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Il Papa in America
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Due fra le tante lettere:

«Signor Direttore,
le scrivo perchè sarei interessato ad un suo parere riguardo alla visita negli USA di Benedetto XVI
vorrei portare alla sua attenzione un fatto in particolare: il Papa ha sottolineato ancora una volta l’importanza del dialogo interreligioso; ho sempre creduto che egli sia comunque molto consapevole di tutti i problemi che sorgono qualora si ponga seriamente la volontà di conciliare dogmi, idee, usi, costumi e mentalità diverse in vista della pace comune;  sopratutto quello di non fare dei passi indietro sulla propria identità e fede religiosa e senza apportare danno e svilimento ad essa. Ora però bisogna ricordare che gli Stati Uniti hanno permesso fin dal 1966 la fondazione della chiesa di Satana che tutt’ora ha una sua sede, un suo ordinamento e degli adepti, senza dimenticare le innumerevoli sette e società segrete che in quel Paese hanno sempre trovato terreno fertile; inoltre si può dire, anche se in modo molto generico, che negli Stati Uniti, più che in ogni altro Paese, si sono sviluppati e si sono diffusi tutti quei fenomeni che hanno portato ad un progressivo abbandono della morale e dei valori cristiani.
Mi chiedo come mai il Papa parli di dialogo, di libertà e addirittura definisca gli americani il popolo della speranza quando è palese dinnanzi a molti, e sicuramente alla Chiesa stessa, che quella stessa libertà e volontà di dialogo, in America più che altrove, sono stati asserviti per far crescere i germi della decadenza e della mancanza di valori e per giustificare molte nefandezze dei nostri tempi. Insomma mi fa uno strano effetto vedere il Papa accanto a Bush in America a festeggiare il suo compleanno, ho percepito molta ipocrisia nell’aria e ho la brutta sensazione che il Papa stia rischiando di farsi strumentalizzare in un modo che non è degno dell’altezza spirituale della carica che ricopre. Mi scuso per la possibile eccessiva generalizzazione della faccenda che andrebbe analizzata sotto molteplici aspetti;  
mi rimane comunque un certo dispiacere e una certa delusione.
Luciano L.
»


«Direttore,
mi rincresce dirle che ho vissuto con molto dolore l’era del Papa Giovanni Paolo II e la giudeizzazione della nostra Fede. Il colmo del mio sgomento e stata la visita del presidente americano al Vaticano alla vigilia della sua rielezione il che gli ha avvalorato, per la prima volta nella storia di un candidato repubblicano, le voci cattoliche negli USA, offrendogli cosi un secondo mandato. L’attuale successore di San Pietro che ha valori comuni con lo Stato piu terrorista della storia recente, che si fa beffa del diritto internazionale, invadendo l’Iraq, con Guantanamo, i rendition flights, la guerra oscena contro il Libano, l’appoggio incondizionato al genocidio palestinese, con un presidente blasfemo che ha trascinato il Nome di Dio Misericordioso nei piu gravi crimini contro questa umanita per la quale Nostro Signore ha subìto il crocifisso, la piu grande prova d’Amore mai dataci, ebbene io esco da questa Chiesa nella quale non trovo piu conforto ma il viso del’Anticristo.  Del resto tutto ha fatto questa Chiesa negli ultimi 30 anni per vuotare il Medio Oriente dei suoi cristiani, seguendo una politica strettamente israeliana. In Terra Santa i cristiani stanno sparendo e finalmente i luoghi Santi sono sempre piu un museo, non luoghi di preghiere ininterrotte da duemila anni da chi ci è nato, ci ha sempre vissuto e ha mantenuto viva l’essenza del cuore cristiano. Oramai i litigi della Santa Sede con Israele sono tutti di natura «real estate» (immobiliare), e visti per i frati occidentali con i permessi di soggiorno annessi.  Non una parola per chi è  frate e arabo o ancora peggio palestinese. Non una parola per il palestinese laico. Tanto l’olocausto è solo dominio del popolo eletto, quel popolo che qui in Austria secondo il cardinale Schoenborn, vive in uno Stato, Israele, di diritto divino.
Brunella Hoyos
»


