Videogioco inferno
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«Il 2010 si è aperto allinsegna del genere action, con due produzioni relativamente piccole, ma dallo spessore video ludico notevolissimo. Se Bayonetta ha ristabilito la supremazia del Giappone in questa particolare tipologia di videogiochi, elevando allennesima potenza il sottogenere inventato da Devil May Cry’, ‘Darksiders ci ha regalato una propria e personale interpretazione dellaction game, mescolando elementi già visti in titoli diversi tra loro, uniti sotto la penna del grande fumettista Joe Madureira. Ad un mese di distanza, il colosso americano EA ci presenta il suo candidato, una inedita rivisitazione niente meno che della Divina Commedia: Dantes Inferno.

A scuola ci avevano raccontato un
altra storia... Sappiamo già tutti benissimo che dellopera del sommo poeta, nel titolo di Visceral Games ritroveremo ben poco, ma linterpretazione tutta americana risulterà decisamente più accessibile delloriginale e adatta ad essere fruita premendo come forsennati i pulsanti del pad. Il Dante che interpreterete è un fanatico religioso prestatosi al volere della Chiesa per divenire un crociato e che durante il proprio peregrinare rimane vittima di uno degli infedeli. Allappuntamento con la morte, però, il nostro eroe si presenta più tenace del previsto e dopo un breve combattimento riuscirà ad avere la meglio sulla nera incappucciata, alla quale ruberà la falce, arma che lo accompagnerà dora in avanti per il resto del gioco. Sconfitta la morte e convinto di essere ormai pronto a tornare a casa e trascorrere in pace il resto della propria esistenza, in una scena che ricorda molto da vicino Il Gladiatore di Ridley Scott, Dante trova la propria dimora violata così come lamata Beatrice.

L
anima della consorte lo sconvolgerà accusandolo di aver tradito il patto che li univa, ma non farà in tempo a dare spiegazioni che Lucifero si presenterà e la porterà via con sé. Il percorso che vi attenderà sarà quindi una discesa negli inferi e nelle memorie del crociato, il cui passato scopriremo essere non proprio quello di un santo, nel disperato tentativo di salvare la propria amata. Il plot appare volutamente esagerato, sia negli eventi che nello stile narrativo e viene raccontato tramite scene di intermezzo a volte realizzate col motore di gioco, altre in computer grafica, mentre i flashback vi verranno proposti sotto forma di cartone animato. Il risultato non è eclatante, ma comunque godibile e, in certi frangenti, anche capace di stupire adempiendo allo scopo di spingervi ad andare avanti per scoprire ogni retroscena della storia damore tra Dante, Beatrice ed il terzo incomodo, Lucifero» (1).

Una delle note caratteristiche dell’insegnamento cattolico è quello della verità dell’inferno.

Dopo la morte esiste un giudizio personale che riguarda la singola persona e che verrà poi confermato nel Giudizio Universale, dove al premio (per grazia) o alla condanna meritata dall’anima, si aggiungerà il corpo risorto, il quale, a sua volta, godrà delle delizie della beatitudine ovvero dei supplizi della dannazione (alla pena del danno, perdere Dio per sempre!, si aggiunge anche la pena del fuoco, tormento fisico-spirituale del proprio essere). Il Giudizio Universale segna la fine dei tempi come noi li conosciamo; è il momento in cui diviene palese la presenza di Dio, il suo intervento nella storia e nella creazione; dove ogni sospiro segreto del cuore diverrà di dominio pubblico.

L’uomo è giudicato sulla base di quel che è: il giudizio infatti verte sulle opere, ma esse non sono mai prive di effetti sull’essere della persona. Una persona «è» quel che fa e diviene certamente secondo le sue opzioni deliberative in pensieri, parole, opere ed omissioni. Per questo l’inferno è certamente un «luogo spirituale», un luogo che abbia di certo una sua connotazione fisica (vi dimoreranno i corpi), ma secondo le leggi dello spirito e non quelle della materia, che conosciamo. L’inferno è già presente nel cuore di chi, in vita, rifiuta Dio e si lascia partecipare dal peccatore, contaminandolo «dal di dentro».

L’idea di un Giudizio definitivo suppone l’esistenza di un Giudice infallibile. Il cristianesimo sa che Dio è e sarà giusto giudice di ognuno. La giustizia divina è elemento fondamentale per assicurare una giusta retribuzione per il male commesso. La pena ha la funzione di «rendere a Dio quel che è di Dio»; nulla di non dovuto viene richiesto, ma soltanto quanto per giustizia si debba dare al proprio Creatore, Signore e Salvatore. La redenzione rifiutata, la libera scelta di essere contro Dio, cioè di dannarsi, comporta una predilezione radicale per il male: l’uomo, come l’angelo, si danna perché preferisce le tenebre alla luce e se ne fa parte.

La dannazione è un avvenimento serissimo ed ahimè dimenticato! L’uomo può perdere Dio per sempre! Perdere quindi la sua stessa ragion d’essere, il fine ultimo, il senso profondo della propria esistenza. Può dimenticare se stesso in un oblio di dolore e sofferenza indicibili, che non hanno termine, fino alla consunzione dell’essere alla sola sopravvivenza disperata.

