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Israele ha ingannato la IAEA
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La conferenza generale della IAEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica dell’ONU) ha ufficialmente ed esplicitamente interdetto attacchi militari ad installazioni nucleari «in qualunque parte del mondo», data l’ovvia pericolosità di tali operazioni. Sembra di capire che, da questo momento, chi compia simili attacchi violi una interdizione delle Nazioni Unite (1).

Sarà poco, e non certo abbastanza per frenare Israele. Ma è un successo diplomatico dell’Iran, che ha presentato la proposta alla Conferenza della IAEA – il massimo organo dell’Agenzia Atomica, che si riunisce ogni anno a Vienna per dare le direttive in fatto di non-proliferazione e di sicurezza nucleare – e se l’è vista accettare.

In questa stessa sede, a Vienna, Israele s’è procurata da sè un ulteriore danno diplomatico, rigettando l’invito (partito da Paesi arabi, ed accolto dalla IAEA) di fare del Medio Oriente una zona denuclearizzata («nuclear free»).

«Una zona denuclearizzata è impossibile in un Medio Oriente anti-israeliano», ha detto in sostanza Shaul Chorev, il capo della delegazione ebraica alla IAEA. Ma vale la pena di riportare le sue argomentazioni, onde il lettore possa giudicarne il valore e la credibilità (2).

Secondo Haaretz, Chorev ha «ripetutamente asserito che Israele non sarà la prima a introdurre armi atomiche nella regione»; Israele «sostiene fermamente il controllo delle armi atomiche», ma in Medio Oriente questo non può «essere imposto dall’esterno».

«E’ nostra visione e politica fare del Medio Oriente una zona libera di armi di distruzione di massa e dei loro mezzi di lancio, e dove questa assenza sia vicendevolmente verificabile», ha detto Chorev: « E’ ferma politica di Israele che il diritto di usare l’energia atomica a scopi pacifici sia basato sul dovere assoluto di ogni Stato di non abusare di questo diritto... La creazione di una tale zona può emanare solo dall’interno della regione». Come?

Chorev l’israeliano ha spiegato: «Il progresso verso la realizzazione di questa visione non può farsi senza un cambiamento fondamentale delle circostanze nella regione», ossia «una significativa trasformazione nell’atteggiamento degli Stati di questa regione verso Israele. I continui tentativi di Stati della regione di prendere di mira Israele con plateali risoluzioni anti-israeliane in questa conferenza generale è una chiara evidenza di questo atteggiamento ostile».

Chorev poi ha accusato certi Stati della regione, che «hanno aderito al trattato di non-proliferazione (NPT)», di aver violato il loro impegno: «I più plateali casi di violazione degli obblighi di non-proliferazione legalmente sanciti sono avvenuti in Medio Oriente, da parte di Stati che aderiscono al NPT. Sono state scoperte gravi ed aperte violazioni da parte di Iran e Siria, e ufficialmente riferite alla AIEA. Le indagini dell’Agenzia in questi due Paesi sono state ostacolate da continua mancanza di cooperazione, negazioni di accesso e tentativi di sviare e ingannare gli ispettori (...). Le attività di questi Paesi che violano i loro impegni ed obbligazioni internazionali devono incontrare concrete e immediate misure internazionali. Le violazioni non devono restare impunite».

E’ una notevole manifestazione di «chutzpah» talmudica, se si ricorda che Israele dispone di 2-300 testate atomiche da trent’anni; che è dunque la prima ad aver introdotto armi atomiche nella regione, ed ha la responsabilità storica di innescare una possibile corsa alle armi nucleari. Che, al contrario di Iran, Siria e di tutti gli altri Paesi del Medio Oriente «non» ha mai aderito ai trattati di non-proliferazione, e non permette alcun accesso ai propri siti, nè tantomeno indagini «mutualmente verificabili» sui suoi armamenti di distruzione di massa; al punto che non si capisce a quale titolo Israele, che non ha aderito al NPT, partecipi alle riunioni della IAEA, e faccia pure la lezione agli altri.