So che questa risposta mi costerà l’ira di molti buoni cristiani, che mi accuseranno di essere la zizzania nel campo. Li capisco. Vorrei vivere la mia fede in pace, convinto della ragione e della infallibilità del mio Papa. Vorrei dire che ha ragione lui, sull’America come modello. Che ha ragioni apostoliche, o di sana prudenza, per non aver mai non solo rimproverato a questa America i «renditions flights» e tutto quel che ricorda Brunella. Per non aver ricordato mai nemmeno all’ONU, parlando di diritti umani, i 600 mila morti dell’Iraq e i quattro milioni di iracheni resi profughi dall’occupazione. Vorrei. Di che m’impanco io, peccatore? Non sarà solo superbia la mia obiezione?

Ma non posso, non riesco. La mia coscienza non riesce ad aderire. L’obiezione nasce dalla coscienza. Perchè?

Sono costretto a citare anzitutto le parole che il cardinale Jean Marie Lustiger scrisse nel volume «La Promesse» (Parigi, 2002) che raccoglie una serie di conferenze da lui tenute per circa vent’anni, in cui il porporato ritorna sui rapporti tra giudaismo e cristianesimo. Il prelato francese scrive che «il massacro e la persecuzione di Israele fu fatto dai pagano-cristiani» (pagina 74); Erode sarebbe la figura o il tipo dei cristiano-pagani (ivi), la società cristiana più che una figura del Regno dei cieli ne è «la caricatura spesso infernale» (pagina 112), il peccato dei cristiani è quello di deicidio «riguardo alla sorte che hanno riservata al popolo ebraico (...) La vittima assoluta – di cui Gesù è solo un simbolo – è Israele» (pagine 51 e 75)». La teologia della sostituzione cristiana (per cui la Chiesa sarebbe il Verus, Novus Israel)
«è un’appropriazione abusiva e blasfema dell’elezione di Israele» (pagina 162)».

Traggo questi passi da un saggio fondamentale di don Curzio Nitoglia, «Dal giudaismo rabbinico al giudeoamericanismo – Il problema dell’ora presente» (Effepi, Genova, 2008). Lo faccio per chiedere ai buoni  cristiani fedeli al Papa: è questa la fede cattolica, a cui la Chiesa vi propone di credere?

Questa sì che è una «teoria della sostituzione». Viene sostituito il colpevole collettivo del deicidio: ora non sono più gli ebrei dei tempi di Pilato (è vietato solo pensarlo), ma sono i cristiani - tutti quanti noi, non solo i tedeschi del 1933-45 - per il male che hanno fatto a Israele.

Ancora di più: viene sostituita, nientemeno, la Vittima. Noi dobbiamo crederre che Gesù è «solo un simbolo» della «vittima assoluta, Israele».

E’ a questo che credete, cristiani fedeli? Questo è l’atto di fede della religione olocaustica, l’ultima religione obbligatoria rimasta. E’ ancora cristianesimo?

Voi direte: ma queste sono solo le idee del cardinale Lustiger, mica del Papa e della Chiesa. Eh no, purtroppo non è così.  Non risulta che il cardinale Lustiger sia stato non dico condannato ed espulso, ma nemmeno censurato, nemmeno corretto dal Vaticano. Eppure la frase: «La vittima assoluta, di cui Gesù  è solo un simbolo, è Israele» è una bestemmia contro Gesù  (ridotto a simbolo, a prefigurazione e non ad apice), e implica tutta una teologia eretica - eretica almeno secondo la Chiesa di «prima».

Questa è la nuova teologia in formazione nella Chiesa ufficiale. Come ha spiegato il cardinale Walter Kasper in un discorso tenuto a Boston il 6 novembre 2002, e stampato dalla Commissione per le Relazioni Religiose con gli ebrei (Città del Vaticano), c’è una Chiesa di «prima» e una di «poi».

