Federalismo al via, test per Tremonti
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Ha promesso di "raddrizzare l'albero storto", ma le incognite sono ancora molte

Quando presentò la relazione preliminare sul federalismo fiscale, Giulio Tremonti si affidò ad una metafora: dare attuazione a quel punto del programma equivale a raddrizzare l’albero storto della finanza pubblica italiana. L’arbusto cui pensa il ministro dell’Economia è quel folle sistema che, dopo trent’anni di sovrapposizioni giuridiche maldestre, permette agli enti locali di spendere 255 miliardi dei 799 del bilancio pubblico senza doverne rispondere di fronte agli elettori. L’immagine dell’albero storto restituisce bene quanto difficile sia l’impresa in cui si è infilato il governo. La legge delega approvata dal Parlamento l’anno scorso prevede una serie di adempimenti da approvare entro maggio 2011. Attraverso un numero variabile di decreti, deve dare attuazione a 18 punti. Se per allora il percorso non sarà finito, a meno che il Parlamento non conceda una proroga, il federalismo fiscale verrà giù come un castello di carte.

Ciascuno dei sette decreti messi in cantiere - per ora altri non ne sono previsti - deve essere approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri, avere il parere dell’associazione dei Comuni e della conferenza delle Regioni, un secondo parere di una commissione bicamerale, quindi tornare al governo per l’ok definitivo. Ad oggi solo il primo decreto, quello che devolve ai sindaci parte del patrimonio immobiliare pubblico, è realtà. Gli altri, a partire da quello sulla fiscalità delle Regioni, sono appesi all’esito di questo o quel parere. Altri due decreti, dedicati all’armonizzazione dei bilanci regionali e a premi e sanzioni per gli amministratori pubblici, sono in bozza. Se tutto andrà secondo i piani, Roberto Calderoli conta di finire il percorso preliminare entro dicembre. Il premier ha promesso il via libera definitivo a tutti i decreti a marzo 2011.

Ce la faranno? Il Partito Democratico, che fin qui ha sostenuto il governo nello sforzo, dice che è in ritardo: «Mancano risposte su 11 punti della delega», lamenta il capogruppo in commissione bicamerale Walter Vitali. Fino a prova contraria, l’esito non dipende solo dal governo. Le Regioni ad esempio stanno discutendo sul decreto che gli affida poteri impositivi e cambia le regole sulla sanità: quelle a Statuto speciale rivendicano il diritto di non vedere applicate gran parte di quelle regole, le Regioni del centro-sud temono un taglio ai trasferimenti. I Comuni, per via delle mancate risposte da parte del governo sui tagli dell’ultima manovra, hanno bloccato il sì al decreto che istituisce l’imposta unica sugli immobili. I pareri previsti dalla delega non sono obbligatori, ma senza di essi l’iter si farebbe ancora più complicato. Va comunque detto che i cinque testi fin qui approvati in via preliminare sono i più importanti, e mettono a fuoco l’orizzonte possibile. Comunque vada, le fondamenta sono poste. Si può dunque tentare di rispondere alla domanda di fondo: se completato, che tipo di federalismo ci aspetta? E soprattutto, è coerente con le promesse fatte in campagna elettorale? Le tasse aumenteranno?

Il programma messo a punto dal Pdl a primavera del 2008 dedicava gli ultimi due punti al federalismo e ad «un piano straordinario di finanza pubblica». Quest’ultimo punto è inattuato: non c’è la promessa cancellazione delle Province inutili, non c’è stata la cessione di quella parte del patrimonio statale che potrebbe aiutare la riduzione del debito pubblico. Sul federalismo si promettono invece «idonee fonti di finanziamento» agli enti locali, «trasparenza nelle decisioni di entrata e di spesa», premio ai «comportamenti virtuosi». Ebbene, molte delle norme dei decreti fin qui approvate danno attuazione, almeno nella loro formulazione scritta, a quella promessa. La contrattazione poco trasparente fra Regioni e fra il governo e le Regioni sulla spesa sanitaria lascia il passo all’applicazione di norme che attribuiscono a ciascuna il gettito Iva riscosso sul territorio, la spesa storia della sanità è superata da un meccanismo che attribuisce al ministero il potere di stabilire i fabbisogni, gli amministratori inadempienti - come quei dirigenti della sanità calabrese che non hanno mai compilato un bilancio - potranno essere sanzionati fino all’interdizione dai pubblici uffici. La domanda la cui risposta resta dubbia è se le tasse non aumenteranno: nella delega è previsto un doppio meccanismo che dovrebbe impedire ogni aggravio, ma resta il fatto che dopo il 2013, e oltre la soglia dei 28mila euro, i redditi più alti potrebbero subire un aumento delle imposte. A meno che, e questa è in fondo la filosofia della riforma, Comuni e Regioni non siano capaci di spendere bene le risorse che il federalismo gli attribuirà.

ALESSANDRO BARBERA

Fonte >
  La Stampa



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