>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
San Salvador de Horta: «Nemo profeta in patria»
Stampa
  Text size
Il Cardinale Rafael Merry del Val, Segretario di Stato di San Pio X, ricoprendo questa importantissima posizione, nei primi anni del secolo scorso, ricevette un giorno alto esponente di un grande movimento cattolico. Costui, alla fine dell’incontro, intrattenendosi a conversare con il Cardinale, ebbe a lamentarsi con lui in quanto un santo sacerdote era ingiustamente stato sospeso a divinis ed era oggetto di inchiesta da parte della Congregazione del Sant’Uffizio, l’organo preposto e dedicato alla salvaguardia dell’ortodossia cattolica. Questo sacerdote altro non era che un sant’uomo ed un fedelissimo servitore della Chiesa: il Cardinale Merry del Val, scuotendo la testa e sospirando, si avvicinò al finestrone del suo studio ed invitò il suo ospite a seguirlo.

Proprio sullo sfondo della visuale, si ergeva maestosa ed un po’ tetra la Torre Borgia: indicandola il Cardinale disse al suo ospite: «Vede al primo piano è stato imprigionato il Santo X e quella era la finestrella della sua cella, mentre al secondo piano, vu furono rinchiusi secoli fa, i Santi X ed Y e nella finestrella che lei vede più defilata, passò un periodo di prigionia anche il beato A. Vede come purtroppo nulla sia cambiato dentro la Chiesa e, creda, questo soltanto per la sussistenza dello stesso comportamento che alcune persone, con sussiego e protervia, tengono nei confronti dei loro simili sfruttando la loro autorità e la loro posizione di potere! La Chiesa è sempre stata e sempre sarà, Santa e Meretrice. Il caso di cui ha perorato la causa non fa di certo eccezione!».

Pochi giorni dopo il sopraddetto sacerdote, fu chiamato davanti al Sant’Uffizio, giudicato e prosciolto da ogni accusa: purtroppo, anche oggi avviene la stessa cosa, io stesso vi ho parlato della vicenda di Padre Andrea d’Ascanio, non tutti questi santi servitori di Dio hanno la stessa fortuna di poter usufruire della potente intercessione di quello che, oggi, la Chiesa riconosce come Servo di Dio, cioè il Cardinale Rafael Merry del Val.

Linizio difficile della sua vita terrena


Anche a Fra Salvador de Horta capitò purtroppo, la stessa ingiusta e travagliata sorte. Cioè quella di un Santo ed umile servitore di Dio e della sua Chiesa, che, a causa della sua intrinseca Santità, diventa mezzo dell’intervento diretto della Divina Provvidenza sui derelitti, i malati, i peccatori, compiendo dei fatti prodigiosi e dei miracoli, viene perseguitato dai suoi superiori, perché quello che lui fa, turba la loro quiete ed il loro tranquillo vivere quotidiano.

Salvador, questo straordinario taumaturgo francescano laico, nacque nel 1520 a Santa Colomba di Farnés, oscuro paese della Catalogna, nella diocesi di Gerona in Spagna. In quel momento la Spagna era governata dall’Imperatore Carlo V di Asburgo mentre, la Chiesa, era retta da Papa Leone X. Brutti tempi quelli per l’unità della Sposa di Cristo e per la Fede Cattolica: Lutero, in Germania, aveva pubblicato le sue famose tesi ed aveva cominciato a seminare discordia e divisione propagando per tutta Europa i suoi eretici pensieri.

Della sua famiglia sappiamo ben poco se non che entrambi i genitori, di cui ignoriamo i nomi di battesimo, erano poverissimi ed avevano trovato rifugio presso l’ospedale di Santa Colomba. L’assistenza che queste strutture davano agli ammalati e dai derelitti era completamente gratuita, uguale per tutti sia per i ricchi sia per i più miseri e questo in quell’ottica di un cristianesimo che non era soltanto una vernicetta, ma compenetrava assolutamente tutta la popolazione spagnola in quei tempi. Come ho già avuto modo di raccontare, il tutto veniva finanziato da elemosine e da donazioni di privati rendendo la cosa ancora più straordinaria. Una cosa è certa negli ospedali lavoravano equipe di medici all’avanguardia per i tempi ed essi non guardavano né al censo, né alla fama dei malati, ma era soltanto il loro dove e la loro sensibilità di credenti, che li spingeva a fare il loro mestiere come una missione.