In quel discorso, Kasper esaltò Giovanni XXIII come il promotore di un «inizio di un nuovo inizio», ossia di una «Chiesa in costruzione costante», che dal suo Pontificato vive in continuo divenire (pagina 2). E il cambiamento più importante per Kasper di questa «Chiesa in costruzione costante» (in una sorta di evoluzionismo del dogma, par di capire) è appunto
«la nuova concezione dei rapporti tra Chiesa e giudaismo, dopo tanti secoli d’incomprensione».

Il nuovo inizio è la Nostra  Aetate, 1965. Sulla genesi della Nostrae Aetate è stato scritto parecchio: il promotore ne fu Jules Isaac, alto esponente del B’Nai B’rit, la Massoneria riservata agli ebrei, che a questo scopo incontrò papa Roncalli nel 1960.

Sul «come», abbiamo il racconto di uno degli ebrei artefici dell’accordo, Lazare Landau (Tribune Juive, numero 903 e numero 1001, 1986-1987): «Nell’inverno del 1962, i dirigenti ebrei ricevevano in segreto, nel sottosuolo della sinagoga di Strasburgo, un inviato del Papa, il padre domenicano Yves Congar, incaricato da Bea e da Roncalli di chiederci ciò che ci aspettavamo dalla Chiesa cattolica alla vigilia del Concilio...la nostra completa riabilitazione, fu la risposta... In un sottosuolo segreto della sinagoga di  Strasburgo, la dottrina della Chiesa aveva conosciuto realmentre una mutazione sostanziale».

Vorrei chiedere: perchè tutto questo segreto, se la cosa era buona e fatta per amore cristiano? Perchè riunirsi nella cantina di una sinagoga, in segreto, per mutare sostanzialmente la dottrina cattolica, se questa mutazione è giusta e bella? Cristo dice pure da qualche parte: «Non c’è nulla di nascosto che non debba essere rivelato»; ma già, Cristo è solo un simbolo della Vera Vittima.

Fatto sta che Benedetto XVI non è estraneo a questa teologia.

Il 30 ottobre 2005, all’Angelus, disse: «Con la dichiarazione Nostra  Aetate i padri del Vaticano II hanno proposto alcune verità fondamentali:... lo speciale vincolo che lega i cristiani e gli ebrei». Tale vincolo, va detto, non è riconosciuto dagli ebrei.

Il rabbino Di Segni presso il Pontificio Seminario maggiore, il 17 gennaio 2002, l’ha detto chiaro: «I cristiani devono arrivare ad ammettere che gli ebrei... possiedono una loro autonoma, piena e speciale via di salvezza e che non hanno bisogno
di Gesù». Se mai devono stare attenti i cristiani, perchè su loro pende l’accusa di idolatria, passibile di morte secondo
il Talmud: «Si discute se la divinità di Gesù», disse infatti il rabbino, «possa essere compatibile per un non ebreo con l’idea monoteistica... la conseguenza è che il cristiano potrebbe, secondo l’opinione rigorosa, non essere sulla strada della salvezza».

Bisogna almeno riconoscere che, contrariamente alla Chiesa, la Sinagoga non è in «costruzione continua»: è fermissima al punto in cui stava 2 mila anni fa. Gesù non è il figlio di Dio, e chi lo dice è idolatra. Ciò dimostra, sia detto fra parentesi, che gli ebrei sono tenuti anche oggi ad uccidere Gesù, l’uomo che si proclamò Dio. Tuttavia gli ebrei possono chiudere un occhio (per ora), purchè il Vaticano riconosca che gli ebrei «non hanno bisogno di Gesù» per salvarsi.

Ovviamente, la Chiesa di «prima» diceva il contrario.

Secondo quanto ci raccontano i testi (ex) ispirati, Gesù spedì gli apostoli a predicare il Vangelo a «tutti» gli uomini, senza fare eccezione per gli ebrei; anzi, prima agli abrei. Per esempio, fra i moltissimi passi citabili, San Paolo: Gesù «è l’unico mediatore fra Dio e gli uomini» (I Tim., II,5).

