Ora il mal d’euro attacca la Francia. Occhio, Bersani
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Francois Hollande è in piena depressione. Ha recentemente confidato a Le Monde: «Esercitare il potere, oggi, è molto duro. Non cè più alcuna indulgenza, nessun rispetto... ». Sondaggi a picco, disoccupazione alle stelle, e un governo scelto da Hollande che persino Libération, il giornale della sinistra intelligente, chiama «di dilettanti». Pochissimi mesi dopo la vittoria elettorale che ha portato le sinistre al governo in Francia, questo dovrebbe insegnare qualcosa a Bersani, che vuol portare le sinistre al governo a Roma, e ce la farà non per suoi meriti, ma per volatilizzazione dell’avversario di centro-destra.

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Hollande ha «fatto qualcosa di sinistra», che si sta rimangiando sotto la pressione dei «mercati». Il prelievo fiscale del 75% sui ricchi? Tranquilli, sarà provvisorio. L’abbassamento della età della pensione a 60 anni, quando tutti i Paesi europei la alzano? «Riguarda pochissimi lavoratori». Cosa resta del programma gauchiste? Ah sì, il matrimonio fra omosex, grande argomento per dare l’impressione del cambiamento; eppure anche quello incontra inattese resistenze nella società e persino nei sindaci, che dovrebbero sposare i gay (1).

Il guaio, come ripetono ad Hollande gli aedi del mercato, è la «perdita di competitività» del Paese. La graduatoria stilata dal World Economic Forum (ossia uno dei centri del pensiero unico economico) ha fatto scendere la Francia dal 15mo al 20mo posto (la Germania è al sesto, il Regno Unito all’ottavo). L’export è caduto a picco, anche verso gli altri Stati della zona euro. Il numero delle aziende francesi che esportano è calato del 15%. Per conseguenza, il deficit commerciale è salito a 70 miliardi (la Germania ha un attivo di 150). Settecentomila posti di lavoro nella manifattura sono scomparsi nel decennio passato.

I «fondamentali» della Francia si degradano. La Standard & Poor’s ha declassato le grandi banche francese, fra cui BNP Paribas, in vista di «una correzione del mercato immobiliare», lo scoppio di una bolla cioè.

Siccome la spesa pubblica francese è del 56% del prodotto interno lordo – il Paese è dunque troppo «socialista» – , e il debito pubblico sta salendo al 90%, tutti dicono ad Hollande: taglia la spesa pubblica. Chi glielo sta dicendo? La Merkel, l’OCSE, la Commissione Europea, la BCE, il FMI e – fatto più doloroso – un «amico» socialista: Gerard Schroeder, che da cancelliere «di sinistra» ha ridotto i salari tedeschi con un accordo storico coi sindacati. Fai come me, ha detto ad Hollande. (Les bons conseils de Schröder à Hollande)

Anzi, Schroeder ha detto di peggio. In un convegno il 29 ottobre scorso, a Berlino, ha detto: «, il problema più grande sta in Spagna e Italia, ma anchelo dico con discrezionein Francia. Questo potrebbe diventare un problema non minore».

Questa valutazione a Berlino mette i brividi, e non solo ad Hollande. Perché la Francia è, o si crede, il secondo «pilastro dell’Europa» a fianco del potente pilastro tedesco. Ossia il governo che dovrà contribuire di più, dopo i tedeschi, ai vari fondi di salvataggio che la UE e la BCE se Spagna e Italia collassano negli stessi guai in cui si è inabissata la Grecia, coi «mercati» che non fanno più credito. Sono centinaia di miliardi di euro.

Ora, Berlino dubita del pilastro parigino. Ad alta voce, e i «mercati» se ne sono accorti. È la fine della «relazione speciale» franco-tedesca che risale a De Gaulle ed Adenauer, la spallata che rischia di emarginare la Francia tra i mediterranei cicale del Sud? Non ancora, ma è già un colpo. Forse è la reazione della Merkel ai tentativi di Hollande di storcerle il braccio, obbligandola a pagare il conto della «Europa più solidale» di qualche settimana fa. Certo è che la relazione speciale è molto scossa, e la Germania non fa più finta che la Francia sia sua pari. E s’è tolta i guanti di velluto.

