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Il mio mascalzone è più pulito del tuo
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de_benedetti_1.jpgVisentini è stato anche ministro delle Finanze (1974-76), del Bilancio (1979, un governo Andreotti), e di nuovo alle Finanze con Craxi (1983-1987). E inoltre, presidente della Olivetti per quasi vent’anni, (1964 -1983). Come ministro delle Finanze, Visentini obbligò tutti i dettaglianti d’Italia a comprare il registratore di cassa: per lo scontrino fiscale (Morte agli Evasori!). Ma per puro caso, il presidente della Olivetti in veste di ministro diede una bella mano alla Olivetti, che aveva registratori di cassa da vendere. Ne vendette milioni: e «il libero mercato» non c’entra.
DE BENEDETTI – Aveva comprato Olivetti con i soldi ricevuti dagli Agnelli per togliere il disturbo in Fiat, e coi soldoni raggranellati nella rapida uscita, appena in tempo, dall’Ambrosiano (Calvi, poveretto, ci guadagnò meno). La pagò poco, perchè a quel tempo Olivetti faceva macchine da scrivere, e già albeggiavano i personal computer ed internet. Per fortuna, con l’interessamento di Visentini, le Poste di Stato comprarono ad Olivetti centinaia di migliaia di telescriventi (i giovani non sanno più niente di quelle macchine: servivano a trasmettere telegrammi), oggetti già allora obsoleti: lo Stato le rottamò anni dopo ancora negli imballi originali. De Benedetti ci guadagnò 145 miliardi di vecchie lire. Oltretutto, una legge provvidenziale obbligava lo Stato a comprare il 50% delle macchine da ufficio, e i primi computer, da aziende italiane: guarda caso, Olivetti riusciva a mettere  insieme pc con componenti comprati in Giappone.

Strano che quando si parla di «conflitto d’interessi», non si ricordi mai quello di Visentini. Anzi: trattato dai media come Venerato Maestro, lodato come alta figura morale ed esempio di servizio allo Stato.

D’accordo, direte: ma almeno De Benedetti non è sceso in politica, fa i suoi interessi ma da imprenditore privato. E infatti è questo a dimostrare che Berlusconi è essenzialmente un Salame. Perchè non ha fatto come l’Ingegnere? De Benedetti non ha mai avuto bisogno di entrare in politica: i politici hanno sempre lavorato per lui.

de_benedetti_2.jpgROMANO PRODI – Da presidente dell’IRI, stava per vendere la SME (alimentari) a De Benedetti per 393 miliardi. Craxi impedì la svendita mettendo insieme una cordata (Berlusconi-Barilla Ferrero) che fece un’offerta migliore: così lo Stato incassò 2.000 miliardi in più, sei volte il prezzo a cui Prodi voleva vendere a De Benedetti. Strano che sia Berlusconi ad essere continuamente sotto inchiesta della nostra occhiuta magistratura, e non Prodi: c’è un angolo cieco nell’occhio dei giudici.
CARLO AZEGLIO CIAMPI – Era presidente del Consiglio il 28 marzo 1994, e il giorno dopo avrebbe dovuto lasciare la poltrona perchè la sua sinistra aveva perso, e Berlusconi vinto le elezioni. Come ultimo atto di governo, il Venerato Maestro Ciampi assegnò la concessione al secondo gestore della telefonia mobile: a De Benedetti, che aveva appena creato Omnitel. Il miglior affare mai fatto dall’Ingegnere, che poco dopo vendette Omnitel alla tedesca Mannesman per 14 mila miliardi di vecchie lire.

de_benedetti.jpgGIULIANO AMATO – Braccio destro di Craxi eppure mai toccato da Mani Pulite, intemerato e Veneratissimo Maestro. Appena nominato presidente dell’Antitrust (da Berlusconi, quel Salame) Amato blocca Lorenzo Necci, presidente delle FFSS, che stava giusto vendendo a Telecom, allora statale, la rete telefonica ferroviaria per 1.100 miliardi. No, ordina Amato: meglio vendere detta rete a Omnitel, ossia a De Benedetti: e a 350 miliardi in meno, ossia a 750 miliardi pagabili in 14 anni, insomma in comode rate. Con quella rete aggiuntiva, il valore di Omnitel agli occhi dei tedeschi crebbe: 14 mila miliardi, come già ricordato, per l’Ingegnere.

