. Allo stesso modo, la globalizzazione viene imposta a ritmi accelerati, nonostante l’eterogenesi evidente dei suoi fini, e il deperimento dell’economia che avrebbe dovuto invece «liberare». Anche quest’ostinazione rivela fino a che punto i promotori del liberismo globalizzatore, che si pretendono tecnocrati pragmatici e realisti, siano in realtà ideologi spietati, e ciechi alla realtà. Basta leggere i loro testi, nel loro gergo codificato, la «lingua di legno» (altro sintomo della gnosi).

«Il pubblico e i dirigenti politici della maggior parte dei Paesi vivono in un universo mentale che non esiste più, un mondo di nazioni separate», si legge in un Report della Trilateral Task Force.

«Il mondo è oggi più disposto a procedere verso un governo mondiale… la sovranità di un’elite intellettuale di banchieri mondiali è preferibile all’autodeterminazione nazionale che si praticava nei secoli passati», come recitò in un importante discorso d’apertura di David Rockefeller (della famiglia fondatrice della Trilaterale) alla riunione del Bilderberg tenuta a Sand, Germania, nel 1991. Simili propositi ci dicono non solo che il progetto mondializzante è stato perseguito con ostinazione assoluta. Ci dicono che esso è andato penetrando nelle coscienze, oggi non più chiuse «in un universo mentale che non esiste più», e che pertanto i suoi promotori sono stati capaci di cambiare - prima che la realtà - le difese interiori della povera umanità post-moderna: come il marxismo «realizzato» fu soprattutto una logocrazia, un potere imposto sul pensiero attraverso l’«ortodossia» del gergo comunista dalla psico-polizia ideologica. Ci dice infine che l’esperimento continuerà incurante dei disastri e dei guasti che produrrà nella realtà sociale ed umana: ciò è tipico delle ideologie come fu proprio delle gnosi antiche, pronte le une e le altre a far morire gli uomini, purché il Progetto viva.

Per un cattolico, questo meccanismo perverso (ed oggi, nella globalizzazione, tanto più occulto e poco perspicuo) non può fare a meno di ricordare l’opera di Colui che «fu omicida fin dal principio». E gli vien fatto di usare la difesa, cosi apparentemente fragile, della preghiera d’invocazione che dal Concilio Vaticano II non viene più pronunciata dopo la Messa: Sancte Michael Arcangele, defende nos in proelio (6).

Non senza ricordare come questa preghiera fu prescritta da Papa Leone XIII, il Papa della Rerum Novarum a cui la Massoneria fu tanto ostile. Un giorno del 1886, mentre assisteva a una Messa, Leone d’improvviso drizzò la testa per fissare intensamente qualcosa che evidentemente gli appariva sopra il capo del sacerdote celebrante: una visione, qualunque fosse, che lo terrorizzava. Riavutosi, il Pontefice si alzò bruscamente e allontanando tutti i presenti preoccupati del suo turbamento evidente, si chiuse nello studio e ne usci dopo mezz’ora con un foglio, che ordinò fosse copiato e diramato a tutti i vescovi: era il testo della preghiera a Michele Arcangelo. Secondo il cardinale G.B. Nasalli Rocca, il Pontefice gli avrebbe confidato d’aver visto, quel giorno, gli spiriti infernali che si addensavano in Roma per cercare di abbattere «ciò che trattiene» l’aperta irruzione del mysterium iniquitatis.

Luigi Copertino



1) Donoso Cortes, «Saggio sul Cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo», Milano, 1972.
2) A chi volesse approfondire la dinamica gnostica, suggeriamo i seguenti testi: E.Samek Lodovici,
«Metamorfosi della gnosi», Ares, Milano, 1991 ed E. Innocenti, «La gnosi spuria», Roma 1993.
3) Eric Voegelin, «Il mito del mondo nuovo», Rusconi, Milano, 1990.
4) Paolo, I Tessalonicesi, 5,3.
5) Adam Smith, «Ricerche sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni», 1776.
6) II testo della preghiera è: «San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia. Sii tu il nostro sostegno contro le perfidie e le insidie del demonio. Dio eserciti il suo dominio su di lui, supplici ti preghiamo! E tu, Principe della Milizia Celeste, con la potenza divina ricaccia nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano nel mondo per la rovina delle anime. Amen».



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