I genitori di Salvador erano due laici che avevano offerto la loro opera per questa nobilissima causa, dopo che erano stati ospitati nella struttura ed era stata data loro accoglienza e sollievo in quanto poverissimi. Vivevano in pratica nell’ospedale e per l’ospedale: giorno e notte erano sempre lì.

Ebbero due figli, Salvador per l’appunto ed una bambina più piccola, Blasia; purtroppo la loro vita terrena finì presto entrambi morirono lasciando i figli orfani. Salvador aveva 15 anni ed essendo il maggiore si dovette preoccupare di assicurare anche alla sorella il minimo per la sua esistenza, per questo, non frequentò le scuole, ma svolse il mestiere di pastore. Ma per condurre una vita meno grama e disagiata si trasferì a Barcellona, la capitale della Catalogna, dove trovò lavoro nella bottega di onesto e serio ciabattino.

Anche qui c’è da notare come il datore di lavoro solesse prendere in casa il suo operaio offrendogli anche un alloggio decoroso e provvedendo al suo sostentamento quotidiano: anche questo principio era radicato nella mentalità di quel cattolicesimo che non si accontentava di teorie, ma voleva estrinsecarsi nel compimento di opere che dessero corpo e senso alla carità.

Certo, la sua esistenza – come quella della sorella minore – era segnata dalla povertà e dalla sofferenza che ogni giorno affrontava con slancio e rassegnazione, ma che lo faceva crescere integro di costumi ed anche nella sua totale dedizione a Maria Santissima. Era un ragazzo molto dedito alla preghiera ed amava la solitudine che gli permetteva di concentrarsi totalmente sul mondo spirituale: certamente a guidarlo era la longa manus di Dio, ma la sua adesione alla Sua Volontà era totale. Forse in questo periodo, ma non abbiamo notizie certe, cominciò a maturare la sua vocazione religiosa, che comunque non poté seguire fino a quando Blasia, la sorella non si sposò e quindi fu sistemata.

La sua attitudine alla solitudine gli faceva vedere il mondo con distacco, ma forse anche con disgusto, lo colpivano i pericoli che in esso vedeva e che lo spaventavano non poco: il male anche allora era sempre al lavoro e l’esistenza non era certamente idilliaca. Fu così che si presentò al Santuario della Vergine di Montserrat che era retta dai Benedettini regola che come si sa ha per suo motto «Ora et labora»; fu accolto bene, ma era lui a sentire che la bellezza e la magnificenza di quell’abazia non gli si confaceva. Per caso passarono lì alcuni Francescani che come si sa erano e sono l’incarnazione della povertà e della più genuina rinuncia a tutto ciò che sia vanità, e Salvador si sentì attratto e riconobbe che quello era ciò che cercava: seguirli nell’imitazione di Cristo Crocifisso.

Nel 1541si presentò al Convento di Santa Maria di Gesù a Barcellona: fu accolto senza alcuna difficoltà dal Provinciale dei Frati Minori ed ammesso subito al noviziato anche se era del tutto analfabeta: non aveva niente di difettoso o che dovesse essere corretto e raddrizzato.

Il suo modo di vivere era talmente puro ed ingenuo che sembrava non desiderasse far altro che servire il suo Signore: tutto il giorno lavorava sodo ed era sempre il primo a presentarsi, a mezzanotte, in coro per la recita del Mattutino.

(Questo richiama alla mente alcuni miei ricordi d’infanzia, quando la notte della Vigilia di Natale i miei genitori mi portavano al famoso «Mattutino» che si celebrava nella Basilica inferiore di Assisi: nel coro i Frati con il camauro alzato sulla testa, cantavano il Gregoriano della Notte Santa mentre il lume delle candele e dei ceri, che erano accesi intorno all’altare, mandavano tenui e guizzanti riflessi sulla Crocifissione di Cimabue e sugli altri affreschi che ornano le pareti della basilica: la presenza di Cristo e della sua nascita erano tangibili e penetravano totalmente riempiendomi di gioia nel profondo!)

Salvador dopo la funzione soleva flagellarsi e talvolta arrivava a sanguinare; portava sempre il cilicio con il permesso del confessore con il quale tutte le mattine si confessava prima dell’alba. Non essendo sacerdote serviva la Messa e si comunicava sempre anche se quella non era l’usanza al tempo seguita.

