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Yemen - Pagina 2
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Qualche sera fa, Emilio Fede non stava nella pelle dalla gioia: Obama – ha annunciato – ha dichiarato guerra ad «al Qaeda nella penisola arabica» che agisce, dice, dallo Yemen. Il più losco giornalista italiano non è stato il solo a riportare il dettato della Casa Bianca: «La vera minaccia di Al Qaeda viene dall’Africa», e come Fede a mostrare le mappe delle future guerre: si comincia dallo Yemen, poi toccherà a Somalia, Mauritania, eccetera. Il Nobel per la Pace apre un nuovo teatro di guerra perpetua al terrorismo, e le nostre TV sono travolte da una demenziale gioia bellicista: alla guerra, alla guerra!

Mai una notizia, naturalmente. Potevano riportare almeno questa, che mi ha personalmente colpito: il debito estero dello Yemen, che ammontava a 8,9 milioni di dollari nel luglio 2009, a settembre ha toccato di 5,9 miliardi di dollari. Com’è successo che in soli tre mesi, uno dei Paesi più poveri del mondo abbia visto moltiplicare per 7 il suo debito verso l’estero? (Foreign debt increases in Yemen )

La risposta è semplice: a ridurlo così sono stati il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, sotto progetti di «sviluppo» e imponendo «privatizzazioni» e «riforme di mercato». Il maggior creditore del povero staterello arabico è la International Finance Corporation (IFC), che è una branca della Banca Mondiale, ossia quella istituzione sovrannazionale di cui Bush jr. nominò presidente Paul Wolfowitz (poi auto-eliminatosi per una storia di letto alla Berlusconi). Lo Yemen deve 3 miliardi di dollari al solo IFC. Gli altri grossi creditori sono i sauditi, attraverso varie istituzioni di facciata: Arab Fund for Economic and Social Development, la Islamic Development Bank, l’OPEC. Non mancano il Fondo Monetario e l’Unione Europea. Ma altri creditori sono riuniti nel Club di Parigi (le diciannove nazioni più ricche del mondo) che hanno fatto prestiti al paesello per 1,8 miliardi (di cui 1,3 sono prestiti russi). In realtà, a indebitare il Paese ci si sono messi tutti: ci sono anche Cina, Algeria, persino Polonia. L’Italia è nel Club di Parigi.

Perchè tanti sono corsi a indebitare lo Yemen? Per interessi petroliferi, pare. I fondi della Banca Mondiale favoriscono la compagnia energetica del Kuwait, che opera nel Paese a sviluppare i suoi giacimenti; altri fondi «per lo sviluppo» servono a coprire il Paese di un reticolato di oleodotti e gasdotti. Fatto sta che dal luglio 2009 un fiume di liquidità è entrato ad alta velocità nel Paese, proprio mentre le «ricette di risanamento» del Fondo Monetario, le «riforme di mercato» e le privatizzazioni (di cosa?) hanno ridotto alla miseria una parte consistente della popolazione, già poverissima. Insurrezioni armate sono scoppiate contro il governo corrotto, con toni «religiosi» com’è inevitabile in un Paese arretrato: la rivolta sociale è probabilmente quel che l’Occidente chiama «Al Qaeda nella Penisola Arabica» (o AQAP, come dice il generale Jean su istruzioni americane).

E’ chiaro che un cambio di regime, là, non è gradito ai creditori; il nuovo potere, se avesse successo, non onorerebbe i debiti contratti dal vecchio. Sarà questo il vero motivo della nuova guerra ordinata da Obama?

Difficile dirlo. Ma è opportuno dire qualcosa su Alhaji Umaru Mutallab, il ricchissimo banchiere nigeriano che – guarda caso - è il padre di Umar Farouk Abdulmutallab, il terrorista solitario di 23 anni che, con una piccola bomba nelle mutande, ha minacciato di far precipitare il volo Amsterdam-Detroit il giorno di Natale. Ci hanno raccontato che è stato papà a segnalare che il figlio, testa calda, aveva stretto legami preoccupanti con Al Qaeda in Yemen.