Per dare credito alle argomentazioni del sionista, infine, bisogna dimenticare che «un cambiamento fondamentale dell’atteggiamento degli Stati verso Israele» è stato offerto da anni: l’Arabia Saudita ha infatti proposto, a nome di tutti gli altri, una completa normalizzazione dei rapporti diplomatici di tutti gli Stati dell’area ad Israele, purchè Israele acceda ad una decente sistemazione del problema palestinese, e dei diritti dei palestinesi ad un loro Stato. Israele ha sempre rifiutato, preferendo il mantenimento dell’«atteggiamento ostile».

Quanto alle «gravi violazioni» dell’Iran ai suoi impegni verso la IAEA, «formalmente riferite» da Israele, si scopre adesso che si tratta di falsi documenti, fabbricati dallo Stato ebraico allo scopo di «ingannare e sviare gli ispettori» dell’Agenzia. False prove delle intenzioni iraniane di dotarsi di testate atomiche.

La questione è complessa ed intricata (3), com’è logico in casi di falsificazione fabbricati per sostenere l’esame di esperti competenti, come sono gli ispettori della IAEA: qui non bastano gli audio di bin Laden rozzamente elaborati da una qualunque Rita Katz, ci vogliono le migliori menti dell’ufficio «D» (disinformazione) del Mossad.

La questione gira attorno ai contenuti di un laptop che sarebbe stato portato clandestinamente fuori dall’Iran, e che, aggiunti ad «annessi e documenti» forniti dagli USA (e agli USA da Israele), comproverebbero l’esistenza di «studi» iraniani per la fabbricazione di una testata atomica.

Nonostante fortissime pressioni americane, il capo della IAEA El Baradei non ha mai accolto questi «documenti» come prove accusatorie, in quanto non adeguati a «un rigoroso standard di prova». Per di più, gli USA hanno rifiutato di consegnare parte di questi presunti documenti alla AIEA, in quanto El Baradei insisteva di farli vedere agli iraniani, onde potessero giustificarsi ed eventualmente confutarli; secondo gli americani e gli israeliani, consentire a Teheran di esaminare i documenti avrebbe compromesso «le fonti e i metodi d’intelligence».

Il principale di questi «documenti» che gli USA non vogliono far vedere agli iraniani è una lettera di una pagina, inviata da una ditta ingegneristica iraniana ad una azienda privata chiamata Kimia Maadan, che secondo le accuse israeliane ha partecipato fino al 2003 ad un progetto nucleare militare iraniano. La lettera in mano americana contiene «note manoscritte» che ne chiariscono il contenuto, di per sè alquanto anodino: nelle note a mano, qualcuno ha scritto a proposito di studi per riprogettare un veicolo di rientro lanciabile dal missile Shahab 3, e dunque implicitamente per adattarlo a trasportare una bomba atomica. Il fatto è che gli iraniani, pur non avendo visto il «documento» americano, sono stati in grado di esibire alla AIEA la lettera originale di cui si tratta, datata maggio 2003, in cui non appaiono note manoscritte. Naturalmente gli ebrei e gli americani possono sostenere che le note a mano sono state cancellate dagli iraniani; ma gli iraniani possono sostenere con almeno pari legittimità che le note a mano nel documento esibito dagli americani sono state aggiunte da un’agenzia di disinformazione e spionaggio straniera per provare falsamente le cattive intenzioni iraniane.

Chi ha ragione?

Paradossalmente, un forte indizio del falso è stato fornito involontariamente dalla Commissione Esteri del Senato USA il maggio scorso, quando ha censurato le agenzie d’intelligence americane, accusandole di «sottovalutare» i presunti progressi iraniani nella costruzione di una testata nucleare.

La censura voleva essere la risposta al noto US National Intelligence Estimate (NIE) del 2007, in cui praticamente tutte le agenzie d’intelligence USA dichiaravano che l’Iran aveva smesso di perseguire il programma atomico militare già nel 2003. Il NIE ha torto marcio, dicevano gli onesti senatori. E perchè?