MASSIMO RIVA – Giornalista dell’Espresso e di Repubblica (di De Benedetti), e al tempo senatore del PCI (pardon, dei «democratici di sinistra»). C’entra con la rovina di Europrogramme, un fondo di diritto svizzero creato dal finanziere Bagnasco: ben 25 mila sottoscrittori di tale fondo accusarono Riva ed altri giornalisti dell’Ingegnere – in prima linea Turani e Giampaolo Pansa (quello che adesso fa il revisionista) – Repubblica e l’Espresso di aver orchestrato una forsennata campagna mediatica, lanciando tali allarmi sulla tenuta di Europrogramme, da provocare la fuga dei sottoscrittori (all’inizio 75 mila) e il fallimento. Il tutto perchè l’ingegnere potesse raccattare per un boccone di pane il patrimonio immobiliare di Europrogramme: un affaruccio da mille miliardi di lire, in beni di sicura rivalutazione.

Il ministro Visentini, presidente di Olivetti, diede una mano all’operazione varando un decreto (approfittò di un vuoto legislativo) che per i fondi d’investimento decretava un prelievo fiscale del 30% sulle plusvalenze ancora da realizzare: il colpo alla nuca per Europrogramme. A comprare gli immobili fu poi la SASEA, una società del finanziere fallito Florio Fiorini: che per questo ottenne un prestito da UBS.

Perchè la UBS diede il prestito a un fallito? Perchè garantiva per Fiorini la CIR, ossia De Benedetti. Fiorini è finito (un’altra volta) in gattabuia; cinque ex manager del gruppo De Benedetti finirono accusati di falsa testimonianza. L’Ingegnere e il suo Visentini sempre intoccati, rispettati, assolti. Si sa, solo Berlusconi «usa i media a suo favore» (1).

De Benedetti fu miracolato dalla magistratura svizzera, che rigettò il ricorso dei danneggiati. Ma anche la magistratura italiana ha sempre trattato l’Ingegnere con la massima cordialità.

Esempio: una conversazione telefonica intercettata alle ore 10.31 del 19 novembre 1995, fra Di Pietro (DP) e De Benedetti (DB), che fa intuire una lunga frequentazione precedente (2).

Di Pietro: Pronto?
De Benedetti: dottor di Pietro?
DP: Sì...
DB: Non l’ho svegliata?
DP: No, assolutamente. Come va anzitutto?
DB: Sono Carlo De Benedetti... bene.
DP: Sì, l’avevo riconosciuta benissimo. Come va? Che piacere sentirla.
DB: Bene, bene... anch’io.
DP: Noi, a questo punto, ho capito che abbiamo tanti amici comuni.
DB: Eh, ne abbiamo tanti... sicuro.
DP: Tanti amici comuni con cui lavoriamo insieme.
DB: Bene... e Prodi è uno di questi, no?
DP: Prodi è uno di questi, sì. In questo momento, pensi, sono davanti al computer...
DB: Sì?
DP: Eh, sto scrivendo un’affettuosa lettera di ... e... attenzione verso Prodi, che credo farò con Scalfari publicamente (Eugenio Scalfari fondatore di Repubblica, ndr), perchè lui (Prodi) più volte mi sta tirando in ballo, in questi giorni, e voglio raccomandargli discrezione e serenità, ma lo faccio in modo molto cordiale.
DB: Sì, ma quando... ehm... il suo progetto va avanti?
DP: Il «nostro» progetto... il nostro, eh sì, il mio progetto va avanti. Sta... stiamo lavorando... ma quando avremo modo di parlarne, poi preferisco parlargliene a voce.
DB: Con grande piacere.
DP: Sì.
DB: Quando lei vuole, io... ho piacere anch’io.
DP: Sì.
DB: Di qualche... anche perchè secondo me ci vuole un’accelerazione dei tempi.
DP: Credo che ci sia un’accelerazione in tanti sensi, devo dire che anche noi stiamo facendo parecchio anche poi.... grazie ad amici comuni insomma, ecco.
DB: Uhm... uhm... senta una cosa, poi ne parliamo perchè mi interessa sapere la sua idea... su questa pseudo o finta entrata di Romiti.
DP: Eh... non lo so se poi è pseudo o se è finta... credo che sia una variabile... anch’io ci sto riflettendo... eh... eh.. eh... per certi versi interessante, per certi versi... uhm... come si può dire... uhm.
DB: Conturbante.
DP: Conturbante… conturbante perchè credo di capire dove vuole andare a virare.
DB: Mah... le dirò... io penso che tutto qu... io mi sono convinto su quello che anche lei una volta mi ha detto, e cioè che bisogna evitare il partito-azienda; ora questo...
DP: Mah... quello... che partito-azienda! E’ azienda-potere, quindi...
DB: Quindi è una cosa diversa, infatti.
DP: Ancora un po’ più... più...
DB: Al peggio, in quanto...
DP: Qui... qui siamo.
DB: Senta, appena ha un momento mi telefoni che ci vediamo... settimana prossima, senz’altro me ne farò carico.
DP: Grazie, dottore.
DB: Grazie a lei, arrivederci.