Iniziano gli eventi straordinari e miracolosi

Dio evidentemente amava molto questo suo «piccolo» e devotissimo figlio e volle che le sue virtù fossero premiate e conosciute grazie ad un miracolo: il tutto avvenne alla Vigilia della Circoncisione nel 1542.

Il Cancelliere del Viceré, seguendo un suo personale costume, soleva quel giorno pranzare in convento e mandò a dire al Padre Guardiano che sarebbe stato presente insieme ad altre persone suoi ospiti. Stava per arrivare l’ora prefissata dell’arrivo, ed il Superiore, per scrupolo, andò nel refettorio per controllare che tutto fosse a posto e niente fosse stato trascurato: rimase però di sale in quanto trovò la cucina chiusa ed apprese che il cuoco era stato colto da una febbre improvvisa verso mezzanotte e che, a causa di ciò, aveva consegnato le chiavi della cucina a Fra Salvador suo attiguo di cella ed a cui aveva detto di avvertire subito il Padre Guardiano dell’accaduto.

Il nostro novizio, dopo il Mattutino, si era concentrato talmente nella sua meditazione del mistero di Dio da dimenticarsi del tutto di fare quello che doveva. Ed in quella specie di estasi lo trovò il Padre Guardiano, isolato in un angolo del coro della chiesa tranquillo e sereno come se nulla fosse: l’abate lo prese per un braccio e cominciò a dirgliene di tutti i clori, minacciandolo addirittura di espellerlo dal Noviziato il giorno stesso. Lo trascinò fino alla cucina per fargli vedere quello che aveva fatto per mostrargli la gravità di quello che aveva commesso, ma quando aprì la porta rimase allibito: c’era preparato un ottimo pranzo e le pietanze erano molte ed invitanti, non mancava niente per fare una bella figura con il Cancelliere.

Poco dopo Fra Salvador fece la sua Professione alla Regola di San Francesco: era convintissimo della propria totale nullità davanti a Dio e gli chiese di essere come un’argilla malleabile nelle sue mani ed in quelle dei suoi superiori, i quali lo destinarono alla comunità di Tortosa e fu qui che cominciarono i suoi guai.

Mentre stava facendo la questua, passando vicino al giardino di un signore, che aveva un figlio gravemente malato, sentì qualcuno che gli disse di pregare per questo suo figlio malato e di aver compassione di lui e del suo stato miserando. Fra Salvador entrò in casa, si avvicinò al ragazzo e gli appoggiò la mano sulla fronte e contemporaneamente alzò gli occhi al Cielo mentre recitava un’Ave Maria. Verso sera il malato era perfettamente guarito: ovviamente la notizia fece il giro della città e la gente cominciò ad andare al Convento per incontrare Fra Salvador e riceverne la benedizione; ma i frati rimasero seccati da questo accorre di tante persone, temevano infatti un’esplosione di fanatismo e per evitare ciò, trasferirono il confratello nel Convento di Bellpuig. Ed a nulla valeva che continuasse a ripetere che non era lui che faceva i miracoli, ma che: «È il Signore che li opera; io non sono che un miserabile peccatore».

Tuttavia molti suoi confratelli lo consideravano un mentecatto se non addirittura un ossesso: ma Giovanni , nel suo Vangelo, non afferma che anche a Gesù succedeva la stessa cosa addirittura nella sua città di origine?

Nonostante tutto Bellpuig sembrava dovesse ospitarlo per un lungo periodo, invece una profezia da lui pronunciata gli preparò il trasferimento. L’ammiraglio Ramón Foich de Cardona, che abitava proprio vicino al convento, temeva di essere caduto in disgrazia presso il re Filippo II. Un giorno il re lo mandò a chiamare e lo convocò a Madrid. L’ammiraglio, che ben conosceva la pietà di Fra Salvador, preoccupato corse a dirgli: «Te ne scongiuro, fratello, prega affinché il cuore del mio sovrano si plachi!». «Vada e non tema – gli rispose il frate – il re non le riserva punizioni, ma onori». Filippo II affidò al suo ammiraglio il compito di difendere la città di Perpignano dall’attacco di un esercito francese.

Fra Salvador fu trasferito al convento di Lérida quasi per punizione: ovviamente lui non aveva nessuna colpa se Dio gli aveva dato il dono di prevedere il futuro e nel compiere dei prodigi, ma questo comportava che i Fratelli lo tenessero d’occhio essendo molto sospettosi nei suoi confronti ed alla fine i Superiori lo confinarono nel convento di Horta dove rimase per 12 anni.

