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Il manicomio con le atomiche
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«Non vogliamo una setta messianica e apocalittica che si fornisca  di bombe atomiche... Quando dei credenti dagli occhi fanatici mettono le mani sul potere e su armi di morte di massa, allora il mondo intero deve preoccuparsi; è ciò che avviene in Iran»: è questa una delle frasi preferite da Bibi Netanyahu, che egli ripete ad ogni occasione ai capi di Stato e di governo goym, e da ultimo ha ripetuto al presidente Obama nella sua ultima visita a Washington.
 

Naturalmente Netanyahu vuole con questo argomento spingere USA ed Europa a massacrare gli iraniani, o a legittimare un attacco israeliano alle installazioni di Teheran. Ma  ai governanti così apostrofati non può certo sfuggire che Netanyahu sta descrivendo il regime israeliano che lui guida: «Una setta apocalittica e messianica dotata di bombe atomiche» (tra 2 e 300 testate) e guidata da «fanatici dagli occhi sbarrati» esiste già, ed è effettivamente un pericolo per il mondo. Lo ammette lo stesso Netanyahu, in un’altra delle sue frasi preferite: «Non cè mai stata nella storia del mondo una situazione in cui un regime estremista, con una ideologia retrograda e ambizioni ben note sulluso della forza, ha accesso alle armi di morte di massa».

Effettivamente, non c’è al mondo ideologia «religiosa» più retrograda di quella che impera in Israele, che basa il suo «diritto» all’occupazione di terre altrui su un testo sacro di 2700 anni fa, e di cui sta applicando la arcaica feroce «Legge» iscritta nell’Esodo e nel Deuteronomio, insomma l’obbligo religioso di massacrare «cananei, gebusei, amorrei, perizziti, amaleciti», eccetera, imprecisati antichi popoli che (secondo il mito) abitavano la «terra di Canaan», data da Dio ai soli ebrei: capziosi rabbini insegnano di volta in volta che gli «amorrei» da uccidere sono gli armeni, gli ucraini, i palestinesi, e più in generale tutti i non ebrei (1).

Non più tardi del novembre scorso un rabbino di nome Ytzakh Shapira ha pubblicato un manuale che spiega che è doveroso uccidere qualunque non-ebreo che «ci ostacola» (noi ebrei) in qualunque modo; anche un bambino può essere ucciso se si ha ragione di ritenere che da adulto diverrà un nemico del popolo eletto.  Significativamente, rabbi Shapiro ha intitolato la sua guida al massacro razziale «Torath ha-Melekh», «Gli insegnamenti del Re»: il Re? Ma Israele non era l’unica democrazia del Medio Oriente? (http://coteret.com/2009/11/09/settler-rabbi-publishes-the-complete-guide-to-killing-non-jews/)

Ed ha ancora ragione Netanyahu: il regime retrogrado israeliano «ha ben noto ambizioni sull’uso della forza», come ha ampiamente dimostrato nelle devastazioni che ha portato in Libano e nel genocidio che attua a Gaza, per non parlare dello sterminio di prigionieri di guerra egiziani (alla fine della guerra dei Sei Giorni), degli assassini compiuti in Paesi esteri, e della costante violazione delle convenzioni del diritto internazionale. Persino i governi goym più servili ne sono coscienti: Londra ha appena espulso il capostazione del Mossad all’ambasciata israeliana, per la faccenda dei passaporti inglesi con cui gli assassini ebrei sono andati in Dubai per trucidare un capo di Hamas (2).

Nascono domande sulla psiche di Netanyahu. Chiaramente applica quel fenomeno, che Freud notò nei suoi pazienti (al’inizio esclusivamente ebrei) e che chiamò «proiezione»: l’attribuire (proiettare) ad altri le proprie intenzioni inconfessabili. Ma la domanda è: Netanyahu lo fa in modo consapevole, o è del tutto inconscio?