Un progetto? Forse quel progetto di cui ha parlato recentemente «Geronimo», ossia Cirino Pomicino, in un articoletto del 27 agosto 2009:

«.... Partiamo dal progetto ‘politico’ che Carlo De Benedetti, con l’accordo anche di Gianni Agnelli, mise a punto nei primi mesi del 1991 per cambiare gli assetti politici che l’Italia si era democraticamente dati e per portare al governo del Paese il vecchio PCI che a Rimini stava ‘espellendo’ la sua area più dura, quella che poi assunse il nome di Rifondazione Comunista. Nel marzo del ‘91 De Benedetti chiese all’allora ministro del Bilancio Cirino Pomicino se voleva ‘essere il suo ministro’ dopo avergli spiegato le ragioni del progetto e i suoi protagonisti. Quell’offerta, tra l’altro, per come fu fatta, dimostrò la concezione ‘proprietaria’ che De Benedetti aveva della politica e che si impose in Italia sin da quegli anni anche se, per l’eterogenesi dei fini, con altri protagonisti».

Cirino Pomicino fece male a rifiutare, perchè Mani Pulite lo travolse. De Benedetti, Agnelli, Oscar Luigi Scalfaro, Visentini, Ciampi, Amato invece: sempre indenni, sempre intoccati dalle inchieste, sempre Venerati Maestri.

Di Pietro, quello dei soldi prestati da un inquisito e restituiti in una scatola da scarpe, guida l’Italia dei Valori. Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica, addirittura parla con Dio e ogni domenica ci fa la lezione di moralità.

Il PCI fu miracolato dai giudici di Mani Pulite, il che significa che fu condizionato nella sua libertà politica: ma in cambio, i poteri cosiddetti forti (non eletti da nessuno) gli promettevano il comando, senza bisogno del favore popolare. Berlusconi si mise di mezzo scendendo in campo, e raccolse la maggioranza dei cittadini; sicchè è stato inquisito, proprio da allora, perchè aveva disturbato il progetto.

Avviso alle opposte tifoserie: no, non sto difendendo Berlusconi. Sto riconfermando che è, ancor più che un mascalzone, un Salame. Non mi illudo, del resto, di poter convincere l’antiberlusconismo irrazionale. Riporto dunque, solo a futura memoria, una citazione:

«La magistratura è un ordine indipendente: essa non è, però, un ordine sovrano. La sovranità appartiene al popolo e per esso al Parlamento. La critica all’operato della magistratura, pertanto, è sempre legittima, ed esercitarla costituisce anche una garanzia contro atti, come quello recentemente venuto alla luce, di aperta e scandalosa violazione dell’immunità parlamentare».

Chi ha pronunciato queste parole? Berlusconi? Il ministro Alfano? L’avvocato Ghedini?

Basta constatare l’altezza dello stile: no, quelli non ne hanno mezzi intellettuali. La frase è di Palmiro Togliatti, segretario del PCI, che la pronunciò alla Camera il 13 dicembre 1963.



1) La lista degli affari che De Benedetti ha compiuto attraverso il potere politico è incompleta. Ci sarebbe da raccontare anche la vicenda SEAT-Pagine Gialle. Diamo la parola a «Geronimo»: «Potremmo continuare a ‘spigolare’ qui e là a cominciare dalla scandalosa vicenda Seat-Pagine Gialle che in poco più di 30 mesi passò dalla Telecom pubblica alla società Otto e poi di nuovo alla Telecom privata con una plusvalenza di oltre 14mila miliardi. Nella cordata iniziale che si candidò a comprare la Seat dalla Telecom c’erano insieme a Comit, De Agostini, Bain Cuneo, B.C. partner, CVC partner, Investitori associati, anche il gruppo editoriale Espresso-Repubblica, che comunque ne uscì prima che l’acquisto fosse concluso. Resta il fatto che ben il 42% della società che acquistò la Seat e che quindi realizzò la scandalosa plusvalenza era nelle mani di azionisti sconosciuti e collocati nei paradisi fiscali. Carlo De Benedetti e il principe Caracciolo non c’erano più nella cordata ma un tarlo malizioso c’è sempre nella nostra testa. E, come dice il vecchio Andreotti, a pensar male si fa peccato ma si indovina. Ci fermiamo qui lasciando al nostro amico D’Avanzo di continuare la carrellata. Se ha difficoltà potrà sempre chiamarci, ricordandogli, in ultimo, che senza l’iniziale progetto politico di De Benedetti, Berlusconi non sarebbe mai sceso in politica».
2) Riportato da Giancarlo Lehner, «Storia di un processo politico», Mondadori, 2003.


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