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Il katekhon tolto di mezzo
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Caso primo: Sharia a Londra.
Tutti contro l’arcivescovo di Canterbury, il primate anglicano, dottor Rowan Williams.
Ha detto: E’ «inevitabile» che elementi di sharia (diritto islamico) vengano introdotti nel sistema giuridico inglese.
Contro di lui anche il cardinale (cattolico) Murphy O’Connor: il multiculturalismo «distrugge i valori dell’Occidente», ha detto fra l’altro (1).
Ma «i valori dell’Occidente» - attualmente - riconoscono un diritto matrimoniale per gay e lesbiche. Una legge specifica a favore di quello speciale gruppo sociale, l’estensione del diritto di famiglie a coppie dello stesso sesso.

Con quale coerenza si nega ai musulmani inglesi il diritto matrimoniale islamico, per esempio alla poligamia consentita dalla Sharia?
Quando i più balzani gruppi umani rivendicano una loro «identità» ed ottengono diritti speciali per sé, come «valore» per il riconoscimento della loro «diversità», si può poi negare solo agli islamici di obbedire alla propria legge coranica?
Non è quella una ben forte identità, più forte ed antica e meno arbitraria della inversione sessuale?
Se si riconosce il diritto dei trans al «cambiamento di sesso» chirurgico gratuito a carico del sistema sanitario pubblico, ossia un’orribile amputazione del pene e plastica pseudo-vaginale, come si fa poi a vietare l’escissione del clitoride alle bambine musulmane africane?

Ma i nostri «valori occidentali» hanno già fatto la distinzione: tutti consentono la mutilazione del pene su richiesta del trans (a spese pubbliche), e l’aborto legale gratuito, mentre tutti vietano l’escissione delle bambine.
Il «valore» che consente questa lesione del principio più fondamentale del diritto - la legge è uguale per tutti - è il politicamente corretto.
La transessualità è socialmente approvata e «progressista», l’islamismo tribale è disapprovato e «oscurantista».
A decidere quindi che l’una mutilazione va tutelata per legge e l’altra criminalizzata, dunque, è lo stato psico-culturale dominante.

Questo Stato culturale, che si dice «aperto», esercita in realtà l’intolleranza legale nella sua forma più bieca: due pesi e due misure, una per un gruppo favorito dalla mentalità dominante, un’altra «contro» un gruppo considerato estraneo.
Attenzione: perché il clima dominante può cambiare e rovesciarsi, e allora lo stesso schema – d’intolleranza legalizzata - può colpire gruppi imprevedibili, divenuti antipatici o odiosi alla maggioranza.

Leggi speciali a favore degli ebrei (come oggi sono vigenti), possono diventare leggi speciali «contro» gli ebrei, appena cambia l’aria.
Gli attuali «valori» non sono diversi da quelli di cui fu accusato il nazismo: lo schema giuridico è lo stesso.
Un nuovo regime al potere non dovrebbe cambiare lo schema, gli basterebbe cambiarne i destinatari.

San Paolo disse che l’Uomo d’Iniquità sarebbe apparso non prima che «ciò che lo trattiene sia tolto di mezzo».
Ciò che trattiene (katekhon) è il diritto romano.
Il diritto romano, il diritto naturale, non riconosce omosessuali né etero, non musulmani né cristiani; riconosce solo cittadini, con gli stessi diritti e doveri.
Esso è cieco alle razze, e non tutela l’identità sessuale: né giudeo né greco, né maschio né femmina.
Il diritto è anzitutto logica formale, con la sua ferrea coerenza; chi viola la logica per «favorire» un gruppo specifico, una vera o presunta «identità», nello stesso momento apre la strada a leggi «contro» altre identità sfavorite.
L’arbitrio è sempre arbitrio, quando è «buonista» come quando è cattivista.