Più che un convento era un vero e proprio romitaggio incassato in una gola tra alte montagne che lo rendeva non proprio di facile accesso; tuttavia il buon Frate, appena arrivato andò ad inginocchiarsi davanti alla venerata immagine di Nostra Signora degli Angeli la quale gli rivelò, in locuzione interiore, che proprio lì, tra quelle gole e sotto quelle montagne, le avrebbe aperto i tesori più preziosi e rari delle sue immense Grazie.

Quando le autorità del paese, che avevano saputo della sua fama di fattore di miracoli, gli andarono a domandare di pregare per il paese che ormai era diventato suo d’adozione, il Santo suggerì loro di fare grandi provviste di cibarie ed allo stesso tempo di predisporre dei vasti locali dentro i quali la gente sarebbe potuta affluire agevolmente. Nessuno, al momento, riuscì a ben comprendere quelle parole profetiche, altri come al solito più disincantati ne sorrisero come s e si trattasse di un’estemporanea dichiarazione naif, del resto chi la faceva era o no un Francescano?

Erano passata a mala pena una quindicina di giorni che turbe di pellegrini cominciarono ad arrivare da ogni parte della Spagna ed addirittura molti anche dalla Francia, portando i loro malati: in certi momenti arrivarono a toccare anche un numero tra i duemila e d i diecimila fedeli. Con la sua solita semplicità e seraficità Fra Salvador li conduceva davanti all’immagine della Madonna: qui li invitava a pentirsi dei propri peccati, a riabbracciane la Fede con slancio ed anche a riavvicinarsi ai sacramenti essenziali per una buona vita cristiana, poi li esortava ad avere una fiducia incondizionata in Maria che tutto può verso suo figlio e a d abbandonarsi alla potenza vivifica del suo Amore: quindi sulla folla, inginocchiata davanti all’immagine sacra della Regina degli Angeli, tracciava con le mani un segno di croce pronunciando, in catalano, la formula: «Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo» dopodiché scappava letteralmente dalla loro vista perché non voleva che le guarigione che venivano operate dalla Santissima Trinità, attraverso l’intercessione di Maria, fossero in qualche modo attribuite a lui.

Le autorità responsabili della zona dovettero organizzare, come lui aveva consigliato, un metodico servizio di rifornimento dato il grandissimo numero di pellegrini che passavano per andare al convento. Fra Salvador ridette la salute materiale e spirituale sempre a tutti coloro che mettevano sinceramente in pratica i suoi consigli: una volta un paralitico si lamentò con lui per non essere stato guarito come gli altri infermi che erano insieme a lui, tranquillo e francescano, gli rispose: «Perché non ti sei confessato e manchi di fede».

Lo stesso Gesù talvolta non guariva che gli veniva portato davanti perché riscontrava in lui un persistenza del suo modo di vita sbagliato: la stessa Vergine a Fatima fece la stessa cosa. Nonostante questi casi isolati il numero di miracoli operati, per mezzo del Santo, risulterebbe incredibile se ognuno di questi non fosse stato avallato da sicure testimonianze di persone presenti agli eventi soprannaturali.

Ovviamente l’ammirazione e l’entusiasmo che suscitava divennero irrefrenabili: ad un signore che temeva per il pericolo che correva la sua umiltà e cercava di metterlo in guardia rispose: «Ti benedica il Signore che ti ha creato. Hai però da sapere che io sono come un sacco di paglia: tanto si sente onorato quando lo pongono in un punto elevato della casa come quando lo gettano in basso, dentro una stalla».

A questo punto e doloroso constatare che nemmeno davanti a tanta manifestazione di umiltà e di carità cristiana davvero lampanti, i suoi confratelli almeno lo lasciassero in pace convinti dal palese intervento della predilezione che Dio riversava su Fra Salvador: davvero nessuno è profeta in patria e certe manifestazioni di santità non vengono apprezzate, ma, al contrario, destano gelosie e risentimenti. E questa davvero aberrante gelosia nei suoi confronti non riuscì ad essere smorzata nemmeno dalla testimonianza di venerazione che al Santo dimostrò l’Inquisitore di Aragona, l’autorità più alta preposta a giudicare e attestare l’ortodossia cattolica ed a colpire le degenerazioni e le eresie. Costui, che svolgeva bene il suo compito e si voleva personalmente rendere conto di certi fenomeni, un giorno salì in incognito, al convento mescolandosi tra la folla di fedeli, per avere la possibilità di verifica se quello che sentiva riferire fosse vero, o falso esagerato, oppure realistico.