Ma ora che la Chiesa è in evoluzione costante, non c’è dubbio che si sta avvicinando ad esaudire la richiesta di Di Segni. Anzi, Lustiger l’ha già addirittura superata: non solo gli ebrei «non hanno bisogno di Gesù», ma sono loro la Vittima  Assoluta, di cui Gesù è solo una pallida prefigurazione.

Non dico oltre. Rimando al libro di don Nitoglia, che consiglio caldamente. Ho voluto solo dare il quadro, teologico-ideologico, alla cui luce temo si possa capire la visita di Benedetto in America, con i suoi elogi al Paese che martirizza l’Iraq e che sostiene il martirizzatore dei palestinesi.

Come giornalista, posso aggiungere solo alcune informazioni di contorno. Che possono forse aiutarci a capire che l’attuale atteggiamento del Papa è opera di una «gestione» politica degli USA da parte del Vaticano. Che quest’operazione di influenza e di manipolazione fosse in corso lo rivelò nel 2004 Joseph Stroupe, analista d’intelligence (1) che gestisce un sito molto informato, «Geostrategymap», che pare vicino a qualche centro d’intelligence USA.

Stroupe disse allora a chiare lettere che la Casa Bianca aveva bisogno di un Papa «reaganiano»: egli ammetteva che
«la spinta unilateralista e militarista con cui l’America [di Bush jr.] ha cercato di consolidare il suo potere globale è fallita, finendo per rafforzare le contro-forze che vogliono una distribuzione più bilanciata del potere globale». Ma subito aggiungeva che ora «l’Amministrazione Bush» ha capito, ed ha cambiato strategia: «Sta ora montando uno sforzo nuovo sul fronte ideologico, per istigare (sic) rivoluzioni democratiche in regioni strategicamente cruciali, allo scopo di far arretrare le forze che puntano al multipolarismo».

Così come Reagan «usò» Giovanni Paolo II per «far avanzare il capitalismo», così ora, in questa nuova guerra fredda (neocold war) «la collaborazione tra Washington e il Vaticano diventa necessaria» di nuovo. Il nuovo Papa fornirà l’occasione, diceva l’analista.

L’interesse convergente fra Papa e Washington è evidente: la crescita del fondamentalismo islamico (che è stata l’America a suscitare, ammette Stroupe) è il nemico comune su cui si può trovare l’accordo. Ma tuttavia, «il radicalismo islamico è solo il bersaglio secondario», prosegue lo stupefacente analista ebraico.

Il «vero obbiettivo» primario che unirà i «neo-cold warriors» del Vaticano e della Casa Bianca è «il sempre più aggressivo blocco di regimi autoritari, uniti ai loro simpatizzanti nella ’vecchia’ Europa, Medio Oriente ed Asia, che cercano di redistribuirsi l’egemonia globale sottraendola a Washington». Chi sono questi «autoritari» in avanzata?

Stroupe li nomina: «Russia e Cina» alleati sotto sotto con «Francia e Germania».

E perché il Vaticano dovrebbe farsi arruolare in questa ultima campagna neocon contro Europa, Russia e Cina? Evidente: la Russia è ortodossa e ostile a Roma; la Cina è anticristiana. La Francia è massonica e la Germania di Schroeder è atea.

Il Vaticano deve capire che solo l’«alleanza strategica» con l’America, «garante tradizionale della libertà religiosa e politica», gli garantisce un posto nel mondo futuro. Il nuovo Papa avrà il massimo interesse a sostenere Washington nei «cambiamenti di regime» nei Paesi ex-sovietici, e nel sostenere Bush contro la «vecchia Europa» che ha rigettato le sue «radici cristiane».

Questo scriveva l’agente Stroupe nel 2004; questa la linea propagandistica che, annunciava, avrebbe tenuto l’America verso il nuovo Papa. Ebbene: mi pare che il Papa in America, in tutti i suoi discorsi, abbia ricalcato tutti i motivi preventivamente dettati da Stroupe. Bisogna aggiungere che questa manipolazione è stata condotta molto direttamente sull’attuale Pontefice.