Secondo: Statistiche capitaliste false.
La Cina, già grande esportatrice di mais, ha preso misure per limitarne l’esportazione all’estero.
L’Ucraina e la Russia fanno lo stesso coi cereali.
L’Argentina, lo stesso.
Impongono quote massime di esportazione, oppure tassazioni punitive a chi esporta granaglie.
Questo per riservare gli alimentari di base al mercato interno, onde scongiurare tumulti sociali per il pane o per il riso.
Di fatto, questi Paesi applicano un dazione  a rovescio - contro le merci in uscita - in duro contrasto con i dogmi del liberismo globale che il WTO, Organizzazione Mondiale del Commercio, cerca di imporre proprio in queste settimane, premendo per un libero mercato globale dei prodotti agricoli.
Il motivo?

I grani scarseggiano sul mercato mondiale.
Colpa della domanda crescente e dell’offerta stagnante.
I cereali non si producono alla catena di montaggio, per rapidamente accrescere l’offerta, l’agricoltura ha i suoi lunghi tempi naturali.
E nel giro di una generazione, i cinesi hanno aumentato il consumo di carne da 20 a 50 chili a testa; il che ha un effetto sulla domanda di cereali da foraggio, i quali concorrono nell’estensione dei campi con la parte assegnata ai cereali per consumo umano diretto.
Dato che altri Paesi emergenti e popolatissimi stanno ugualmente cambiando abitudini alimentari mentre diventano più prosperi (India e Brasile), la domanda resterà per molti anni superiore all’offerta.

Si aggiunga che ci sono stati raccolti mediocri in Ucraina e in Australia.
E le riserve mondiali sono le più basse degli ultimi 30 anni.
L’Europa, che ancora poco fa affondava nei surplus agro-alimentari, dovrà importare quest’anno 15 milioni di tonnellate di granaglie.
Aggrava la crisi il prezzo dei trasporti marittimi, effetto del rincaro del petrolio e dei noli (bastimenti sovra-occupati a distribuire merci globali): il trasporto pesa sui cereali, merce povera, per un terzo del valore.

Come non bastasse, il rincaro del greggio rende più attraenti i bio-carburanti, e dunque la tentazione degli agricoltori di sottrarre ettari al cibo per aumentare ettari alle oleaginose da diesel.
«In certi Paesi africani, l’olio di palma è agganciato direttamente ai prezzi del greggio», dice Josette Sheeran, direttrice del PAM, il Programma Alimentare Mondiale, che nutriva 90 milioni di poverissimi (un decimo di quelli che soffrono la fame nel mondo), ed oggi deve ridurre del 40% il numero dei suoi assistiti.
Risultato: in un anno, secondo la FAO, i prezzi agricoli internazionali sono aumentati del 36%.

L’effetto del mercato libero globale sarà dunque lo stesso che decretò il fallimento del socialismo reale, del collettivismo forzato: penuria, fame. (2)
Cina, Russia, Argentina e Ucraina cominciano ad applicare il protezionismo alimentare.
Il loro interesse nazionale viene prima del dogma liberista.
L’Occidente ha trovato un'altra soluzione.

L’Istat ha appena buttato fuori del paniere dei prezzi l’hamburger, e ci ha messo il navigatore satellitare.
Questo oggetto che costava tre anni fa anche 3,5 mila euro, ed oggi ne costa 160.
In tal modo, il rincaro del costo della vita risulta del solo 3%.
Ah, potessimo pranzare a satellitari!
Invece mangiamo hamburger.

In USA hanno fatto ancor meglio: dal 2000, le statistiche ufficiali misurano solo la «core inflation», «l’inflazione-nucleo».
La «core inflation» si calcola escludendo dal paniere i prezzi dei carburanti e degli alimentari.
E’ una bellissima trovata.
Solo è da ricordare che la falsificazione delle statistiche ufficiali era una caratteristica dei regimi socialisti totalitari, e ne determinò la fine: il regime finiva per credere alle sue menzogne, e non si accorse che la sua economia calava e degradava.
E’ istruttivo che il capitalismo globale, nella sua fase terminale, somigli sempre più al totalitarismo della menzogna con la stella rossa.
E’ un altro mattone del katekhon che viene tolto di mezzo.