Quando Padre Salvador si presentò al cospetto dei fedeli riuniti, invece di seguire la solita prassi di sempre, si avvicinò proprio all’Inquisitore dicendogli, con un sorriso, che egli non era quel povero prete che voleva far credere; quindi se lo portò seco sull’altare maggiore, dove poté assistere alle grida di gioia e vedere le lagrime che bagnavano gli cocchi dei centinaia di infelici che erano guariti dopo la sua benedizione. Questo episodio ne richiama tantissimi altri che ebbero per protagonista San Padre Pio da Pietrelcina ed in particolare quello riguardante il Generale Cadorna, a cui il Santo si era alcuni anni prima presentato, in bilocazione, dopo la tragica rotta di Caporetto che aveva spinto il Capo di Stato Maggiore Generale quasi al suicidio.

Nessun Santo, nella storia della Chiesa, ha mai compiuto un numero di prodigi così elevato come quelli che invece riuscì a fare Fra Salvador; ad ogni ora del giorno e della notte aveva la possibilità di disporre di questa straordinaria potestà. Considerando il momento delicatissimo che stava attraversando la Chiesa Cattolica aggredita dalla Riforma protestante, erano dei colpi formidabili inferti alla sua diffusione ed allo stesso tempo erano anche un grandissimo mezzo di apostolato che veniva messo a disposizione della Chiesa.

Tutto ciò nel rispetto più assoluto della regola di ubbidienza che doveva nei confronti dei suoi superiori ed al rispetto che era, come seguace di Francesco d’Assisi, necessario riguardo ai suoi confratelli: tutti i testimoni dei processi di accertamento dei miracoli, dissero di non aver mai visto Padre Salvador turbato o alterato nemmeno quando gli altri Frati lo trattavano come un pazzo o lo accusavano di essere indemoniato. In fondo quel giorno la Vergine gli aveva promesso tutta la sua materna ed infinita assistenza affinché potesse compiere così straordinarie, ma non per questo l’austerità della sua vita religiosa e la sua coerenza con i voti fatti veniva meno e la sua unione con Dio diventava sempre più intensa e continua. Camminava sempre, d’inverno e d’estate, a piedi nudi, il saio era sempre più liso e rattoppato, riposava soltanto qualche ora stendendosi su nude assi di legno e spesso appoggiava soltanto la testa al banco del coro o in uno di quelli della chiesa. Non mangiava mai carne o beveva vino, amava moltissimo il ritiro solitario, proprio come San Francesco faceva all’Eremo delle Carceri, e per soddisfare questa sua esigenza si era costruito un piccolo romitaggio nella selva adiacente al convento per restare solo con Dio e ciò prediligeva farlo in certe ore della notte. E in quel luogo appartato fu molto spesso sentito da varie persone parlare con Gesù Crocifisso, la Vergine Santissima e con San Paolo apostolo.

Un giorno arrivò in visita al convento di Horta il Padre Provinciale. Egli davanti alla comunità radunata esternò il suo grande stupore nel trovarla inquieta, sottosopra, lacerata in quanto nel suo seno viveva un «tristo scellerato». Poi si rivolse direttamente al responsabile di tutto ciò inginocchiato in mezzo al refettorio e così lo apostrofò: «Quel tristo sei tu, Fra Salvador, tu che hai turbato la pace di questa famiglia religiosa. Non so come non hai sentito vergogna e non la senti, nell’udire la gente che dice: – Andiamo all’uomo santo di Horta! – Al santo no, ma al diavolo di Horta, se mai, sarebbe più giusto che si dicesse, non essendo tu che un ribaldo e un malvagio».