Nel 1999 fu fondata in Svizzera una «Foundation for Inter-religious and Intercultural Research and dialogue». Tra i fondatori appaiono Renèe Samuel-Sirat, ex gran rabbino di Francia, il principe Hassan di Giordania e l’Aga Khan, Oliver Fatio,
un esponente luterano, il metropolita Damaskinos della chiesa greca, e il cardinale Joseph Ratzinger.

Ma la lista non si chiude qui: tra tanti prelati, teste coronate e gente di religione, ci sono due laici. Uno è Neil Bush, terzo figlio dell’ex-presidente USA e fratello dell’attuale presidente; l’altro è Jamal Daniel, un siriano ortodosso, socio in affari di Neil Bush.

La «Fondazione» da loro fondata era apparentemente dedita al «dialogo inter-religioso» e alla «comprensione tra le fedi». Ma nell’annuario specializzato di queste entità (Dunn & Broadstreet) la fondazione elvetica è invece designata come un «management trust», ossia come un fondo di gestione fiduciaria di attivi finanziari: e non come entità senza scopo di lucro, ma specificamente fra le organizzazioni con «scopi altri da educazione, religione, carità o ricerca». Insomma che fondazione era? Ecumenica o affaristica? O entrambe?

Qui, può aiutare a capire qualche dato sulla figura di Neil Bush, figlio e fratello di presidenti USA. Mentre suo padre era vicepresidente degli USA a fianco di Ronald Reagan, Neil venne coinvolto nella bancarotta di una Cassa di Risparmio (Silverado Savings and Loans) di cui era amministratore: l’ente di controllo lo accusò di «diverse violazioni dei doveri fiduciari e molteplici conflitti d’interesse». Non si arrivò ad incriminarlo grazie al papà, e Bush figlio se la cavò con una transazione extragiudiziale pagando 50 mila dollari di ammenda. Dalla banca era scomparso un miliardo di dollari.

Nel 2002, Neil Bush ottiene un contratto di consulenza (pagato 2 milioni di dollari) dalla Grace Semiconductor Manufactoring Corp, un’azienda il cui padrone risulta essere il figlio del presidente cinese di allora, Jing Zemin: Neil non s’intende affatto di semiconduttori, ma evidentemente la pagatissima consulenza ha altre ragioni, meno tecniche e più «politiche».

Infatti, Neil Bush diventa co-presidente di un’altra ditta, la Crest Investment, in cui è affiancato dal suo nuovo amico James Daniel, il siriano svizzero che aveva creato con lui la fondazione per il dialogo inter-religioso.

Grazie al nome di Bush, la Crest ottiene un contratto miliardario, e senza concorso, con lo Stato del Texas (dove i Bush contano qualcosa) per dei depositi di benzina. Dopo questo, Neil Bush viaggia molto in Medio Oriente, Europa ed Asia per «stipulare contratti» e «raccogliere capitali per diversi affari».

Fra gli affari, ci risulta una commissione di 642.500 dollari, pagatagli per aver «messo in contatto un investitore asiatico con una ditta di tecnologia americana»: è questo il lavoro di Neil: mettere in contatto, allacciare rapporti. Un brasseur d’affaires.

Ma da giovane, Neil ebbe tutto un altro incarico, più occulto e importante. Il 30 marzo 1981, il presidente Ronald Reagan fu ferito in un attentato. L’attentatore, un giovane apparentemente squilibrato, si chiamava John Hinkley jr. Ebbene: questo Hinkley era amico della famiglia Bush. Il fratello dell’attentatore, Scott Hinkley, doveva essere a pranzo con Neil Bush quella stessa mattina.

Ovviamente, se Reagan fosse stato ucciso, alla presidenza gli sarebbe succeduto il vice-presidente, ed ex capo della CIA, George Bush padre. Il capo della dinastia. Questo è Neil Bush, il giovanotto che il cardinal Ratzinger si trovò a fianco come co-fondatore della fondazione svizzera (2). Un giovanotto che mai e poi mai ha dimostrato il minimo interesse per i dialoghi ecumenici. Che significa?

