Corriere del Mezzogiorno 18 Settembre 2011
I tira e molla dei pubblici ministeri, i vagheggiamenti dei giudici, le loro incompetenze e dunque gli scioperi (sacrosanti, a questo punto), fanno prescrivere i reati nella più grande operazione di polizia contro l'ecomafia portata avanti fino ad oraI carabinieri del Noe, coordinati dal pm Donato Ceglie, svelarono i meccanismi di un sistema odioso: per risparmiare sulle spese di smaltimento dei rifiuti tossici, moltissime aziende, anziché sversarli nelle discariche autorizzate, affidavano i fusti a personaggi di pochi scrupoli, spesso contigui con la criminalità organizzata del Casertano. A bordo di Tir i veleni arrivavano in Campania e venivano sepolte accanto a frutteti e orti, nonché sotto allevamenti di bufale. Rifiuti dalle regioni del Nord Fu calcolato che, in media, giungevano in provincia di Caserta da Piemonte, Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna quaranta Tir a settimana e che in tutto, sottoterra, sono finiti un milione di tonnellate di rifiuti tossici. Nonostante lo sgomento per i risultati delle indagini, «Cassiopea» fu salutata come l’inizio di una nuova era: finalmente i signori dei veleni e i loro espedienti erano stati scoperti. Finalmente la giustizia presentava il conto. Invece non è andata così. La vicenda ha avuto un percorso travagliato e contorto. Il pm Ceglie, oggi sostituto procuratore generale con delega alle demolizioni, nei mesi successivi al blitz del Noe chiede il rinvio a giudizio e l’udienza preliminare procede spedita. Gli intoppi nel processo In aula, davanti al gup, molti imputati confessano. Ma poco prima della conclusione, dopo la discussione degli avvocati della difesa, il gup si convince che la competenza non è sua, dal momento che nel traffico di rifiuti, a suo avviso, entrano i clan camorristici: invia gli atti alla Dda. Cento faldoni passano dunque dal Tribunale di Santa Maria alla Procura distrettuale. Passano mesi, poi anni. Il fascicolo viene assegnato.
Il pm, però, non condivide le valutazioni del gup: la camorra non c’entra. La competenza non è della Dda. Gli atti tornano a Santa Maria. È il 2005, i rapporti tra le due Procure sono tesi e forse anche questo elemento ha un peso nella vicenda. Il nuovo processo e l’incubo prescrizione Nel Tribunale sammaritano viene allora fissata una nuova udienza preliminare e a quel punto lo spettro della prescrizione si fa evidente. Errori di notifica. Trasferimenti di giudici. Scioperi degli avvocati. Mai udienze straordinarie, nonostante il numero così elevato di imputati: le udienze slittavano di semestre in semestre. Sono passati così cinque anni. Solo l’ultimo gup, Caparco, ha provato a evitare la prescrizione fissando appuntamenti supplementari. L’amara conlusione Ieri, però, su «Cassiopea» è stata scritta la parola fine. Nonostante tutto, l’inchiesta non è stata inutile. Per tre motivi: di fatto ha interrotto il traffico di rifiuti tossici tra il Nord Italia e la Campania (traffico che però continua lungo altre rotte, come hanno dimostrato recenti inchieste giudiziarie); ha fatto in modo che il legislatore introducesse il reato di traffico illecito di rifiuti; ha svelato le connessioni tra il traffico di sostanze tossiche e i tumori (l’indagine si avvalse forse per la prima volta di studi epidemiologici).
Da «Cassiopea», inoltre, sono nate altre inchieste che hanno avuto un esito migliore, con varie sentenze di condanna. Molti degli imputati sono stati arrestati nell’ambito di altre inchieste, sia della Procura di Santa Maria sia di altre Procure italiane. Persino uno degli avvocati del collegio difensivo, Fabio Fulgeri, che assisteva Diego Visconti, Agostino De Falco ed altri quattro dipendenti della Bitumitalia spa di Napoli, pur essendo molto soddisfatto dal punto di vista professionale si dice «dispiaciuto» come cittadino