Bisognava assolutamente far tornare la calma tra quei religiosi e togliere quella morbosa animazione che si era diffusa tra il popolo, il Provinciale impose a Padre Salvador di cambiare il suo nome in quello di Alfonso, lo fece flagellare pubblicamente e gli ordinò di raggiungere di notte il convento di Reus. Mentre stava percorrendo la strada per arrivare alla nuova destinazione Fra Salvador chiese al suo compagno di viaggio di potersi riposare un po’: si raccolse in preghiera ai piedi di un albero; ma cadde in estasi ed il confratello dovette scuoterlo parecchio per potersi rimettere in cammino. Notando che era tutto raggiante di gioia. Scandalizzato gli disse: «Mi pare, Fra Alfonso, che tu sia diventato pazzo. Possibile che le pungenti parole del Provinciale ti abbiano lasciato lieto a codesto modo?». Lui, per tutta risposta, con la sua bonomia gli rispose: «Non le ho sentite, fratello. Ho pensato che il cuore dell’uomo è nelle mani del Signore. Guai a me se il Provinciale mi avesse castigato secondo il mio merito».

Arrivato a Reus trovò un Padre Guardiano piuttosto ostile e burbanzoso il quale gli proibì di parlare con i laici, di mostrarsi alla gente e quindi di operare qualsiasi miracolo e, per umiliarlo ancor di più lo chiuse in cucina.

Ma Dio aveva tutti altri progetti e di certo non teneva assolutamente conto dell’opinione del Guardiano di quel convento e mostrando la sua meschinità e ridicolizzando i suoi spregevoli calcoli: lo stesso giorno fece arrivare una folla di duemila persone che quasi cinse d’assedio il convento e rumoreggiando gridava: «Padri, dove lo avete nascosto il Santo? Dateci il Santo! Che venga a benedire e a risanare i nostri malati!».

Dalle parole si passò ai fatti la porta del convento fu divelta in un attimo ed il Padre Guardiano pieno di paura e di orrore per quello che stava succedendo, corse ad ordinare a Fra Salvador di andare a benedire la folla scatenata dopo di che di tornarsene subito in cucina. Con umiltà il fraticello ubbidì; appena tutti i pellegrini se ne furono andati, il pavimento della chiesa apparve letteralmente tappezzato di grucce, busti, bende varie, fasce: il Guardiano era letteralmente fuori di sé e del tutto inorridito gli si avvicinò, lo redarguì aspramente, lo ingiuriò ed alla fine desolato gli disse: «È proprio orribile, fratello, che né il Provinciale né il Guardiano possano nulla contro di te».

Per carità cristiana ci permettiamo di far notare come il comportamento di questi superiori fosse del tutto contrario allo spirito della Regola che avevano abbracciato e che professavano: se, in effetti, non si guardasse l’accaduto con gli occhi dello Spirito ci sarebbe da chiedersi se veramente costoro fossero dei seguaci di Cristo o piuttosto dei protervi ed insulsi omuncoli. Ma non si deve mai dimenticare che la Chiesa è fatta di uomini e quindi assolutamente fragile ed imperfetta, inoltre Dio fa in modo che da questi atteggiamenti sbagliati possa nascere un bene maggiore e chi ne è vittima cresca sulla scala della Santità: insomma sono prove destinate a fare più robusto il Santo.

L’ostinata perseveranza dell’atteggiamento ostile dei superiori e dei suoi confratelli, furono puniti e per i due anni in cui rimase a Reus, Dio gli impedì di compiere miracoli e quando ricominciò a compierne, fu subito allontanato e spedito al convento di Barcellona.

Ovviamente non si sa come la notizia del suo ritorno in Catalogna si sparse con la rapidità di un baleno e chi aveva dei malati glieli portò perché fossero da lui risanati, la risposta dei superiori, sembra un’assurdità, fu di segno del tutto opposto: lo continuarono a ritenere un esaltato e per di più sicuramente in combutta con il demonio: risultato pratico fu la denuncia al Tribunale dell’Inquisizione.

I domenicani, che inflessibilmente reggevano quel Tribunale, gli rivolsero sicuramente una serie di domande che potessero metterli in condizioni di accertare la sua ereticità o la sua ortodossia: ovviamente non trovarono in lui la benché minima traccia di negatività e niente che non fosse assolutamente conforme alla dottrina della Chiesa e di totale aderenza alla Regola Francescana: insomma era un uomo di Dio, ai suoi ottusi e superbi fratelli fu ingiunto di non molestarlo più.

Quello che la Madonna gli aveva promesso veniva assolutamente e integralmente mantenuto! Gli uomini passano Dio no, resta sempre, come diceva Santa Teresa di Avila sempre uguale a sé stesso!