L’ipotesi più probabile: quella fondazione era una delle tante iniziative allestite - sempre per iniziativa di americani, spesso del Dipartimento di Stato - per attrarre prelati importanti e avvicinarli alle politiche USA.

Lo posso dire con sicurezza, perché tempo fa una personalità vaticana di un certo livello chiese il mio parere al proposito: era stato invitato ad entrare in un «gruppo di studio» o fondazione «per la comprensione inter-religiosa», in cui funzionari americani lo volevano assolutamente per far meglio comprendere alla Santa Sede le intenzioni del governo USA in politica internazionale, specie sul Medio Oriente. Essi erano interessati ad avvicinare prelati di peso.

Tra i promotori spiccavano i nomi di alcuni neocon di una certa notorietà; come specchietto per le allodole, i funzionari - tutti devoti cristiani a loro dire - già esibivano la partecipazione al gruppo di studio di nomi della chiesa ortodossa, dell’Islam e dell’ebraismo. Personalità del genere del principe giordano Hassan e dell’Aga Khan, notoriamente nell’orbita degli interessi statunitensi.

La fondazione a cui fu invitato il cardinal Ratzinger doveva tra l’altro, secondo l’attuale curatore che si chiama Gary Vachicouras (un greco-americano) «pubblicare l’Antico Testamento in ebraico, il Nuovo in greco e il Corano in arabo»: operazione la cui superfluità salta all’occhio. A meno che lo scopo non fosse tutt’altro.

Quale? Il buon Papa è andato in USA con il gran libro di Tocqueville, «La democrazia in America». Libro capitale, ma che - risalendo a metà ’800 - denuncia il non insolito ritardo culturale delle gerarchie vaticane. Probabilmente l’autore che spiega meglio la realtà dell’America d’oggi, dei suoi «interventi umanitari», guerre «preventive» e violazioni dei diritti umani è
Leo Strauss. Il filosofo nietzschiano-talmudico, il guru e padre dei neocon.

Ma il Papa lo conosce, Leo Strauss. Lo conosce almeno in quanto – come si sa – appassionato lettore de Il Foglio ed estimatore di Giuliano Ferrara. Il Foglio dedicò a Strauss un inno (3): come padre della «religione civile» in quanto Strauss «vede nella religione un sostegno alla moralità della vita civile», e dunque è l’ideale compagno di strada di un Papa che resiste alla «nuova ondata di illuminismo e laicismo».

Questa è la verità per i goym, s’intende. Perchè, come aggiunge il  Foglio, «il sapere filosofico, essendo ricerca della verità e messa in discussione radicale delle opinioni comuni, è per sua essenza nichilistico e nessuna società può sopportarlo».  Sicchè per la società, fatta di uomini comuni, il «filosofo» che considera la verità come un Nulla insensato, riserverà «nobili menzogne»: fra cui appunto una fede qualunque a cui lui, l’uomo gnosticamente superiore, non crede affatto.

«Secondo Strauss, le masse hanno bisogno di bugie», scrive letteralmente il Foglio: e giù l’elogio di «George Bush che ha portato le idee del filosofo di Chicago entro la Casa Bianca». Elogio della doppiezza talmudica (Strauss ammirò Maimonide in quanto dissimulatore); uso della religione come instrumentum regni, la menzogna come base dell’arte di governo - e specificamente, per preparare noi cattolici, come già i protestanti americani, alle crociate di Israele contro l’Islam.

Qui mi fermo. O vorrei fermarmi. Senonchè sento le irate reprimende dei lettori  buoni cattolici. Tu che manchi di rispetto al Papa, come hai il coraggio di dirti ancora catttolico. Poniamo pure che la Chiesa stia cambiando dogma, in senso più filo-ebraico: non sei tu che devi giudicare. La stanno cambiando in quel senso fior di cardinali; l’ha cambiata un Concilio;
la affermano ormai tre Papi successivi.