E’ accaduto il 19 novembre. Il papà banchiere andò all’ambasciata USA in Nigeria a confidare le sue angosce di padre. Fu ricevuto dal capostazione della CIA; e la CIA, per stornare le accuse di inerzia, ha assicurato di essersi premurata di far inserire il nome del figlio nel database americano  dei potenziali terroristi. Altri poi hanno sbagliato a non tener conto di quella lista...
 
yemen_1.jpgVi sembra una storia plausibile? Che un padre nigeriano vada proprio all’ambasciata USA a chiedere aiuto contro suo figlio? E che padre, poi. Il vecchio Mutallab non è solo «un ricco  banchiere»: è IL banchiere della Nigeria e l’uomo più ricco del Paese – un Paese petrolifero dove il 53% della popolazione sopravvive con meno di un dollaro al giorno, e forse dell’Africa. In Nigeria si può diventare così ricchi solo per stretti legami (leggi corruzione) con i petroliferi occidentali, con il fondo Monetario e la Banca Mondiale (che «aiuta» il Paese). Infatti il caro papà è stato ministro per lo Sviluppo Economico (sic) della Nigeria nel 1975, poi ministro delle Cooperative e Forniture nel 1976; di recente si è ritirato dalla massima poltrona della Jaiz Bank, una banca che sarebbe in rovina se non fosse sostenuta dalla Islamic Development Bank, ossia dai monarchi sauditi.

Ma la cosa più interessante è che papà è stato membro del consiglio d’amministrazione, e poi direttore esecutivo in Nigeria della Defense Industry Corporation per 13 anni. Si tratta dell’industria nazionale di armamento nigeriana, che non produce alcuna arma, ma le compra o le monta su licenza: da Israele. Recentemente i parlamentari nigeriani si sono allarmati per questa dipendenza delle forze armate da Israele, che in Nigeria fa di tutto: co-produzione di armamenti, addestramento delle truppe, «contro terrorismo» ossia operazioni di repressione armata contro le rivolte del Delta del Niger. Il Mossad e le altre agenzie sioniste di «sicurezza» e contractors hanno mano libera. (Nigeria:Lawmakers Divided Over Mossad)

Accade talvolta che i figli dei miliardari diventino estremisti (in Italia, abbiamo una galleria intera di figli di papà che furono «rossi», contigui delle BR o di Lotta Continua, ed ora sono direttori di giornali). Ma nel caso di Mutallab padre e figlio le coincidenze sono troppe. Se ne deve aggiungere un’altra: papà Mutallab è sposato con una donna yemenita, e ha forti legami d’interesse e familiari nello Yemen.

Papà Mutallab ha qualche interesse da banchiere all’intervento in Yemen? Ce l’ha per via dei suoi stretti rapporti d’affari con Israele? O forse s’è prestato a questo gioco in cambio di qualche «aiutino» finanziario alla sua Jaiz Bank che naviga in cattive acque?

Anche Mutallab-figlio pare aver ricevuto più di un «aiutino»: un visto biennale per gli USA non cancellato nonostante apparisse nella lista dei militanti potenzialmente pericolosi, un «indiano» elegante sulla cinquantina che, alla partenza da Schipol, ha chiesto al personale di farlo imbarcare per Detroit senza passaporto, perché «viene dal Sudan e noi lo facciamo sempre».

E tuttavia nemmeno è riuscito ad adempiere l’attentato suicida per il quale era stato programmato. Del resto, come può pensare un terrorista di far esplodere una bomba piccola piccola, nascosta nelle mutande, su cui pesa il suo corpo, diciamo, di 70 chili, abbastanza per fare da schermo a così modesta esplosione?



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Le mutande che hanno minacciato l’America



Certo, è perchè simili mutande non entrino più in America che Obama apre la sua guerra personale. La vasta coalizione dei necoconservatori e dei repubblicani guidati da Dick Cheney lo accusa di essere stato «molle col terrorismo», di non aver capito che «siamo in guerra», di voler persino chiudere il carcere speciale di Guantanamo rilasciandone i super-terroristi catturati: difatti, accusano i neocon e Cheney, proprio due terroristi di Al Qaeda incautamente rilasciati da Guantanamo sarebbero ora i caporioni  della guerriglia yemenita.

Si tratta di due veri e propri capi militari, Muhammad Attik al-Harbi (prigioniero numero 333) e di Said Ali Shari, prigioniero numero 372, ci informa la ABC .

Sono loro che, uccelli di bosco, hanno manipolato il giovane figlio del ricco banchiere e l’hanno spedito a fare la strage mancata. I due, del resto, compaiono in un video del gennaio 2009 a fianco di quel che viene indicato come il capo di Al Qaeda in Yemen, Abu Basir Naser al-Wahishi,  ritenuto «il segretario personale di Osama bin Laden».


Solo un piccolo particolare: a rilasciare i due pericolosissimi figuri non è stata l’amministrazione Obama. E’ stata l’amministrazione Bush-Cheney. Nel novembre 2007, questi due personaggi, mai processati, sono stati consegnati all’Arabia Saudita, e nel 2007 Bush era ancora alla Casa Bianca. Si poteva credere che i sauditi avrebbero giustiziato i due personaggi; macchè. Li hanno rilasciati, e li hanno lasciati riparare in Yemen.

