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La Chiesa e la conversione degli ebrei
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Ringrazio il direttore Blondet per le sue parole di stima e di considerazione (vedi repliche ai commenti relativi all’articolo «Venga il Tuo regno. Non il loro», ndr). Sì, a volte è necessario coprire pudicamente le «vergogne» del padre. Tuttavia va anche detto che è necessario, onde evitare derive come quelle sedevacantiste, evidenziare le linee di continuità che pur sussistono nella Chiesa. Senza ovviamente dimenticare quelle di discontinuità che, però, non costituiscono affatto Tradizione o Magistero.

Chi conosce un po’ di storia della Chiesa sa bene che i Papi nel corso dei secoli hanno parlato su tutto o quasi. Ciò non significa che tutto quel che essi hanno detto, magari sulla base delle conoscenze dei loro tempi, abbia valore magisteriale. Il guaio di molti cattolici, come ha osservato proprio Blondet diverse volte, è un malinteso «papismo» che li porta a ritenere che se il Papa si mette a parlare di calcio egli sia infallibile. E che quindi quando un Papa va in sinagoga e dice certe cose, in perlomeno parziale discontinuità con il magistero, stia dimostrando la non infallibilità del Pontefice o il sussistere di una sede vacante.

Giovanni XXII (attenzione XXII e non XXIII) era privatamente sostenitore, anche in pubblico, di una dottrina eretica circa la preesistenza delle anime e sulla non immediata visione beatifica post-mortem per le anime sante. Ciononostante egli fu Papa legittimo e mai impose come magistero la sua dottrina eretica. E’, senza dubbio, innegabile che in certi documenti post-conciliari si dica insieme ciò che è divinamente vero e ciò che è solo elaborazione umana della commissione che ha proceduto a stendere quel documento. Ma quante volte questo è successo nel corso dei secoli e quanti documenti ecclesiastici sono passati nel dimenticatoio per quanto di solo umano essi contenevano. Qui il sopra ricordato precedente di Giovanni XXII calza a puntino.

Prendiamo, ora, la citazione da Blondet riportata del discorso di Benedetto XVI nella Sinagoga di Roma e cioè «promuovere un rinnovato rispetto per la lettura ebraica dell’Antico Testamento». Questa citazione riprende un concetto altrimenti espresso nel documento, prefato dallo stesso Ratzinger, «Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana». In tale documento, insieme alla riaffermazione dell’esegesi cristiana della Scrittura (che costituisce la sua parte in totale sintonia con la Tradizione), si finisce, per altri versi, nell’ammettere come possibile anche l’esegesi ebraica, quella del profetizzato ritorno alla Terra Promessa. In tale ammissione è evidente l’impressione che sugli ecclesiastici ha suscitato il fatto che, a seguito della persecuzione nazista, quel ritorno, il quale ancora nel 1943 il cardinal Roncalli futuro Giovanni XXIII paventava con orrore, si sia effettivamente realizzato.

Ma, come scrive Blondet, che senso esso può avere? Segno della realizzazione della lettura ebraica della Bibbia, con conseguente (di questo gli ecclesiastici non tengono conto o cercano di smussare) rivelarsi falsa la lettura cristiana (infatti tertium non datur!), oppure segno ambiguo che prelude a qualcosa di forse già annunciatoci dal Signore in Persona che ammoniva «Gerusalemme sarà calpestata dai pagani fino a che i tempi dei gentili non saranno adempiuti». Ammonizione, questa, che è inserita nell’ambito dei discorsi escatologici di Cristo e che, è chiaro, preludono ad avvenimenti nei quali Israele è chiamato a giocare un ruolo ambiguo.

Nei miei scritti, per i lettori che sanno leggere attentamente, ho spesso ricordato la mia convinzione, patristica, sull’ingresso nella Chiesa del popolo ebreo, conseguente alla sua conversione, quale esito finale del suo destino. Esito al quale attualmente esso si mostra riottoso, proprio perché nel fondo della sua anima lo sente ineluttabile. Ma il compimento di tale destino significherà, appunto, la definitiva fine delle sue attuali mal riposte speranze messianiche intramondane. In quel momento, quando il destino finale degli ebrei si compirà, tutto Israele, come dice San Paolo, sarà salvato.

L’apostolo si riferiva però all’Israele in senso teologale e non in senso carnale e dunque alla Chiesa, ricomprendente gentili ed ebrei senza più distinzioni, che dell’Israele teologale è la continuazione.

Quella attuale è, invece, l’ora nella quale l’Israele carnale si sente forte e crede che la sua lettura della Promessa si stia rivelando vincente. Avrà, tale arroganza, la sua batosta escatologica. Ma questa è anche l’ora dell’oscuramento, benché mai totale, della Chiesa, o meglio del suo pensiero. Persino Paolo VI confidava a Jean Guitton di avvertire che all’interno della Chiesa stava diventando egemone un pensiero non cattolico: però – aggiungeva quel Papa – anche se tale egemonia dovesse realizzarsi, quel pensiero non cattolico non esprimerà mai il vero pensiero della Chiesa.

Non caso, per restare all’argomento che stiamo trattando, ho scritto, nell’articolo sui rapporti tra Vecchio e Nuovo Testamento, «L’attuale confusione in campo cattolico è data non dall’affermazione, che è evangelica, apostolica e patristica, della continuità, nel senso del perfezionamento, tra Vecchio e Nuovo Testamento, quanto piuttosto dal credere, o far credere, che l’odierno giudaismo post-biblico sia identico alla fede veterotestamentaria di Abramo, quando invece né è la discontinua rottura». Ed è esattamente questo il cedimento che si riscontra nel documento sopra citato ed al quale Papa Ratzinger ha fatto riferimento nel suo discorso, non magisteriale, alla sinagoga romana. Di fronte a questo cedimento è ovvio che poi i Neusner vari abbiano buon gioco, ma non vinceranno la partita.

Detto fermamente questo, mi preoccupa invece la tendenza di tipo marcionita che vedo insinuarsi, per reazione al cedimento talmudico delle gerarchie, tra certi cattolici tradizionalisti o serpeggiante tra i lettori non cattolici. Ed è per questo che è quanto mai urgente ricordare che è il giudaismo post-biblico ad essere, sin dai tempi veterotestamentari, in rottura con la Rivelazione e non il Cristianesimo che di Essa è invece il promesso compimento definitivo.

Riporto in proposito quanto ho già scritto rispondendo ad un lettore in calce al mio articolo sopra citato:

«Negli Atti degli Apostoli è chiaramente narrato della diffidenza di Pietro ad entrare nella casa del pagano Cornelio, il centurione romano. Pietro ragionava ancora da ebreo esclusivista. Ma Cristo stesso, per visione, gli mostra che il Suo Sacrificio ha mondato anche i pagani e gli ingiunge di battezzare Cornelio. Come si vede la diffusione del Cristianesimo tra i gentili inizia ben prima della conversione di Saulo ed inizia per opera, ispirata, del primo Papa. Del resto, non era stato Nostro Signore, scandalizzando i farisei, a lodare la fede del centurione, che gli chiedeva la guarigione del servo, dicendo che non ne aveva incontrato mai una così pura in tutto Israele? Si noti che l’apertura ai gentili è prefigurata in tanti episodi dell’Antico Testamento: si pensi alla città di Ninive che accoglie l’invito del profeta a pentirsi. Nella stessa genealogia di Gesù, secondo Matteo, sono ricordate quattro donne pagane: Racab, Rut, Betsabea, Tamar, che pur essendo pagane avevano accolto il Dio di Abramo. In esse traspare il mistero della ‘Chiesa degli ebrei e dei pagani’ (non c’è più greco né giudeo) ossia dell’universalità della salvezza (…).

Veniamo ora alla questione della discontinuità del giudaismo post-biblico dalla fede di Abramo. Questa discontinuità è chiaramente attestata dallo stesso Antico Testamento. Nel corso della storia veterotestamenteria, Dio, tramite Patriarchi e Profeti, non fa altro che richiamare Israele alla fedeltà al Patto con Lui. Infatti la tentazione costante di Israele nel corso della sua storia antica è stata quella del sincretismo con i culti pagani dei popoli circumvicini, che tra l’altro praticavano anche i sacrifici umani (ve ne è traccia nell’episodio di Abramo e Isacco, che è appunto, oltre che una prefigurazione del Sacrificio del Figlio di Dio, una denuncia dell’inutilità del sacrificio umano ai fini della salvezza). Quello che oggi chiamiamo giudaismo post-biblico, e che è fondato sul cabalismo spurio e sul Talmud, nasce proprio da quegli influssi sincretistici e pagani. Altro che ‘Israele Eterno’ di cui cianca un Neusner insieme a tutto il rabbinato odierno! La religiosità dei popoli circumvicini ad Israele, in quella fase della storia unico popolo depositario della Rivelazione e dell’Alleanza, era a sfondo panteista, come testimoniano i culti orgiastici della fecondità agricolo-pastorale incentrati sul ciclo sempre eguale della morte/rinascita della natura (che più tardi diventeranno i ‘misteri iniziatici’, tipo Mithra, Iside e Cibele, del tardo paganesimo, di importazione orientale, dell’ultima età romana imperiale). Si tenga presente che biblicamente, dopo il peccato originale ed il diluvio, l’umanità ha completamente perduto ogni contatto con la Rivelazione adamitica originaria (salvo alcuni come Melchisedeq incaricato di consegnarla ad Abramo). Il paganesimo dell’epoca era nient’altro che la deformazione, l’adulterazione, secondo l’«eritis sicut Dei» (ossia il peccato originale), di quella Rivelazione originaria. Affinché Essa potesse tornare a riprendere il posto che le spetta era necessario che entrasse nella storia post-diluviana. Cosa che avviene prima con Abramo e il popolo ebreo e poi, definitivamente, con Nostro Signore Gesù Cristo che, cancellando con il Suo Sacrifico il peccato originale, riporta anche i pagani alla Rivelazione originaria. Il tormento che pervade alcuni lettori circa l’apparente differenza tra il ‘feroce’ Dio biblico ed il Dio d’Amore di Gesù, si placherebbe se solo essi ponessero attenzione al fatto che l’Antico Testamento contiene l’eco delle dure lotte, appunto feroci secondo gli usi di quel tempo paganizzato (feroci erano anche gli Amaleciti), che Israele sostenne per conservare il Deposito della Rivelazione immune da contaminazioni sincretistiche con i culti dei popoli vicini. In quel momento era essenziale che il Deposito della Rivelazione fosse mantenuto incontaminato e questo, purtroppo, in un mondo caduto sotto il peccato, comportava anche la dura lotta.

Ma nello stesso Antico Testamento, come ricordato, vi sono diversi episodi che fanno comprendere la cura e l’amore di Dio per tutti i popoli. Israele, dal canto suo, non sempre ha saputo essere fedele al Dio di Abramo. Di qui i richiami e le punizioni di Dio al suo popolo, che però non viene mai definitivamente abbandonato. Ci sono nella Bibbia passi struggenti, vere e proprie lettere d’Amore di Dio, come quello nel quale Egli parla di Israele come di una bambina abbandonata nel sangue del parto e da Lui raccolta, curata, amata e che però poi, diventata donna, si è data all’adulterio ossia al sincretismo con i culti pagani. Dio, Sposo tradito, tuttavia perdona la sposa adultera perchè l’ama. Un esempio di questi adulterii o, per usare un’altra espressione biblica, abominazioni è in Ezechiele 8,5-13. Dio porta il profeta, in spirito, a vedere cosa fanno ‘nel segreto’ i sacerdoti e gli anziani di Israele nel Tempio ed il profeta testimonia di avervi visto sacerdoti ed anziani praticarvi, di nascosto dal popolo, culti pagani dinnanzi ad immagini dipinte. Cosa che aveva chiamato su Israele la rovina che si era avverata per mano babilonese. Ebbene, è da qui, come si diceva, che sorge quell’ebraismo spurio, intriso per influsso sincretistico di panteismo e gnosi, che poi ritroviamo, per osmosi, nel giudaismo post-biblico, nel cabalismo spurio e nel talmudismo letteralista. L’idea, che in fondo è una immanentizzazione del Dio trascendente, di un popolo/messia collettivo nasce proprio da questo retaggio pagano e panteista penetrato in Israele. Tutta la polemica intra-sinedritica, che esisteva ai tempi di Gesù, circa l’esegesi esatta dei passi profetici relativi al Messia Venturo, polemica testimoniata dall’episodio del Gesù dodicenne che parla tra i dottori del Tempio (secondo alcuni mistici, come la Emmerich, in quel frangente i dottori della Legge si stavano accapigliando circa il Messia perché non riuscivano a mettere insieme i passi profetici che lo facevano Servo sofferente con quelli che lo indicavano come Re glorioso), sta lì a testimoniare, insieme alle preoccupazioni di Caifa di non urtare i Romani per evitare che Israele perdesse ancora una volta la sua terra, che all’interno dell’ebraismo del I secolo le diverse correnti non fossero affatto d’accordo. Tra tutte queste eterogenee correnti tuttavia sussisteva ancora l’ebraismo vero, la Rivelazione abramitico-mosaica, del quale proprio alcuni sinedriti dimostrano di essere gli ultimi epigoni. Mi riferisco a Nicodemo, che visita di notte Gesù per paura dei suoi colleghi, ed a Giuseppe d’Arimatea che rivendica, presso Pilato, il Corpo di Cristo per dargli sepoltura. Non a caso, costoro riconoscono in Gesù Cristo, presentendolo nel cuore, il vero ebraismo e Lo difendono a spada tratta in Sinedrio
».

E’ fondamentale capire questo perché solo così si evitano i due, contrapposti ma dialettici e complementari, errori del talmudismo e del marcionismo. Resta poi, infine, da chiedersi, in un’ottica escatologica, se i «rami recisi», per dirla con San Paolo, ossia l’Israele carnale, che un giorno saranno reinnestati, per opera miracolosa di Dio, nell’Olivo Santo, sono attualmente del tutto morti o per la potenza di Dio tra essi qualcosa di vitale è ancora riscontrabile, come pegno del futuro reinnesto.

Di ebrei che nel corso dei secoli, convertendosi al Cristianesimo, hanno ritrovato il vero ebraismo dei loro padri, ora però finalmente compiuto, la storia è piena. Tutti costoro hanno placato la loro ansia messianica, quella che porta gli altri alle aberrazioni «ideologiche», come giustamente le ha chiamate Blondet, solo riconoscendo in Cristo il Messia atteso dai loro padri e capendo che tale Messia non è venuto, come erroneamente credono ancora gli ebrei post-biblici, per innalzare l’Israele carnale al di sopra delle nazioni, ma per salvare tutta l’umanità in un Regno post-storico, del quale la Chiesa è segno nella storia, nel quale non ci sarà più né ebreo né greco.

L’ulteriore domanda che ora dobbiamo però farci è: ma tra gli ebrei post-biblici ci sono oggi figure o segni che attestano che perlomeno alcuni di essi sono già in marcia di avvicinamento a Cristo?

Qui, proprio Blondet, ci hai fatto conoscere, nel capitolo finale del suo «I fanatici dell’Apocalisse», la realtà dei Neturei Karta, che pur talmudici però interpretano il Talmud in modo non discriminatorio verso i goym. Essi ritengono che agli occhi di Dio i goym abbiano eguale valore degli ebrei, benché questi continuino ad essere anche dai Neturei Karta ritenuti eletti. Ma – dicono – Dio non fa differenze ed ama in egual modo l’ebreo ed il goym.

Non risuonano qui le parole di Paolo «non c’è più giudeo né greco»? E, dunque, qui non siamo già in marcia verso Cristo?

Un’ultima osservazione. Le parole, citate da Blondet, dell’Antico Testamento su Israele erede della terra dei pagani, hanno un senso completamente diverso se le si legge al modo giudaico post-biblico o al modo cristiano. Nel primo caso si arriva al razzismo ed all’egemonia nazionale, ossia alle aberrazioni del sionismo che vediamo in atto oggi in Palestina. Nel secondo caso, che è poi l’unica vera interpretazione anche di quella promessa, perché la Bibbia sia un unicum che si deve leggere con rimando di ciascuna parte alle altre e quindi alla luce di Cristo, quelle parole anticotestamentarie trovano il loro adempimento nel discorso di Gesù sulle Beatitudini. Infatti è ai miti di cuore, ossia ai membri del vero Israele, quello teologale adempiuto nella Chiesa che accoglie in sé tutti i popoli, che è promessa come eredità escatologica tutta la terra, che a causa del peccato originale è caduta nel paganesimo. Sono i miti di cuore ad ereditare la terra, compresa la Terra Santa. Mite di cuore era Abramo. Miti di cuore erano i Patriarchi ed i Profeti (ai quali Gesù si paragona per il loro destino di essere stati cacciati e perfino uccisi dalla loro gente). Mite di Cuore, per definizione, è Nostro Signore Gesù Cristo e miti di cuore saranno i veri cristiani (non – dunque – tutti i cristiani perché, purtroppo, di farabutti e peccatori anche la cristianità ha abbondato nei secoli ed abbonda ancor oggi) sia che essi provengano dal paganesimo sia che essi provengano dall’ebraismo anticotestamentario.

E’ una problematica difficile, perché collegata al Mistero nascosto nei secoli, che oggi ci travaglia come cristiani.

Luigi Copertino


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