La EADS, il colossale conglomerato aeronautico franco-tedesco, stava per fondersi con la British Aerspace: ne sarebbe nato un titano pari alla Boeing. Ma la Merkel ha posto il veto, perché le fabbriche tedesche del conglomerato EADS non avevano niente da guadagnarci. Una umiliazione che ha colpito Hollande in piena faccia.

Hollande ha chiesto a Louis Gallois (l’ex capo di EADS) un progetto per ridare alla Francia la mitica «competitività perduta» e calmare i mercati. Ancor prima che il rapporto Gallois diventasse pubblico, Hollande ha fatto sapere che non applicherà la sua raccomandazione principale: un taglio di 30 miliardi di euro ai costi sociale sui salari (l’altra raccomandazione è un taglio di 50 miliardi sulla spesa pubblica, con snellimento degli statali). Ciò che ha permesso al Financial Times di titolare: «France, reluctant to reform» – tanto per dare un’altra allerta ai «mercati» che devono comprare il debito pubblico francese. (France: Reluctant to reform)

I quali mercati, dopo essere stati calmati dagli annunci di Draghi («la BCE farà di tutto per salvare l’euro», la promessa di comprare i titoli pubblici di Spagna e Italia senza limiti precostituiti), stanno di nuovo dando segni di inquietudine. Molti speculatori sono stati di nuovo attratti nel mercato dei debiti europei, rassicurati dal fatto che, alla fine, la BCE gli avrebbe ricomprato i titoli. Altri, i fondi hedge specialmente, che puntavano sul ribasso (facendo «short» sui titoli europei) hanno dovuto coprirsi e farsi «long» a credito, con perdite sanguinose. Ora, il gioco s’è fatto più rischioso. E i mercati si chiedono se, in fondo, Draghi il bazooka ce l’ha davvero. E – terribile a dirsi – se Draghi ha abbastanza mezzi per intervenire se la speculazione dubita della tenuta della Francia.

Sì, Spagna e Italia sono riuscite ancora una volta a gabellare 420 miliardi di titoli del debito, hanno trovato compratori. Ma ora lo spread dei bonos spagnoli a dieci anni è salito di 22 punti-base, quello italiano di 13, quello portoghese di 47.

Ed anche lo spread della Francia, su quello tedesco, si è divaricato di 10 punti. Orrore, orrore. La Francia è vulnerabile.

E qui Bersani farà bene a imparare la lezione. Ha già dichiarato che, quando (per scomparsa dell’avversario) vincerà le elezioni, instaurerà un governo «di sinistra» ma «sulla traccia segnata da Monti». Hollande dovrebbe insegnargli quello che avviene ad un governo «di sinistra» ma ossequioso all’euro, alla BCE, a Berlino e alla Commissione Europea, al globalismo e al pensiero unico economico.

Perché la diagnosi del pensiero unico è vera solo a metà: sì, la Francia non è abbastanza competitiva. Oggi, il costo del lavoro francese è di 34,2 euro l’ora. Ma ha davvero senso ridurlo ai 30,1 euro orari della Germania, quando in Europa è stata lasciata di fatto entrare la Polonia dove il costo del lavoro è 7,1 euro, e presto la Bulgaria dove il lavoro costa 3,5 euro? E dove le imprese tedesche delocalizzano alla grande? È «questa «Europa dei burocrati dementi e dell’egemonia tedesca che un governo di sinistra dovrebbe mettere sotto accusa, invece di ossequiarla».

Sì, è vero, i «fondamentali» della Francia sono in degrado da dieci anni. Ma qual è la causa? L’Euro «tedesco», troppo forte, che la rende meno competitiva.

Lo dimostra il deficit commerciale francese: oggi è a 70 miliardi, come abbiamo detto. Ma cinque anni fa, era la metà. E dieci anni fa – al momento dellentrata nelleuro – era in pareggio. Ossia la Francia esportava quanto importava.