Filippo II quel mistico re di Spagna, ma anche il potentissimo capo di quell’Impero su cui non tramontava mai il sole, lo chiamò. Nel 1560, a Madrid, e contrariamente alla superbia e all’invidia che faceva schiumare di rabbia i suoi Superiori e confratelli, ma con l’umiltà che è propria dei grandi e degli Spiriti Magni, in ginocchio e con le lagrime agli occhi, lo implorò di pregare per il Regno e per il popolo spagnolo!

Prima di tornare a Barcellona Padre Francisco Zamora, Ministro generale dei Francescani gli ordinò di passare per Valencia dove doveva presiedere il Capitolo della Provincia. Saputo dell’arrivo e della sua presenza in città, tutto il popolo e di magistrati gli andarono incontro per riceverlo; il Ministro Generale, accigliato e per niente convinto né dalla sentenza dell’Inquisizione, né dall’atteggiamento dei Sua Maestà disse: «Guardate come sono leggeri questi valenzani! Si agitano tanto per un semplice laico!».

Alla fine del Capitolo a Fra Salvador fu «graziosamente» concesso di prendere parte al solenne Te Deum di ringraziamento nella cattedrale della città dove si conserva una coppa d’oro che si dice sia il Santo Graal: appena il popolo lo vide gli fece letteralmente a pezzi il saio lasciandolo nudo, tanto che fu necessario, per decenza, chiuderlo in una cassa nell’attesa che dal convento fosse portata una nuova veste: così il fraticello ebbe anche una veste nuova. Ormai stava preparandosi a tornare a Barcellona, quando arrivò a Valencia San Francisco Borgia il quale lo supplicò di recarsi nel suo ducato di Gandia per liberare da un’infestazione diabolica un intero convento di clarisse: sempre malleabile strumento nelle mani di Dio, accontentò il duca e, mentre era suo ospite, si recò al monastero tracciò come sempre faceva il solito segno di croce e le religiose rimasero per sempre in pace liberate da quella infestazione.

Soltanto i suoi superiori continuarono a restare ciechi e sordi davanti alle sue virtù ed ai poteri soprannaturali che Dio concedeva tramite le sue preghiere di intercessione, dimostrando una volta in più che, anche lui come Gesù, si adattavano perfettamente le parole evangeliche: «Nemo profeta in patria». Ed ancora una volta si compì un altro passo evangelico quello che dice: «Avranno occhi e non vedranno, avranno orecchie e non sentiranno» e l’umana grettezza continuava a rendere i loro dei cuori i pietra e non di carne: proprio vero che errare humanum est, sed perseverare diabolicum, altrimenti tanta ostinatezza è inspiegabile.

La nuova patria

All’epoca la Sardegna era parte integrante del regno di Spagna e la sua collocazione strategica di grande isola le conferiva grande importanza strategica al centro del Mediterraneo. Era considerata una perla dell’Impero ed anche a livello religioso assumeva una particolare rilevanza. Proprio in quei giorni il Ministro Generale dei Francescani decise che la Provincia Francescana dell’isola dovesse essere ristrutturata e dall’uopo chiese dei volontari. Ovviamente Fra Salvador fu aggregato «spontaneamente» al gruppo di frati che dovevano raggiungere l’isola, l’avviso con classica curialità pretesca gli fu comunicato soltanto la sera prima della partenza, ma per lui non era una novità l’avviso l’aveva già ricevuto, da tempo, direttamente dal Cielo e ciò in barba a tutti i sottili maneggi posti in essere dai Superiori. Una sera ad Horta, mentre stava con i confratelli e si ricreava un poco alla fine di una lunga e faticosa giornata di lavoro e di preghiera, all’improvviso fu sentito pronunciare questa frase:

«Stanotte ho visto una città molto forte, al di là del mare... È situata in alto ed è munita di artiglierie. Io debbo andare fino là». «Ma ritornerai?» – gli chiesero celiando i Frati. «No, non ritornerò. Poiché qua non mi vogliono, là io debbo morire».

Non desta meraviglia che quando il Commissario Padre Vincenzo Ferri gli palesò il desiderio (a cui non si poteva certo dissentire) serenamente rispose così: «Andiamo pure in Sardegna! Dio mi vuole là e là mi ha promesso un gran bene».

I suoi contemporanei, ben più realisti dei Superiori, videro questo trasferimento annunciato da Dio stesso come una punizione inflitta alla Catalogna per tutte le vessazioni che erano state inflitte, a quel figlio così assolutamente vicino e genuinamente fedele alla regola del Santo di Assisi, da parte dei suoi ciechi e meschini confratelli e Superiori: ancora una volta nemo profeta in patria!