Propenderei per la risposta: Netanyahu descrive Israele fingendo di descrivere l’Iran, in modo semi-cosciente. Metà per calcolo, e metà per incapacità di dissimulare pulsioni profonde.

Già diversi osservatori hanno ipotizzato in Netanyahu uno squilibrio mentale. Pochi giorni fa, nel celebrare il centenario della nascita del proprio padre Benzion Netanyahu (nato Mileikowski in Polonia) Bibi ha rivelato che suo papà «aveva previsto l’attentato dell’11 settembre a New York fin dagli anni ‘90». Una proclamazione forse inopportuna, dato che papà Benzion non era un indovino paranormale, bensì il segretario di Vladimir Jabotinsy: il fondatore della più estremista e razzista componente del sionismo, fautrice dell’uso della violenza (espulsione e genocidio non escluso) contro i palestinesi  per «liberare» la Terra Santa. Contiguo al terrorismo anti-britannico, Benzion  era considerato eccessivamente estremista e di destra persino da Menachem Begin.

Sorge la domanda se quella di Benzion fosse una profezia o un progetto già in elaborazione negli anni ‘90. E’ una questione che, se fosse prudente, il figlio farebbe meglio a non sollevare: tanto più che proprio Bibi, quell’11 settembre del 2001 mentre morivano 3 mila americani, a botta calda si lasciò sfuggire pubblicamente che l’evento era «un bene», perchè avrebbe suscitato - come subito dopo spiegò per giustificare la sua uscita - «immediata simpatia per Israele»: un salto logico stupefacente, ma condiviso da quegli «israeliani danzanti» sul camion dei tralochi della Urban Moving System, visti mentre esultavano alla vista delle Towers in fiamme, arrestati e poi rilasciati (per visto scaduto).

Molti giornalisti israeliani hanno detto che Netanyahu è sotto la totale influenza («è sottomesso») a sua moglie Sarah (la terza in ordine di tempo), la quale si impiccia degli affari di Stato e sarebbe determinante nelle scelte del personale politico di cui il marito si circonda. Specificamente, s’è detto che la donna ha bloccato la nomina di Alon Pinkas (un rispettato dipleomatico, console generale a New York) ad ambasciatore di Sion all’ONU.

«E’ al governo per soddisfare lei, più che noi», ha scritto Ben Caspit, uno dei più influenti giornalisti israeliani, del Ma’ariv. (http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/netanyahus-wife-accused-of-bullying-staff-1879989.html)

La quale moglie (una ex hostess) è essa stessa  sospettata di un non perfetto equilibrio psichico:  «infantile, capricciosa, arrogante» sono i termini più usati al suo riguardo. Recentemente, una donna di servizio nella lussuosa residenza del premier a Cesarea, tale Lillian Peretz, ha fatto causa alla moglie di Bibi descrivendo le ripetute umiliazioni che aveva dovuto subire, oltre il fatto che madame Netanyahu non la pagava secondo il salario sindacale. Subito dopo, i giornali israeliani hanno rivelato di peggio: che «madame Netanyahu ha licenziato un vecchio ebreo settantenne, rimasto solo al mondo dopo che suo figlio è morto in combattimento, e che faceva qualche modesto lavoretto nel giardino per meno del salario minimo». Ne è nato uno scandalo, di cui naturalmente i giornali europei hanno taciuto, per il modo in cui la first lady trattava il servidorame: la cameriera Peretz l’ha accusata anche di obbligare i suoi servi a lavorare il Sabato... La coppia Netanyahu ha replicato denunciando per diffamazione il giornale che aveva rivelato la vicenda (Ma’ariv) e pretendendo un risarcimento-danni equivalente a 200 mila dollari.

Suscettibilissimo, Netanyahu ha risposto infuriato durante una conferenza-stampa in Germania (la Merkel era al suo fianco) ai giornalisti che lo interrogavano sul fatto: «Lasciate in pace mia moglie e i miei figli!».

Avrebbe dovuto aggiungere: «... e anche mio cognato!». Perchè il fratello dell’amata e padronale Sarah, un noto razzista di nome Hagai Ben-Artzi, s’è fatto intervistare dalla Radio dell’Esercito il 17 marzo scorso per insultare il presidente Obama chiamandolo (indovinate?) antisemita, per aver chiesto il congelamento delle costruzioni per soli ebrei a Gerusalemme: «Quando un presidente antisemita va al potere in America, è il momento per noi di dire: non cediamo. Ogni volta che gli americani hanno cercato di intervenire in qualcosa riguardante Gerusalemme, noi abbiamo risposto con una semplice parola: no».

Netanyahu ha dovuto pubblicamente prendere le distanze dal cognato. Che del resto non ha fatto che ripetere quello che proclamano sui loro giornali e siti  decine di rabbini e migliaia di coloni. (http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/benjamin-netanyahu-inlaw-calls-us-president-antisemitic-1923144.html)

Ma la presa di distanza mostra che, quando vuole, Netanyahu dà prova di autocontrollo. E dunque bisogna fare appello al lato consapevole del suo «semi-cosciente» evocare l’Iran come «un regime estremista, con una ideologia retrograda e ambizioni ben note sull’uso della forza, che ha accesso alle armi di morte di massa», e non gli sfugge certo che sta descrivendo Israele qual è oggi.

Perchè lo fa? Io credo: per far paura. Egli vuol convogliare ai governanti occidentali (prima ancora che a quelli musulmani) l’avvertimento minaccioso: attenti a voi, perchè siamo folli, irrazionali e abbiamo 200 bombe atomiche.

A quanto pare, è una consapevole strategia psicologica della politica israeliana verso il mondo. Già lo affermò Moshe Dayan: «Israele dev’essere come un cane rabbioso (mad dog), troppo pericoloso da molestare». Si tratta dunque di «fare i pazzi» per terrorizzare, e col tempo la tattica è diventata un habitus mentale?

Nel febbraio 2009, poco prima che gli elettori dessero a Netanyahu la carica che ricopre, e con ciò i codici di lancio dell’arsenale nucleare, fu Aaron David Miller - un diplomatico ebreo che è stato negoziatore per gli USA in Medio Oriente - a predire che come prima mossa, il premier di Sion sarebbe andato a parlare con Obama, allo scopo di «fare una paura da pazzi al presidente» (scare the daylights out of the president) per costringere non solo lui, ma l’intera comunità internazionale, ad affrontare il problema Iran secondo la volontà  dello Stato ebraico.

Netanyahu sa che non ha bisogno di far paura a Washington, visto che senatori e governanti sono già terrorizzati a dovere dall’AIPAC, la lobby, contro la quale sanno che non si viene eletti. Proprio nel mezzo del gelo tra la Casa Bianca e Israele dovuta all’insulto che Netanyahu  ha inflitto al vice-presidente Joe Biden, e proprio davanti all’AIPAC riunita per l’emergenza, i governanti USA si sono profusi in dichiarazioni di servilismo inimmaginabile. Joe Biden (di cui Haaretz ha scritto: «Ha preso lo sputo in faccia e ha detto che era pioggia») ha proclamato che il suo amore per Israele, come quello dell’Amministrazione e di tutti gli americani, è «solido come una roccia».

Nancy Pelosi s’è precipitata ad assicurare che i legami con Israele non saranno mai recisi, mai e poi mai. E così anche Hillary Clinton: la nostra politica sugli insediamenti, ha assicurato i settemila attivisti dell’AIPAC, è per il bene vero d’Israele, per assicurare in eterno la sua sicurezza... (3).

Che bisogno c’è di fare ancora più paura? Eppure è stata data la più ampia diffusione alle ultime dichiarazioni di Martin Van Creveld, il massimo storico militare israeliano: «Possediamo diverse centinaia di testate atomiche», ha detto, «e razzi, che possiamo lanciare su obbiettivi in ogni direzione, magari anche su Roma. La maggior parte delle capitali europee sono obbiettivi per le nostre forze armate... Abbiamo la capacità di trascinare giù il mondo con noi, e vi assicuro che questo accadrà  prima che Israele vada sotto».

Non è la prima volta che Van Creveld pronuncia queste minacce. Ma nessuna volta, mai, alcun rappresentante del regime isareliano l’ha smentito, o l’ha trattato da pazzo fanatico.

Anzi, peggio. Si scopre che le sue idee covano, sono diventate un habitus negli ambienti israeliani .  Il 7 aprile 2002, il professor David Perlmutter, un noto neocon, dalle pagine del Los Angeles Times, esprimeva i seguenti propositi: «Che cosa meriterebbe di meglio un mondo odiatore degli ebrei, a retribuzione di millenni di massacri, se non un inverno nucleare? Se invitassimo tutti quegli statisti europei e attivisti pacifisti che ci fanno la lezione morale a raggiungerci nei forni? Per la prima volta nella storia, un popolo minacciato di sterminio mentre il mondo ridacchia ha il potere di distruggere il mondo. Che sia l’ultimo atto di giustizia?» (4).

E i politici occidentali possono ancora credere che il pericolo sia l’Iran? L’Iran non ha bombe atomiche. Israele sì.

Maurizio Blondet



1) L’ultima replica di Netanyahu alla richiesta americana (ed europea) di bloccare le costruzioni per soli ebrei a Gerusalemme Est è stata: «Gli ebrei costruiscono a Gerusalemme da 3 mila anni».   Forse, a parte una breve interruzione di due millenni. Il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat ha detto alla BBC: duemila anni di desiderio ebraico per Gerusalemme giustifica l’espulsione dei proprietari di case palestinesi. Il giornalista della BBC, Owen Bennett-Jones, ha replicato: «Se tutti volessero tornare dov’erano 2 mila anni fa, sarebbe un mondo folle, ci sarebbero guerre dappertutto». Ma la voce del buon senso non ha cittadinanza nello Stato  fanatico e retrogrado. Già Golda Meir, presunta laicista socialista, disse: «Questo Paese esiste come adempimento di una promessa fatta da Dio stesso; è ridicolo chiedergli di dar conto della sua legittimità». E poi si parla di «fondamentalismo islamico» «The BBC Newshour».
2) «Cani»: così ha insultato gli inglesi a causa dell’espulsione della spia israeliana Aryeh Eldad, parlamentare di Israele (partiito National Union). E ha aggiunto: «E  con tante scuse ai cani, dato che i cani sono completamente fedeli». Un altro parlamentare, Michel Ben-Ari, ha rincarato: «I britannici sono cani, ma non sono fedeli a noi; sono fedeli a un sistema antisemita... E’ antisemitismo mascherato da antisionismo». Entrambi dunque pretendono dagli europei, loro cani, fedeltà canina non al proprio stato, ma ad Israele.
3) Il fanatismo ebraico in USA è potentemente appoggiato dal folle fanatismo messianico «cristianista». Un recente sondaggio Harris ha mostrato che, fra gli elettori repubblicani, il 57% sono convinti che Obama è un musulmano (ciò fa il 32% dell’elettorato), il 38% (che fa il 20% dell’elettorato generale) sostiene che Obama «agisce come Hitler», e il 24% degli elettori repubblicani crede che Obama sia l’Anticristo: ossia il 14% degli americani. C’è una «frangia di lunatici» che domina l’America.
4) David Perlmutter, ci informa Israel Shamir, è anche noto per aver scritto sul Los angeles Times: «Se solo nel 1948, nel 1956, nel 1967 o nel 1973 Israele si fosse comportata un po’ come il Terzo Reich, oggi sarebbe Israele, e non gli sceicchi, a possedere il petrolio del Golfo». L’apologia del nazismo è dunque permessa sui media: purchè la faccia un ebreo.

 

 

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