I Conflitti di Interesse di Paulson
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Faceva un po’ impressione vedere la faccia, un po’ inquietante occorre aggiungere, del ministro del tesoro Henry Paulson, quando il parlamento ha “osato”, lunedi scorso, bocciare la sua riforma salva banche da 700 miliardi di dollari. Lui un banchiere d’affari per eccellenza essendo un ex della Goldman Sachs, vera fucina di banchieri, finanzieri ed economisti di mezzo mondo ( anche il nostro buon Draghi viene da lì) non riusciva a farsi una ragione del perchè i deputati, come se fossero loro i responsabili dello sfacelo finanziario, non capissero la gravità della situazione e non si sbrigassero ad approvare un provvedimento che sembrava tagliato su misura per salvare i ricchi pescecani di Wall Street, primi responsabili del tutto.

“E’ incredibile che il Senato degli Stati uniti d’America possa concedere ad una unica persona, molto esperta di Wall Street e banche d’affari, il potere di tirarci fuori da una simile crisi.” Ha commentato piccato nel suo discorso il senatore Jeff Sessions, durante il dibattito parlamentare. E in effetti come dare torto al coriaceo senatore repubblicano. Paulson nato il 28 Marzo del 1946 a Palm Beach, Florida, sposato con due figli, nel 1970, laureato ad Harvard,ha cominciato la sua carriera politica come assistente personale del Segretario della Difesa dal 1970 al 1972 e dopo una breve parentesi come assistente di John Daniel Ehrlichman, il vero ispiratore, secondo alcuni, dello scandalo Watergate.

Dopo questa poco edificante esperienza, Paulson rimase folgorato sulla via di damasco della finanza, e, smessi in tutta fretta i panni del politico, nel 1974 entrò nell’ufficio di Chicago di Goldman Sachs, di cui diventerà partner nel 1982 , per poi ottenere il comando della società nel 1998. Nel 2005 e nel 2006 il suo stipendio è stato di molto superiore ai 20 milioni di dollari all’anno. Il suo patrimonio è stimato in 700 milioni di dollari, la gran parte derivante da una vendita di azioni di 300 milioni di dollari, nel 2006 proprio poco prima di assumere ufficialmente l’incarico, senza dover pagare nemmeno l’imposta, quale futuro membro del governo.

Il 30 Maggio del 2006 infine arriva la nomina a ministro dal tesoro da parte di Bush per succedere al “troppo” pacato forse John Snow. Ecco perché leggendo la sua breve biografia i dubbi sulla sua piena e assoluta imparzialità nel prendere le redini della più grave crisi della storia finanziaria mondiale restano molto alti. Come è un dato di fatto incontrovertibile che Goldman Sachs (inspiegabilmente) è l’unica banca d’affari a Wall Street ad aver patito poco o nulla della crisi subprime. E lasciano piuttosto sconcertati le notizie che giungono da oltreoceano, secondo cui il ministro starebbe pensando a manager dalla sua ex banca d’affari, per gestire gli enormi fondi che presto avrà a disposizione.

Non si fa certo peccato di malizia nel pensare che comunque il piano di Paulson è sicuramente troppo morbido verso i suo ex colleghi banchieri, che praticamente non vengono quasi toccati, tranne una maggiore controllo sui loro ultramilionari compensi. Insomma qualche piccolo conflitto di interesse il signor Paulson sembra averlo e fa specie che ciò avvenga negli Stati Uniti, patria della equità e della assenza di conflitti di interesse, come da sempre orgogliosamente rivendicato dagli stessi americani.

Invece questa crisi sembra aver minato oltre che le fondamenta della finanza anche quelle della democrazia liberista made in Usa, dove solo qualche mese fa sarebbe stato impensabile un intervento statale per salvare le banche, come quelli di Fannie Mae e Freddy Mac. Il sig. Paulson è l’emblema di questo cambio radicale di mentalità se con la sua faccia da tolla può rivendicare, senza essere nemmeno troppo criticato, per se il controllo di un fondo pubblico da 700 miliardi di dollari, per cercare di nascondere gli enormi buchi, provocati dai suoi amici di Wall Street. Si dirà che questa è una situazione di emergenza e come tale va trattato.

E’ vero ma i dubbi sulla vera efficacia del piano del tesoro americano, come per esempio il meccanismo per le valutazioni dei toxic asset trasferiti al tesoro dai bilanci della banche oppure la mancanza di interventi atti a sostenere il consumo o sui tassi dei mutui in sofferenza, restano tutti in piedi. E d’altra parte la stessa reazione dei mercati finanziari americani il giorno dell’approvazione del piano è stata tutt’altro che positiva, segno che i dubbi evidentemente sono presenti anche fra gli stessi investitori americani.

Solo il tempo e le prime mosse su come saranno utilizzati questi fondi potrà dare qualche risposta in questo senso. Sperando anche che, come sembra, sia Obama che Mc Cain, scelgano un ministro dell’economia, che possibilmente non abbia avuto esperienze significative  in grandi banche d’affari, nel dubbio meglio evitare ulteriori pericolose commistioni.

Vincenzo Caccioppoli


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