Terzo: Giappone sub-prime.
La Borsa crolla a Tokio.
L’indice Nikkei è sceso del 17% da Natale, e a guidare il crollo sono le grandi banche.
Il sospetto che crea il panico nella finanza globale è che le banche nipponiche abbiano nella pancia molte obbligazioni «garantite» da debitori sub-prime, ossia insolventi.
Molte più di quante ne abbia la stessa America, che ha creato e confezionato questi titoli venefici.
Perché?

Ma è ovvio: perché i giapponesi, i migliori risparmiatori del mondo, da anni cercano di investire i loro risparmi in titoli di alto rendimento sul mercato globale.
Inoltre, il Giappone resta il più grande detentore di riserve mondiali (3 mila miliardi di dollari, più della Cina), frutti della sua laboriosa capacità di esportazione.
E dove ha messo il Giappone, le famiglie, le imprese, le banche, questo titanico monte di risparmi? Nei sub-prime, che promettevano così buoni rendimenti.
E’ questo il sospetto, che un secondo e più colossale crack finanziario stia per annunciarsi in Giappone.

Le banche americane e quelle europee hanno finora confessato di aver perso nel buco del cesso
subprime un 130 miliardi di dollari.
Le banche giapponesi hanno confessato solo 4 miliardi finiti nello stesso buco.
Ma le perdite reali nel cesso sub-prime si valutano sui 400-500 miliardi di dollari.
Chi è che sta seduto sul cesso nascondendo col didietro le perdite non confessate?
Tutti guardano al didietro nipponico.
A marzo, fine dell’anno fiscale giapponese, le titaniche banche dovranno probabilmente confessare la verità.
Il sospetto è fondato.
I giapponesi che lavorano in Europa hanno divorato titoli di debito sub-prime americano più degli europei, per garantirsi buoni frutti sui loro risparmi.
Il buco della UBS, union Banques Suisses, deriva in gran parte da questi espatriati giapponesi, clienti UBS (3).

Tutte le note virtù che hanno fatto del Giappone la seconda economia mondiale - il risparmio da formiche, la laboriosità che fa merci ottime, desiderate dal mercato mondo, la leale fiducia negli Usa - si ritorcono contro il cuore della nazione.
La recessione sta instaurandosi rapidamente: gli ordinativi per macchine utensili giapponesi sono calati del 2,8% a novembre e di un altro 3,2% a dicembre.
L’attività edilizia è calata del 18%, il livello più basso da quarant’anni.
I prezzi immobiliari sono a meno 22%.
E la Banca Centrale non ha molto mezzi per contrastare la crisi.

Per oltre un decennio ha prestato a tasso negativo, per contrastare la deflazione nipponica.
Ora, cautamente, ha aumentato il tasso primario allo 0,5%.
Si ritiene che dovrà tornare alle pratiche di prima: tasso zero (negativo in termini reali) e iniezioni di liquidità («facilitazioni quantitative», nel gergo).
Ciò alimenterà di nuovo il «carry trade», la corsa ad indebitarsi a pochissimo a Tokio per gettare
i soldi in Paesi ad alto tasso d’interesse.
La pompa di denaro che ha provocato la bolla finanziaria globale, da cui nasce tutto.

E’ molto istruttivo vedere come capitalismo terminale abbia trasformato in vizi e veleni le virtù umane più naturali - risparmiare, fidarsi, lavorare sodo e bene.
E’ un altro mattone del katekhon che è scomparso.


1) Alex Singleton, «Another reason for Dr. Williams to go», Telegraph, 10 febbraio 2008. Come si vede, la tolleranza vigente esige le dimissioni del Dr. Williams, ossia del primate anglicano.
2) Frédéric Lemaire, "Une crise alimentaire majeure se profile", Le Monde, 8 febbraio 2008.
3) Ambrose Evans-Pritchard  «The next shoe has dropped with an almighty thud in Japan», Telegraph, 10 febbraio 2008.