Dunque anche «Al Qaeda in Arabian Peninsula» (AQAP) sembra aver avuto un «aiutino» per tornare ad operare nello Yemen. Viene il dubbio che Guantanamo sia, anche una scuola di ri-orientamento dei «terroristi islamici»? Il luogo dove vecchi elementi della vera Al Qaeda (quella creata dagli USA per battere i sovietici in Afghanistan) vengono preparati e riutilizzati?

Chissà. Vecchi esperti terroristi possono sempre venir buoni: la loro è una competenza rara. Forse Al Qaeda è come il maiale, non si butta via niente.

yemen.jpgUn’altra coincidenza la nota l’amico Wayne Madsen. Il fallito attentato-mutanda di Mutallab ricorda da vicino l’attentato alla scarpa esplosiva (parimenti fallito) che il 21 dicembre 2001 –  quando erano ancor freschi i terrori dell’11 settembre – tentò di mettere a segno uno squilibrato solitario chiamato Richard Reid, un inglese vagamente convertitosi all’Islam e che girava il mondo con il nuovo nome di Abdul Rahim. Anche quell’attentato fu ridicolo: Reid cercò di innescare con un cerino una microscopica quantità di esplosivo che aveva nascosto in una scarpa, e fu immediatamente placcato e malmenato dalle hostess del volo American Airlines 63 diretto a Miami da Parigi. Membro di Al Qaeda, come si appurò, reclutato in una moschea di Brixton.

Ciò che non si disse è che sei mesi prima, nel luglio 2001, il neo-islamico Reid volò in Israele. Prese posto su un volo della El Al che partiva – altra coincidenza – da Schiphol-Amsterdam per Tel Aviv.

Eppure la security della El Al l’aveva subito notato come sospetto, e interrogato a parte in una stanzetta prima dell’imbarco: Reid aveva comprato un biglietto di sola andata, aveva pagato in contanti, e non aveva voluto dire agli israeliani cosa andava a fare in Sion. Dopo questo interrogatorio, però, aveva lasciato ch Reid si imbarcasse. Sei mesi dopo, quando Reid fu preso come il terrorista della scarpa, la strana circostanza venne a galla: lo Shin Beth disse che aveva fatto apposta a far arrivare Reid in Israele, onde poter vedere dove andava, insomma seguire i suoi movimenti, nei suoi cinque giorni di permanenza nella sola democrazia del Medio Oriente.

Il che suona un pochino improbabile a chi sia sbarcato in Israele. Sia all’entrata che all’uscita, ci si trova davanti a personale che ti fa un sacco di domande: in qualche albergo hai alloggiato, quale persone hai visto (o intendi vedere) in Israele; ti chiedono di esibire le ricevute degli hotel; ti intimano di aprire e mettere in funzione il tuo computer portatile; ti obbligano a confessare quali personalità palestinesi hai incontrato; ti frugano nei bagagli e studiano ogni opuscolo o pezzo di carta che vi trovano: «Chi le ha dato questo documento?».

A me personalmente, giornalista in partenza, fu chiesto come mai avevo un fascicolo stampato dal ministero degli Esteri israeliano con i numeri telefonici di vari politici e giornalisti intervistabili, e di cui l’ufficio di pubbliche relazioni ministeriali – a quel tempo – faceva omaggio ai corrispondenti esteri. «Da chi ha avuto questi indirizzi?», mi chiese la soldatessa. «Da voi», risposi, facendo notare che «Israeli Ministry of Foreign Affairs – PR office» era stampato sulla copertina.

Molte di queste domande sono fatte per provocare solo uno scatto d’ira e d’impazienza; la scusa per metterti sotto interrogatorio, ispezione corporale ed altre umiliazioni in una stanzetta a parte. Perchè mica hanno bisogno di domandarti dove sei stato, con chi hai parlato, di cosa e quando; lo sanno meglio di te. (Israeli ICTS Connection To Pollard & Schiphol Airport)

E’ bello sapere che per Reid, il futuro bombardiere della scarpa, il controllo fu molto più umano di quello che tocca a giornalisti. Fatto sta che Reid ricompare sei mesi dopo con la bomba nella scarpa, e passa la «security» al Charles De Gaulle di Parigi. Chi si occupa della security e dei controlli-passeggeri a Parigi? Indovinato: la ICTS International, la ditta israeliana composta interamente di ex agenti dello Shin Beth, del Mossad e delle guardia di El Al. Fondata dall’ex agente Ezra Harel, un tizio che nel 2003 era stato in galera per una complicata faccenda di tangenti e riciclaggio attraverso la banca Leumi sede di New York. Un altro membro del consiglio di amministrazione, l’ex generale d’aviazione Amos Lapidot, in quanto comandante della Israeli Air Force autorizzò l’addetto militare del consolato israeliano a New York e Raphael Eytan, nota spia, ad accettare l’offerta di fare la spia per Israele avanzata da Jonathan Pollard, ufficiale della US Navy ed ebreo. Pollard è ancor oggi all’ergastolo per alto tradimento.