Ovviamente, a Cagliari, al momento del suo arrivo, fu accolto non come un semplice Frate ma come una vera e propria benedizione mandata dal Cielo; sulla porta del convento un religioso inginocchiandosi gli chiese di essere benedetto. L’umile Fraticello si arrestò, guardò il suo interlocutore e, con la solita seraficità, gli rispose: «Ella, che da tanti anni è sacerdote, deve benedire me, non io lei, che sono un povero laico».

Ovviamente anche in Sardegna, come avveniva regolarmente in Catalogna, la gente andava da lui ad ogni ora del giorno ed il Signore che ha i suoi progetti, indipendentemente dal parere dei Superiori, per mezzo suo continuò ad operare l’apostolato attraverso i miracoli. Quando Fra Salvador usciva per la questua, la cosa più umile e più nobile che potesse fare, il popolo era rapito da quel suo atteggiamento sempre umile e dimesso, con quel Rosario sempre in mano e lo sguardo basso e capiva benissimo che in quel momento era Dio stesso che passava e bussava alla porta della gente. Tutti si raccomandavano alle sue preghiere e tutti cercavano di migliorarsi mettendo in pratica i buoni suggerimenti che sempre dispensava a tutti.

In tutta la sua vita mai gli successe di inorgoglirsi o di insuperbirsi pur essendo circondato da tanta venerazione, negli ultimi mesi di vita, poi, iniziò con sempre più frequenza ad andare in estasi.

Una dama di Cagliari chiese di riceverlo, insieme al Padre Guardiano, nel suo sfarzoso palazzo: era molto curiosa di conoscere qualcosa di più della sua vita sentendola direttamente da colui che la stava pienamente vivendo; siccome faceva freddo e vedendo che camminava come sempre scalzo, ordinò alla sua servitù di portagli un braciere acceso e contemporaneamente si appartò con il Padre Guardiano, per una conversazione privata.

Girandosi si accorse che Padre Salvador stava con l’orlo del saio ed i piedi nudi sopra il braciere; spaventata cercò di richiamare la su attenzione gridandogli che stava bruciando: al che il Santo, che aveva direttamente dal Cielo saputo quello di cui i due stavano parlando, con la solita tranquilla calma le rispose: «Non tema, signora; non brucio! Siccome voi due sentite il bisogno di dire e di ascoltare le lodi di un mortale pieno di imperfezioni, è giusto che io lodi il Sommo Creatore la cui bontà si riflette in me, povera creatura!».

Il Signore nella sua infinita Misericordia, si degnò di fargli conoscere esattamente la data della sua morte. Fra Salvador si recò di corsa immediatamente in chiesa e per più di tre ore, lievitando in aria, pieno di felicità e piangendo di gioia cantò le lodi a Dio e, mai staccando gli occhi dal tabernacolo, gridò più volte: «Ah, Gesù! Ah Maria! No, non merito tanto io, non lo merito». Fu preso improvvisamente da una forte febbre e da un lancinante dolore al costato, ma il tutto non durò più di una settimana dopo di che spirò.

Il popolo seppe che il più grande benefattore della Sardegna era sul punto di morte, cominciò ad accalcarsi intorno al convento pregando e piangendo; anche l’Arcivescovo di Cagliari, il Viceré, i Senatori e di Consoli della città accorsero nel misero luogo in cui il Frate giaceva, per raccomandare alle sue preghiere di santo la città, gli abitanti e l’intera isola.

Come aveva predetto, secondo quanto Dio gli aveva rivelato, morì il 18 marzo 1567, dopo aver stretto per l’ultima volta al petto il Crocifisso ed aver esclamato: «Nelle tue mani, o Signore, raccomando il mio spirito... Gesù… Maria!».

Clemente XI lo aveva dichiarato Beato ed aveva ammesso il suo culto il 29 gennaio 1711. Per l’elevazione alla Gloria degli altari dovette ancora aspettare ben 371 anni: fu infatti Pio XI che lo proclamò Santo il 17 marzo del 1938: le sue spoglie mortali riposano nella chiesa di Santa Rosalia a Cagliari.

Veramente la Sardegna lo aveva accolto come suo figlio e ne era diventata, con merito, la sua vera e nuova patria.

Luciano Garofoli

L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità