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Le «autonomie» ammazzano
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Una delle più ridicole invocazioni che ho sentito venire dal mare di fango che ha soffocato le case abusive nel Messinese: «Intervenga lo Stato», diceva uno dei sepolti al microfono di un TG.

Lo Stato?! Scusate, ma la Sicilia non è una regione «autonoma»? Non ha strappato il più completo autogoverno, in misura superiore ad ogni altra regione? «Autonomia» significa che lo Stato, lì, non ha da intervenire. Specialmente il regime idrico, i corsi d’acqua, il controllo dell’abusivismo edilizio, sono problemi per eccellenza locali, di cui si deve occupare il governo locale.

Siciliani, non vi scegliete voi i vostri governanti? E vi vanno benissimo, ne siete soddisfattissimi: perchè vi consentono di elevare le vostre catapecchie abusive in cemento sui letti dei torrenti, vi danno il permesso di costruzione sulle spiagge per i vostri casotti estivi, e sotto le colline frananti; vi lasciano incendiare e sfoltire i boschi a vostro piacimento. Insomma, la regione supremamente autonoma vi lascia praticare la vostra «autonomia» individuale, personale, al massimo grado.

Lo ha detto anche il vostro governatore Lombardo allargando le braccia: in Sicilia è la gente che pretende di costruire dove vuole, c’è «la cultura dell’abusivismo». E noi la lasciamo fare, la gente, perchè - nella sua «autonomia» - pretende così.

Cultura dell’abusivismo: definizione geniale. «Cultura», immagino, va intesa nel senso etnico-folkloristico del termine. Perchè nei giorni del disastro «annunciato», i media hanno fatto parlare i costruttori di quelle case abusive e sepolte: e costoro, di «cultura» in senso moderno non ne mostravano nemmeno un briciolo.

In dialetto stretto, il geometra rifiutava ogni responsabilità: ho avuto il «permesso», la «deroga», le carte della Regione e del comune che consentivano... E poi, «una casa lì c’era già», l’abbiamo abbattuta e ne abbiamo fatta una più bella, con dieci appartamenti.

La Sicilia è piena di case «più belle» secondo questi geometri che parlano e pensano da analfabeti. Se qualcuno obiettava che i geologi avevano sconsigliato di costruire lì, le risposte del costruttore in dialetto stretto mostravano chiaramente che per lui, come per il sindaco, i geologi sono dei rompipalle; ci mancherebbe che noi analfabeti cominciassimo a dar retta ai competenti, non potremmo fare più niente... Del resto, i geologi sono giovani e disoccupati, noi ci abbiamo i soldi.

Questa, siculi, è la vostra «autonomia». Ci sono tra voi dei competenti, degli onesti capaci di leggere e di prevedere; ma voi, autonomamente, avete scelto di farvi governare da analfabeti, disonesti a forza d’ignoranza, che non sono palesemente mai andati a scuola. Avete una regione che ha usato i fondi europei destinati alla stabilizzazione del suolo per le cose loro. E non avete protestato, perchè in cambio la regione vi lasciava violare le norme, quelle legali e quelle geologiche.

Fino al giorno in cui il fango vi inghiotte parenti e bambini. Allora gridate: «Lo Stato ci deve aiutare!». Lo Stato centrale deve ovviare ai risultati della vostra autonomia. Ma attenzione, non state chiedendo di farvi governare da altri, visto che voi non ne siete capaci; non chiedete di sottoporvi a norme oggettive dettate da competenti. Quando invocate lo Stato, esigete che le vittime della vostra autonomia abbiano funerali di Stato. Vi siete lamentati: all’Aquila avete dato i funerali di Stato, a noi no.

Vi hanno accontentato: funerali di Stato. Berlusconi è arrivato e vi ha promesso: ricostruiremo le case, con la TV dentro a schermo piatto. Sui torrenti, come prima. E’ il rispetto della vostra autonomia.

Ma vi rendete conto? Tutti i siciliani - almeno tutti quelli che costruiscono - sono estremamente astuti. Il risultato di questa miriade di astuzie individuali è una stupidità madornale, inaudita. Quel che dovreste fare è trascinarvi in ginocchio a Roma, o magari in Germania e in Francia, e implorare: dateci della gente che ci governi, degli estranei competenti che non guardino in faccia a nessuno, che ci vietino ogni «autonomia». Non siamo capaci di questa autonomia, non siamo all’altezza di auto-governarci.

Invece no, naturalmente. Palermo, giorno dopo giorno, si sta rimpiendo di immondizia; come Napoli, più di Napoli. Una nuova tragedia nazionale sta crescendo tra voi; i vostri netturbini assunti per benemerenze mafiose, in soprannumero (hanno accaparrato i soli «posti pubblici» adatti a loro, ignoranti analfabeti e prepotenti; mentre geologi siciliani disoccupati farebbero anche quel mestiere, pur di campare) non hanno naturalmente alcuna intenzione di ripulire le immondizie. Presto invocherete lo Stato, la Protezione Civile; già state bruciando i cassonetti, incazzati neri come siete dalla vostra stessa spazzatura, che voi avete prodotto e che non siete capaci di smaltire.

Lo so, non siete i soli. Come si sono incazzati i calabresi, quando il cantante Antonello Venditti  ha detto durante un concerto: «Perchè Dio ha fatto la Calabria? In Calabria non c’è niente». Come vi siete inalberati, calabresi! Come avete voluto difendere la vostra dignità ferita. Ho sentito uno di voi  minacciare di gambizzare Venditti, a RadioRAI 1, e poi urlare: «Come, in Calabria non c’è niente?! E i Bronzi d Riace?».

I Bronzi di Riace, scusate, mica li avete fatti voi. Li hanno fatti dei greci di 2.500 anni fa, e voi siete così poco furbi da lasciar parlare alla radio, da lasciarvi rappresentare, da gente ignorante, che nemmeno lo sa. Di questo dovreste vergognarvi, da questo autogoverno regionale dovreste sentirvi offesi, mica da Venditti: che ha detto la pura verità.

In Calabria, fatto dai calabresi, non c’è niente. «E parlo da viaggiatore», ha spiegato Venditti. Indovino cosa voleva dire: probabilmente, aveva appena percorso la Salerno-Reggio Calabria. La strada che, per furbizia, non viene mai completata; che avete fatto deviare verso un interno desolato e pericoloso, perchè il capo-bastone locale vuol veder passare dei turisti o dei camionisti da taglieggiare; che è sempre intasata da misteriosi lavori in corso con macchinari della n’drangheta, gestiti da analfabeti criminali, che devono «lavorare», ossia ciucciare fondi pubblici. E che per questo bloccano l’arteria che deve rendere possibile ogni traffico verso la Sicilia, il turismo, l’economia, tutto.

Appare proprio che il vostro desiderio «autonomo», come calabresi, sia il niente. Raggiungere l’assoluto niente. Costringere i viaggiatori a vedere il vostro niente, facendoli deviare per ore ed ore sulle svincoli furbeschi della Salerno-Reggio. E che non si permettano di giudicarvi. Ne va del vostro onore, e il vostro onore è molto, molto suscettibile.

Le «autonomie» sono il problema dell’Italia. Il massimo e più intrattabile dei problemi, perchè è il più negato. Non riguarda solo Calabria, Sicilia o Campania. Riguarda anche la Regione Lombardia, dove un gruppo ha preso il potere e si accaparra i fondi pubblici da tre lustri. Il che signifca: il vero problema sono le Regioni. L’ordinamento regionale è un disastro: disonestà, incompetenza, collusioni con la criminalità, sono soltanto sintomi di un problema più grande: l’incapacità di autogoverno degli italiani. Da Nord a Sud.

Il governo Berlusconi aveva promesso l’abolizione delle provincie: da quando la Lega ha assaporato il potere locale e ha cominciato a vincere le elezioni provinciali, non vuole più l’abolizione delle provincie; vuole la loro moltiplicazione all’infinito. L’abolizione poteva essere un segnale, un segno che si era capito il problema, ossia il disastro delle autonomie locali - affidate per forza a gente incapace, data la scarsità delle risorse di capacità e competenza. Macchè. La furbizia ha voluto la sua parte; e la furbizia diffusa, continuamente esercitata, dà come risultato che, collettivamente, siamo stupidi e facciamo cose stupide.

Vogliamo parlare delle scuole? Gli insegnanti, nelle loro rivendicazioni e rivolte permamenti, vogliono salvaguardare la loro «autonomia»; per loro, lo Stato è «la controparte», l’avversario che li minaccia, o alla meno peggio, il datore di lavoro sindacale. Qualcosa da cui difendersi, mentre se ne prende lo stipendio.

La Gelmini, questa autoritaria, ha chiesto che i bidelli ricomincino a lavare i pavimenti delle aule; non lo fanno, e lo Stato spende miliardi di euro per agenzie di pulizie private. La Gelmini viene sbertucciata da tutti, specie dai comici in RAI, per queste pretese: pretende che i bidelli facciano i bidelli! Non ha capito che i bidelli hanno conquistato la loro «autonomia» - per esempio, il diritto di non salire le scale da un piano all’altro della scuola - e si batteranno fino alla morte (altrui) per di difendere questo loro diritto?

Vogliamo parlare delle università?  Le nostre sono all’ultimo posto nelle classifiche europee. E ciò, a forza di aver conquistato «autonomia». Sempre più autonomi, i corpi docenti non si giudicano più l’un l’altro; la loro «autonomia» la intendono come il lasciare in cattedra gli incapaci e gli ignoranti, i mestatori sempre al telefono per contrattare cattedre. L’autonomia universitaria italiana è il diritto di mettere in cattedra figlie e cognati, il diritto di non studiare più una volta strappata la docenza con vari trucchi.

Un popolo così palesemente incapace di autogoverno vuole sempre più «autonomia». In altri tempi, più giusti, questa pretesa italiana - questa incapacità italiana - portava a un risultato ricorrente: che venivano ad occuparci e a governarci degli stranieri. Per lo più, chiamati da noi; o da certi nostri gruppi, che «autonomamente» chiedevano l’intervento straniero contro altri italiani troppo sgradevolmente «autonomi».

Oggi, gli usi internazionali vietano quell’antico tipo di interventi dall’estero, sotto forma di occupazione. Se fossimo degni di noi stessi, dovremmo chiedere all’Unione Europea di mandarci qualche podestà lituano o qualche governatore tedesco e francese, che ci comandi, perchè noi non sappiamo comandare noi stessi. Se avessimo un po’ di spina dorsale, pretenderemmo l’abolizione delle Regioni, delle provincie, della maggior parte dei Comuni, e l’accentramento più feroce del governo in un solo organismo responsabile. La dignità consiste anche nell’ammettere le nostre mancanze morali (conseguenza delle nostre falle intellettuali: mentre ci crediamo astuti individualmente, siamo collettivamente idioti), non già nel negarle con furia.

Ma noi, stupidi a forza di essere furbi, crediamo invece che la nostra dignità consista nello strappare «autonomia», quando la dignità consiste invece nel farsi ben comandare, nel pretendere di essere comandati da chi sa, da chi ha il diritto al comando.

E’ per questo che degradiamo verso un’inciviltà corpuscolare, onnipresente, che va dalle scritte sui muri alla sporcizia per le strade, dall’immiserimento mentale, morale ed economico dei nostri giovani, alla volgarità trionfante imposta con arroganza. Ci compiacciamo di Bronzi di Riace e di Cappelle Sistine, che non abbiamo fatto noi, e non siamo capaci di fare una Salerno Reggio Calabria, nè una ferrovia ad alta velocità che non ci costi il triplo di quanto costa ai francesi. Ogni paesucolo inalbera la propria «autonomia» per bloccare e impedire tutto, ogni possibile rinascita.

Somigliamo ogni giorno di più all’uomo massa descritto da Ortega y Gasset: l’uomo che «distrugge i fondamenti della sua propria vita», che «si sente perfetto», e che perciò è «indocile e non sa farsi dirigere».

La sterilità intellettuale, scientifica, artistica, e l’inerzia morale in cui sprofondiamo, deriva da questo pullulare di «autonomie», di rifiuto generale di farsi dirigere. Perchè, come dice ancora Ortega y Gasset, «la vita creatrice suppone un regime di alta igiene, di gran decoro, di costanti stimoli, che eccitino la coscienza della dignità. La vita creatrice è vita energica, e questa è possibile soltanto in una di queste due situazioni: o essendo al comando, o trovandosi collocati in un mondo dove comanda qualcuno a cui riconosciamo pieno diritto di comandarci. O comando io, oppure obbedisco. Ma obbedire non è sopportare, non è avvilirsi: al contrario, è stimare colui che comanda e seguirlo, solidarizzare con lui, mettersi con fervore sotto il palpito della sua bandiera».

Non sappiamo nè comandare, nè farci comandare: per questo abbiamo inventato le nostre «autonomie». E’ l’invenzione, a suo modo geniale, dell’uomo massa italiano: «autonomia» non significa infatti «indipendenza» nè tanto meno sovranità su se stessi. Significa una forma di potere senza però assumersene la minima responsabilità. Nella nostra «autonomia», costruiamo case abusive sui greti dei torrenti; e quando il fango ce le spazza via, che «intervenga lo Stato».

A fare che? I funerali di Stato per i martiri e gli eroi morti d’autonomia.


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