Perchè «un altissimo analista d’intelligence alleato» ci ha comprovato in audizione che sì, l’Iran ha smesso il programma nel 2003, ma solo perchè ormai aveva completato e testato i componenti della sua arma atomica, sicchè non aveva bisogno di proseguire gli studi; non aveva altro da fare che aspettare che le centrifughe di Ahmadinejad producessero la quantità sufficiente di materiale fissile per la testata. E la prova esibita dall’anonimo «analista alleato» era contenuta in un «laptop iraniano» che il Paese alleato aveva fortunosamente ottenuto dalle sue spie dentro l’Iran, che aveva «condiviso» con l’Intelligence USA fin dal 2004, e che l’intelligence americano aveva colpevolmente trascurato, evidentemente per partito preso.

E’ evidente che si tratta del «laptop iraniano» che il Mossad ha utilizzato per convincere El Baradei, che non è stato convinto, e che ora viene riciclato per convincere i senatori. E che l’innominato «analista alleato» non era altro che un agente israeliano disinformatore.

A dire il vero, c’è chi accusa la IAEA di avere le prove della fabbricazione israeliana, e di non denunciarle apertamente. Anzi il direttore del Dipartimento Salvaguardia della AIEA, Oli Heinonen, avrebbe preso per buone le «prove» esibite da Israele ed USA in un «briefing tecnico» interno nel febbraio 2008, accusando poi l’Iran di non avere adeguatamente risposto alla «sostanza» dei documenti d’accusa, limitandosi a confutare il loro «stile e forma di presentazione» (sic: è ovvio che una lettera falsa può essere attaccata in base allo «stile e forma»).

E’ chiaro, e troppo umano, che all’interno della IAEA qualcuno ceda alle fortissime pressioni Us-raeliane, magari con l’ambizione di prendere il posto di El Baradei, che a dicembre lascerà la scomoda poltrona.

Resta il fatto che la IAEA, nel suo più recente rapporto ufficiale (5 settembre 2009) ha confermato che il programma iraniano è di tipo civile, precisando che Teheran ha arricchito l’uranio 235 solo ad una concentrazione di «meno del 5%» – per una bomba, occorre una concentrazione del 90% – , e in quantità «piccole, molto inferiori a quelle che possono essere usate in armi nucleari».

Dopo questa premessa, la IAEA dà un contentino alle pressioni delle superpotenze-canaglia: dice che la repubblica islamica deve chiarificare meglio le sue attività di arricchimento ed assicurare il mondo che non persegue scopi militari, perchè ancora permangono «rilevanti questioni che danno luogo a preoccupazioni» da acquietare.

Non basta però. Washington e Tel Aviv odiano El Baradei da quando, nel marzo del 2003, scoprì che la documentazione (da loro fornita) comprovante i tentativi di Saddam Hussein di rifornirsi di minerale uranifero dal Niger era falsa, ed ebbe il coraggio di dichiararlo pubblicamente. La storia dell’uranio del Niger era effettivamente falsa, come oggi sappiamo, ma Bush aveva bisogno di una scusa per invadere l’Iraq «legittimamente». Adesso, come si vede, usano gli stessi metodi per incolpare l’Iran.

Sicchè il delegato americano presso la IAEA, Glyn Davis, ha completamente ignorato il contenuto del rapporto di settembre, sostanzialmente favorevole all’Iran, ed ha dichiarato che il rapporto dimostra che Teheran ha raggiunto «una possibile capacità risolutiva» se decidesse di farsi la bomba. E un «funzionario israeliano» anonimo ha dichiarato alla agenzia France Presse che El Baradei era stato «negligente nel rivelare le difficoltà che i suoi ispettori trovano in Iran, e nel denunciare tutto il quadro di inganno ed accelerazioni nelle attività militari illegali» di Teheran; sicchè l’anonimo giudeo accusa a tutte lettere El Baradei di «nascondere deliberatamente le informazioni sul programma nucleare iraniano».

La messa al bando della AIEA di un possibile attacco alle installazioni nucleari – una interdizione preventiva contro una guerra preventiva – è probabilmente la discreta risposta a tutte queste manovre.

Sì, perchè ciò avviene nel quadro di una più vasta e accesa campagna di influenza (4) e di disinformazione israeliana per piegare Obama ad ammettere che l’Iran ha la Bomba, e gli europei che occorre decretare contro Teheran, come minimo, sanzioni più dure.