Se questa è davvero la nuova stagione della Chiesa, vuol dire che è la volontà di Dio. Di Cristo che garantì a Pietro «le porte dell’inferno non prevarranno» sulla Roccia-Chiesa. Chi sei tu per obiettare? Cedi alla volontà di Dio, così manifesta nel Concilio e nei Papi. Come osi contestare l’infallibilità del Papa?

Lo so. Mi rendo conto. E dolorosamente, con angoscia. Sia fatta la volontà di Dio, se tale è la Sua volontà. Il Papa è infallibile, ed io fallibile.

Ma c’è una cosa che mi impedisce questo acquietamento della coscienza. E’ la lettera ai Galati di Paolo. La lettera è proprio contro i giudaizzanti, che avevano sconvolto la comunità di Galazia (Turchia attuale). C’erano anche allora, i giudaizzanti.
Ed erano molto meno  «avanzati» del cardinal Lustiger, di Kasper o di Martini. Si accontentavano di affermare che la fede in Cristo da sola non basta a ottenere la salvezza, ma che era necessaria la circoncisione e la pratica dei riti giudaici.

A questi giudaizzanti moderati, che cosa dice Paolo?

Smentisce in anticipo il rabbino Di Segni, sostenitore della via di salvezza autonoma ebraica: «Se vi lasciate circoncidere... non avete più niente a che fare con Cristo, voi che cercate di essere giustificati con la legge, siete decaduti dal favore divino». Dice:
«Il figlio della schiava (la Legge) non avrà parte dell’eredità con il figlio della donna libera (la Chiesa)».

Dice anche, a coloro che aderiscono a «un altro evangelo: non ne esiste un altro!». Smentita anticipata della Chiesa in costruzione perenne. Non esiste un Vangelo diverso per gli ebrei. «Non c’è più nè giudeo nè greco... tutti voi siete una sola persona in Cristo Gesù.... Come potete rivolgervi di nuovo verso gli elementi senza forza e meschini ai quali volete di nuovo tornare a sottomettervi come schiavi?».

Paolo dice soprattutto:

«Ci sono alcuni che mettono lo scompiglio tra di voi e vogliono stravolgere il Vangelo di Cristo. Ora se anche noi stessi o un angelo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema» (I, 68)».

Dice proprio così, come presagio: se anche un Angelo. Figurarsi un Papa.

E’ questo che non mi lascia adagiarmi tranquillo nella dottrina del Concilio, sicuro che è volontà di Dio. So che come cattolico dovrei credere al Concilio, e al Papa. Ma Paolo dice: se anche un angelo, o io stesso, venisse a  predicarvi un altro Vangelo (la necessità della circoncisione), non dovete credere. Chi arrivasse è maledetto,e per voi, se gli credete, non c’è salvezza.

E’ per questo che, dolorosamente, vivo questa stagione tragica della Chiesa. Nel buio, attendo che Gesù stesso dia un segno. So che forse io sbaglio, e sono pronto ad ammetterlo. Ma so che Paolo non sbaglia, e che così mi ha insegnato la Chiesa, fin da quando ero bambino, e nei venti secoli prima. Mi dicano che sbaglia Paolo, ed io ricorderò: «Se anche un angelo....».

La mia è ribellione? Superbia? Possibile. Ma c’è pur sempre l’altra esortazione di Paolo: «Per la libertà Cristo ci liberò; state dunque saldi e non lasciatevi sottomettere di nuovo al giogo della schiavitù». E’ questa libertà che, cosciente dei miei peccati, rivendico.




1) Joseph Stroupe, «Religion and geopolitics: this that bind», Asia Times,  25 agosto 2004.
2) Knut Royce e Tom Brune, «Neil Bush, Ratzinger co-founders. President's younger brother served with then-cardinal on board of a relatively unknown ecumenical foundation», Newsday, 21 aprile 2005.
3) «La formidabile guerra culturale del professor Leo Strass», Il Foglio, 21 ottobre 2006.



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