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Un popolo obsoleto
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Rileggo Tocqueville, «La democrazia in America», come un trattato di sapienza politica.

«Vi sono in Europa certe nazioni in cui l’abitante si considera come una specie di colono indifferente al destino del luogo in cui abita. I più grandi cambiamenti sopravvengono nel suo Paese senza il suo concorso; egli non sa precisamente quel che è successo e ne dubita, perché ha inteso parlare dell’avvenimento per caso. Non solo, ma il patrimonio del suo villaggio, la pulizia della sua strada, la sorte della sua chiesa e della sua parrocchia non lo toccano affatto; egli pensa che tutte queste cose non lo riguardano in alcun modo, perché appartengono ad un estraneo potente, che egli chiama il governo. Quanto a lui, non è che l’usufruttuario di questi beni, senza spirito di proprietà e senza idee di miglioramento. Questo disinteresse si spinge tanto in là che se la sua sicurezza o quella dei suoi figli è compromessa, egli incrocia le braccia per attendere che l’intera nazione venga in suo aiuto. Quest’uomo del resto, benché abbia sacrificato completamente il suo libero arbitrio, non ama l’obbedienza più degli altri; si sottomette, è vero, al beneplacito di un impiegato, ma si compiace anche di sfidare la legge come un nemico vinto, quando la forza si ritira. Così oscilla senza tregua fra la virtù e la licenza».

«Quando le nazioni sono giunte a questo punto, bisogna o che modifichino le loro leggi e i loro costumi, oppure che periscano, perché la fonte delle pubbliche virtù si è essiccata: vi sono ancora sudditi, ma non più cittadini. Io dico che simili nazioni sono in condizione di essere conquistate».

«Confesso che è molto difficile indicare la maniera di svegliare un popolo che dorme per dargli le passioni e la cultura che non ha; persuadere gli uomini che essi devono occuparsi dei loro affari è, se non m’inganno, un’impresa assai ardua».

«Come far sopportare la libertà nelle grandi cose ad una moltitudine che non sa servirsene nelle piccole? Come resistere alla tirannide in un Paese in cui ogni individuo è debole, e in cui gli individui non sono uniti da comuni interessi? Quelli che temono la licenza e quelli che temono l’assolutismo, devono desiderare lo sviluppo graduale delle libertà locali. Una democrazia senza istituzioni provinciali non possiede alcuna garanzia contro simili mali».

«Non dipende dalle leggi, rianimare le credenze che si estinguono; ma dipende dalle leggi interessare gli uomini al destino del loro Paese. Dipende dalle leggi risvegliare e dirigere quell’istinto vago della patria che non abbandona mai l’uomo e, legandolo ai pensieri, alle passioni e alle abitudini, farne un sentimento ragionevole e duraturo. E non si dica che è troppo tardi per tentare ciò, perché le nazioni non invecchiano allo stesso modo degli uomini, ed ogni nuova generazione è come un popolo nuovo che viene ad offrirsi alle cure del legislatore».

«Penso che quando l’amministrazione centrale pretende di sostituire completamente il concorso libero dei primi interessati, si sbagli o voglia ingannarvi. La forza collettiva dei cittadini sarà sempre più adatta a produrre il benessere sociale che non l’autorità del governo. (...) Non si riuscirà mai a trovare fra gli uomini, qualunque cosa si faccia, una vera potenza fuori dal concorso delle libere volontà».


La corruzione senza limiti dei politici


«Da quando la religione ha perduto il suo potere sulle anime, il limite più visibile che divideva il bene dal male è ormai scomparso; tutto sembra incerto e dubbio nel mondo morale; i governanti e i popoli procedono a caso e nessuno potrebbe dire dove sono i limiti naturali del dispotismo o della licenza. Lunghe rivoluzioni hanno ormai distrutto il rispetto che circondava i capi dello Stato. Liberati del peso della pubblica stima, i sovrani possono ormai abbandonarsi al delirio del potere».

Magistratura: come dev’essere e come devia


«Il primo carattere del potere giudiziario è di servire da arbitro. Perché abbia luogo un’azione da parte dei tribunali, occorre che sorga una contestazione. Finché una legge non dà luogo ad una contestazione, il potere giudiziario non ha occasione di occuparsene; non la vede».

«Il secondo carattere del potere giudiziario è di pronunciarsi su casi particolari e non su principi generali. (...) Quando il giudice attacca direttamente il principio generale, esce dal cerchio in cui tuti i popoli lo hanno di comune accordo rinchiuso, (...) cessa di rappresentare il potere giudiziario».

«Il terzo carattere del potere giudiziario è di poter agire solo quando lo si chiama, o quando è adito. Il potere giudiziario è per sua natura senza azione. Gli si denuncia un delitto, ed egli lo punisce; lo si chiama a riparare un’ingiustizia, ed egli la ripara; ma non va da solo a cercare i criminali, a trovare l’ingiustizia, a farsi censore delle leggi».

«... se il giudice potesse pronunciarsi contro le leggi in una maniera teorica e generale; se potesse prendere l’iniziativa di censurare il legislatore, diventando il campione o l’avversario di un partito, egli ecciterebbe tutte le passioni che dividono il Paese a prender parte alla lotta».


Il vero motivo delle due camere legislative


«Dividere la forza legislativa, rallentare il movimento delle assemblee politiche, creare un tribunale d’appello pe la revisione delle leggi, questi sono i vantaggi risultanti dalla costituzione attuale delle due camere negli Stati Uniti».


La falla dell’Unione Europea


«In tutte le confederazioni che hanno preceduto l’unione americana, il governo federale per provvedere ai propri bisogni si rivolgeva ai governi particolari. Nel caso che la misura prescritta dispiacesse ad uno di essi, quest’ultimo poteva sempre sottrarsi all’obbedienza (...). È accaduto costantemente uno di questi due fatti: o il più potente dei popoli uniti, assumendo i diritti dell’autorità federale, ha dominato tutti gli altri popoli in suon nome; o il governo federale è restato abbandonato alle sue forze, e allora l’anarchia ha regnato tra i confederati».


Trovo che siano passi profetici, che ci riguardano da vicino.



 
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