Non stupisce che nonostante questo, una quantità di aeroporti europei facciano a gara per assicurarsi i servizi di sorveglianza della ICTS: la ditta ha messo a frutto l’esperienza inestimabile accumulata nella repressione palestinese; è la ICTS ad aver inventato il metodo di «profiling» dei passeggeri: interrogatori alla israeliana, richiesta di sapere dove sono stati, di mostrare le ricevute degli hotel, registrazione delle residenze temporanee eccetera. All’aeroporto di Schiphol, ogni passeggero diretto negli Stati Uniti viene normalmente assoggetato a questo trattamento. Il che non è strano, dato che la ICTS ha – o ha avuto – la responsabilità della security nell’aeroporto, e inoltre la sua sede internazionale si trova ad Amstelveen, Olanda. L’11 settembre 2001 era la Huntleigh, una ditta acquisita dalla ICTS, ad eseguire il controllo passeggeri al Boston Logan Airport, da cui partirono alcuni dei terroristi del mega-attentato.

Il che potrebbe spiegare perchè certi terroristi alla scarpa e alla mutanda siano di preferenza fatti partire da Schiphol. A volte l’inestimabile metodo di «profiling» messo a punto dalla ditta israeliana sembra fallire, e il terrorista passa – persino senza passaporto, come ha ammesso la polizia olandese nel caso di Mutallab. Piuttosto, c’è da chiedersi come mai gli aereoporti di mezzo mondo continuino a servirsi della ICTS, che ha al suo passivo clamorose falle nella sicurezza come da Boston l’11 settembre, da Parigi per Reid, e da Schiphol per Mutallab.

Ma forse la risposta è già nella domanda: un’offerta di protezione da parte di israeliani è in qualche modo una garanzia. O anche una offerta che non si è in grado di rifiutare.

Ora USA e Gran Bretagna hanno chiuso le ambasciate in Yemen. Gordon Brown, il primo ministro britannico, ha invocato «un vertice dei leader mondiali per impedire che lo Yemen diventi una nuova centrale del terrore»; è un «failed state», uno Stato fallito, ha proclamato (anche l’Afghanistan e l’Iraq sono stati definiti così prima dell’invasione), sicchè è diventato un «incubatore del terrorismo».

Naturalmente Londra, in pieno fallimento finanziario, s’è schierata per prima al fianco degli USA (1). Dicono che nel nuovo «governo» europeo, attorno al nuovo «presidente» Van Rompuy, si assista al precipitare degli eventi con sgomento: «Gli USA stanno scendendo all’inferno», si dice in quegli ambienti; come possono avere i mezzi per questa nuova avventura? Perchè una nuova guerra per una mutanda semi-esplosa?

Ma i capi europei sono paralizzati, non sanno quale soluzione trovare: credevano che Obama «fosse» la soluzione, e invece...




1) In realtà, da un anno gli americani sono in Yemen con i loro specialisti bellici, e anche prima di Natale hanno sferrato un bombardamento contro «una riunione di Al Qaeda» che ha ucciso 34 persone; una settimana prima, un altro attacco ha massacrato 17 donne e 23 bambini yemeniti. L’attacco più recente, ha ammesso il Pentagono, mirava ad uccidere un solo uomo, l’imam Anwar al-Awlaki. Si tratta del clerico musulmano con cui era in contatto (dicono) il Maggiore Nidal Malik Hasan, lo psichiatra militare colpevole della sanguinosa sparatoria a Fort Hoods, la base dei Marines in Texas. Awlaki, nato e vissuto in USA, è da anni residente nello Yemen. In realtà, secondo l’FBI, le comunicazioni intercettate fra il maggiore Hasan e Al-Awlaki erano «coerenti con la ricerca condotta dal maggiore nella sua qualità di psichiatra al Walter Reed Medical Center» di Washington; lo ha riportato la CNN: Investigators look for missed signals in Fort Hood probe. Solo nei giorni seguenti il Maggiore Hasan è stato trasformato nel «terrorista islamico cresciuto fra di noi», figura essenziale alla propaganda per la nuova fase della guerra al terrorismo. Obama ha fatto di tutto per ammazzare Al-Awlaki, il solo uomo che – rendendo pubbliche le sue comunicazioni con Hasan, mai diffuse dagli inquirenti USA - potrebbe vanificare la mascherata del «terrorista fra noi». Silenziato Al-Awlaki, non sarà difficile diffondere le e-mail aggiustate per la figura del «terrorista fra noi».
 

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