Sarkozy ha subito obbedito: «E’ una certezza di tutti i nostri servizi segreti: l’Iran lavora attualmente a un programma di armi nucleari», ha dichiarato giorni fa. Evidentemente chiama «nostri» i servizi segreti israeliani.

Fa parte della grande sceneggiata di pressione l’invio di mille commandos dell’esercito USA, stanziati in Europa, a prendere parte in Israele ad un’esercitazione di difesa missilistica a fianco delle forze israeliane; tutto per accrescere la tensione in vista dei colloqui, fissati per ottobre, che diplomatici iraniani apriranno con varie nazioni occidentali, fra cui gli stessi Stati Uniti. Si vuol vanificare il tentativo di apertura di Obama.

Anzi, di più: anche la storia della Arctic Sea, la nave con carico russo di legname, misteriosamente scomparsa e poi ricomparsa, dopo uno o due oscuri dirottamenti, pare a questo punto essere parte della campagna di pressione e disinformazione (5).

I primi a sostenere che la nave portava un carico di missili S-300 destinati clandestinamente all’Iran sono stati i giornali britannici, imbeccati a quanto pare da fonti israeliane, nonchè i lituani. Il clamore mediatico sulla vicenda sarebbe servito a fare ulteriori pressione su Mosca perchè non consegni quei missili difensivi anti-aerei, giudicati troppo efficaci dalle forze armate d’Israele.

Nella ben architettata vicenda c’è una piccola falla informativa, che le fonti russe hanno fatto notare: s’è detto che la Arctic Sea avrebbe caricato i missili durante una sosta a Kaliningrad ai primi di luglio. Ma Kaliningrad (la tedesca Koenigsberg, città natale di Kant) è oggi una enclave russa completamente circondata da Paesi della UE (Polonia e Lituania) ostili. La Russia, per fare arrivare i suoi missili a quel suo porto isolato del Baltico, avrebbe dovuto farli transitare per ferrovia su una linea sorvegliata dalla UE e dai lituani. E tanto più che il legname che doveva coprire i missili è un carico appartenente alla Finlandia.

Da Kaliningrad, la Arctic Sea avrebbe portato il suo carico mortale in Algeria, e da qui, non si sa come, i missili avrebbero dovuto raggiungere l’Iran di nascosto...

Basta  guardare una carta per  dubitare di questa versione. La Russia ha mezzi molto più semplici e diretti di consegnare le armi all’Iran per via terra. Probabilmente il Mossad ha sperato che dopo questa storia, Mosca avrebbe accettato di unirsi agli USA nel decretare sanzioni dure contro l’Iran al Consiglio di sicurezza. Mosca ha detto no.

A questo punto hanno cominciato a circolare le voci di una frattura fra Medvedev e Putin... allo stato dei fatti, si comincia a pensare che anche queste voci siano parte del piano di disinformazione israeliana (6).




1) «IAEA 'bans' attacks on nuclear installations», Press TV, 15 settembre 2009.
2) Yossi Melman, «Nuclear-free zone impossible in anti-Israel Mideast', Haaretz, 15 settembre 2009.
3) Per una più approfondita informazione su questi falsi, si veda Garteh Porter, «Iran nuclear leaks 'linked to Israel'», Asia Times, 5 giugno 2009.
4) Yusuf  Fernandez, «Israel and the US try to manipulate IAEA’s  work», Al Manar, 14 settembre 2009.
5) E’ il documentato parere di Mireille Delamarre, «Artic Sea: psy-ops médiatique contre la Russie?», Planète non.violence,  12 settembre 2009.
6) Il presidente Medvedev, che andrà in visita in USA la settimana prossima, ha dichiarato che gli piacerà incontrare «dei dissidenti americani». Ha spiegato «Che mi parlino dei problemi che hanno gli Stati Uniti. Può essere utile, considerando l’esperienza sovietica». Lieve ironia? Fonte: San Francisco Gate: www.sfgate.com/cgi-bin/article.cgi?file=/n/a/2009/09/15/international



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