È evidente che l’Euro è tubercolosi che usura e indebolisce l’economia francese. Quel che accade, è ciò che era prevedibile a qualunque osservatore economico che non fosse ipnotizzato dal pensiero unico globalista, né adoratore dell’eurocrazia: è la malattia dell’Euro che si trasmette dai «deboli» ai forti. Prima la Grecia. Poi la Spagna. Poi l’Italia. E, inevitabilmente, tocca alla Francia.

Il motivo del contagio? È lo stesso «vantaggio» presunto dell’Euro, che è anche l’unico fino ad ora: la possibilità per Stati e privati di indebitarsi a tassi bassissimi, ossia «tedeschi». Se avessero avuto ancora la loro moneta, il credito rincarante li avrebbe avvertititi, Stati e cittadini dei Paesi deboli, a non esagerare. Invece con l’euro è venuta la facilità eccessiva di credito, che ha mancato di mandare i segnali giusti a Stati e privati, che si sono indebitati troppo e allegramente, convinti che la pacchia sarebbe stata eterna. È il caso di ricordare che, solo tre anni fa, i mercati prestavano alla Grecia al 2% per il titolo a due anni. A maggio 2010, i «mercati» chiedevano alla Grecia il 18%; ad oggi, la Grecia è disperata, e dopo aver bruciato 200 miliardi di «salvataggi», ne ha bisogno di un terzo. Una volta che i «mercati» si sono accorti che l’Europa (la Germania) non avrebbe aiutato la Grecia di fatto avallandone il debito, hanno chiesto sempre di più per comprare il debito degli altri Paesi che giudicavano fragili: Portogallo e Irlanda, la Spagna con la sua bolla immobiliare, l’indebitatissima Italia...

E adesso, guardano alla Francia e ai suoi «fondamentali» in degrado. In fondo, questo effetto contagio s’era già visto negli Stati Uniti: le bancarotte dei debitori «subprime» (a cui le banche avevano fatto mutui impagabili, per poi rifilarli ad ignari investitori sotto forma di «obbligazioni collateralizzate») si sono presto estese ai debitori «prime», solvibili – rendendoli insolventi. E gli interventi delle Banche Centrali premute dai loro banchieri, hanno fatto peggio. L’audace piano Draghi (o bluff Draghi), compresi i mille miliardi prestati alle banche, non si sono trasferiti nell’economia reale. Anzi, essa ha in fondo accelerato la dinamica del contagio dalla «periferia» al «nucleo».

È così che succede, inevitabilmente, quando la politica non mette regole e freni alla finanza, quando per di più – come in Europa – i politici hanno accettato di cedere la sovranità sulla loro moneta, la capacità di svalutarla – e di stamparne tanta da coprire i loro titoli di debito, se occorre. Il risultato è che oggi viviamo in un mondo sovra-indebitato, che lo diventa ogni giorno di più: sempre più mendicanti-Stati stendono il cappello al «mercato», chiedendo la carità di un prestito. E oggi, però, i mercati assistono agghiacciati ad una rapida crescita del «debito non produttivo»: una cosa è chiedere soldi a prestito per comprare (un’azienda) nuovi macchinari in vista di alti profitti, o per gli Stati per rilanciare l’economia e la ricchezza prodotta; un’altra è chiederli a prestito esclusivamente per pagare interessi sui debiti già contratti. Questa del «debito improduttivo» in crescita in Europa è una fase pericolosissima per tutto il sistema globale. Fino a scuotere l’indebolito «pilastro europeo» di Parigi.

Che cosa ci si aspettava da Hollande in questa situazione? Da un governo «di sinistra» vocalmente poco amico dei capitalisti? Come minimo, la messa in discussione dell’Euro troppo forte, egemonizzato dalla Germania; lo svincolamento dai lacci e freni con l’eurocrazia e la BCE stanno impedendo ai popoli di divincolarsi dal destino di austerità perenne, iper-tassazione eterna, disoccupazione strutturale e declino permanente in cui li hanno cacciati – con l’avallo dei nostri governanti. Come massimo, la Francia potrebbe uscire dall’euro – acquistando di colpo la «competitività» perduta. Un nuovo franco svalutato del 10% sull’euro già basterebbe ad evitare di tagliare i salari per imitare la Germania, e a riassorbire parte dei disoccupati. (Pour redevenir compétitif, sortons de l'euro)

Dopotutto, la Francia ha ancora molti punti di forza. Una industria turistica che è la più grande d’Europa, e che la moneta svalutata rilancerebbe. Costi energetici bassi, grazie alle sue centrali atomiche (non dovrebbe comprare petrolio con moneta svalutata). Ha alcune grandi imprese globali. Ha eccezionali infrastrutture (fra l’altro, migliaia di chilometri di TGV). Una burocrazia preparata, onesta e dedicata alla patria (lo «Stato amministrativo» è ben governante), e ben poco pletorica. È fra i primi dieci Paesi preferiti dagli investitori per farvi investimenti diretti dall’estero, surclassando in questo persino la Germania. Tutte le cose, fra parentesi, che mancano all’Italia e mancheranno a Bersani, come sono già mancate a Berlusconi.

Hollande che ha fatto invece? Qualcosa di sinistra, ma sbagliata: tassare i ricchi li ha fatti fuggire a fare i contribuenti in Belgio e Londra, calare l’età pensionabile è insostenibile, e le nozze gay, lasciamo perdere. E lasciarsi dare lezioni dai tedeschi. Ma attenzione: Hollande ha davanti cinque anni di tempo per attuare e cambiare politiche. Il presidente francese, una volta all’Eliseo, è inamovibile. Come ha detto Emmanuel Todd, «fra cinque anni, Hollande sarà un nano o un gigante».

Bersani, una volta portate le «sinistre» (cosiddette) al governo, non avrà tutto quel tempo davanti. E cosa pensate che farà? Se Hollande che è un «enarque» non ha sfidato il pensiero unico e la dogmatica europeista, figurarsi se lo farà il figlio del benzinaio di Bettola. Detto fra noi: avete mai sentito parlare del programma di Bersani, se va al governo? Bersani fa lo sguardo obliquo che gli conosciamo: un programma vero, non ce l’ha. Al massimo, una «carta di intenti». (Carta intenti PD)

Piena di slogan, tipo: «contrastare la precarietà rovesciando le scelte della destra», «politiche fiscali a sostegno dell’occupazione femminile» (quali?), e «sanità, istruzione, sicurezza e ambiente sono campi dove non ci dev’essere il povero né il ricco». Insomma la solita fraseologia delle buone intenzioni stataliste.

Una sola cosa è certa nel non-programma di Bersani: «Un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e l’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari»: insomma, traduco, una patrimoniale da far scricchiolare i denti. E siccome i «grandi patrimoni» sono già da tempo fuggiti in Liechtenstein, Lussemburgo o Costa Azzurra, o nelle banche tedesche, la patrimoniale sarà sulle case borghesi e sui conti correnti. Ma nessun taglio alle caste grasse e inadempienti (votano a sinistra); la patrimoniale è la sola, unica idea del PD. Per il resto, «seguire la traccia indicata da Monti», ossia più forti dosi della cura che ha aggravato la malattia, per salvare l’Euro.

E cos’altro? Ah sì, le nozze gay. Ma teniamoci incollati all’euro, mi raccomando; ed ossequiamo Draghi, Monti, Van Rompuy, la Cancelliera: siamo «moderati», noi ex-comunisti. Ex? Mai stati comunisti, noi. Siamo grigiocrati. Siamo ragionevoli. Vogliamo piacere ai mercati, mica sfidarli.

Poi, pochi mesi dopo la vittoria, Bersani sarà di umore depresso come Hollande. Crollerà nei sondaggi e l’economia andrà sempre più a fondo. Vendola lo terrà appeso ad un filo. «Eh, non c’è più indulgenza per chi governa, non più rispetto».



1
) Persino la classe degli intellettuali avanzati e laici non ne può più: «Ma perché gli omosessuali tengono tanto al matrimonio, in una società dove il matrimonio è a tal punto in calo?» (Elie Ariès). «Perché tutti i giorni c’è sui giornali un articolo su questo tema?» (Gerard Desnos). «Si sono misurate le conseguenze? Io penso di no« (Bastienou Carcajou) (Le mariage gay, entre overdose médiatique et problème de société).


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