Ai buonisti che neghino le proporzioni di un tale esito, in vista della misericordia infinita di Dio, si deve rispondere che la misura della pena è proporzionata alla misura dell’offesa. Non che Dio si lasci offendere da chicchessia (non in senso umano, si intende), ma certamente si lascia rifiutare (umanamente parlando si lascia beffare e schernire, senza che ciò sia possibile, visto che neppure mille inferni potrebbero turbarne l’imperturbabilità e cambiarne l’Essenza). La gravità dell’offesa è quindi infinita, perché è affronto all’Infinito. Nelle credenze diverse dal cristianesimo esiste una consapevolezza del mondo degli inferi. La paura della morte da una parte, ma anche l’esigenza di giustizia, dall’altra, sono forse i meccanismi inconsci che aiutano alla comprensione di questa realtà.

Il concetto della giusta retribuzione dell’anima, dopo la morte, è antico quanto l’umanità e diffuso in ogni dove; questo non può significare semplicemente sovrastruttura culturale, ma deve necessariamente coincidere con una base ontologica veritiera. Sappiamo questa verità dalla Rivelazione, ma la possiamo arguire anche dalla sua generalizzato e comune diffondersi nelle diverse culture del pianeta. Precisiamo tuttavia che, come sempre accade, soltanto la visione della Chiesa è una visione completa e totalizzante; le altre sono soltanto parziali intuizioni del vero, meri ricordi di ombre erranti nei sogni narrati da altri.

Nove sono i mondi della mitologia nordica:

Il primo dei nove mondi è Miðgarðr, il «recinto di mezzo», posto al centro dell’universo; vi dimorano i figli degli uomini.

Il secondo mondo è Ásaheimr, da dove provengono gli Æsir. Vi si trova la città di Ásgarðr, con i suoi templi e palazzi. Il suo re è Óðinn. Si crede sia posto nel cielo, anche se alcuni storici dicono si trovasse da qualche parte a oriente, in Asia.

Il terzo mondo è Vanaheimr, la terra dei Vanir. Anche se non si hanno dati precisi, pare si trovi ad occidente di Ásaheimr.

Il quarto mondo è Jötunheimr: è il regno dei giganti (jötnar). Viene posto a oriente, talora a settentrione, comunque agli estremi confini del mondo, in Útgarðr.

Il quinto mondo è Álfheimr. Vi dimorano gli elfi chiari (ljósálfar). Pare si trovi non lontano dall’Ásaheimr.

Il sesto mondo è lo Svartálfaheimr, che si trova nel sottosuolo. Vi dimorano i nani (dvergar) e gli elfi scuri (døkkálfar).

Il settimo mondo è il gelido e nebbioso Niflheimr localizzato nel settentrione, anche se a volte pare venga situato negli abissi. E’ uno dei mondi più antichi e faceva parte, in origine, del Ginnungagap.

L’ottavo mondo è l’ardente Múspellsheimr, che pure agli inizi faceva parte del Ginnungagap.

Questa regione brucia e arde, ed è insopportabile agli stranieri che non hanno avuto colà la loro origine. Vi dimorano i giganti di fuoco e il guardiano che siede ai suoi confini ha nome Surtr.

Il nono e ultimo mondo è il regno di Hel. Si trova nella zona più profonda e buia dell’universo, caratterizzata da gelo, pioggia, umidità e nebbia. Vi vanno a stare le anime di coloro che non muoiono in battaglia.

Sotto, si trova Niflhel, l’«inferno nebbioso»; le anime dei malvagi, dopo essere transitate da Hel, sembra si dirigano in quel luogo.

Noterei l’insistenza sul mondo dei morti, come «mondo freddo», nebbioso. Il freddo della raffigurazione norrena potrebbe ricordare il lago di ghiaccio in cui è intrappolato Lucifero:

Lo mperador del doloroso regno
da mezzo
l petto uscìa fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno

Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo
; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello
; 

quindi Cocito tutto saggelava.
Con sei occhi piangea
, e per tre menti
gocciava
l pianto e sanguinosa bava.

(Inferno 30; 51-54)

L’intuizione della mitologia nordica non deve far pensare soltanto ad un elemento di sovrastruttura culturale determinato dall’imminente pericolo quotidiano della morsa del gelo, che proietta le sue inquietudini sulle credenze ultraterrene, ma deve essere letto anche come metafora del gelo, il peccato, che imprigiona l’essere umano. L’uomo peccatore è «cattivo», cioè prigioniero del male che commette. Come spiega Gesù: chi commette il peccato, è schiavo del peccato. Questo è uno dei motivi per cui dall’inferno non si esce.

Nella mitologia greco/latina, il regno dell’Ade è forse a noi più noto. Un regno oscuro di ombre, dove i morti soggiornano. Lo scenario non è ottimista. Assomiglia molto a quello dello sheol ebraico.

Il giudaismo attuale, avendo con il rifiuto di Cristo perso ogni riferimento spirituale alla propria fede, precipita alternativamente nel bieco materialismo talmudico, dal quale non è possibile sapere nulla della vita oltre la morte, ovvero nell’esoterismo cabalista, che, neanche a dirlo, accetta la reincarnazione.

Le visione esoteriche sono quelle che più disprezzano l’idea dell’inferno come dannazione eterna.

Comunque nella visione latina (o greca), come in quella ebraica, esiste una divinità preposta al regno dei trapassati: Ade o Moloch (l’adorazione del cui idolo altro non è che culto satanico).

Stessa cosa nelle culture mediorientali: negli antichi culti Assiro-Babilonesi, si parla della dea Tiamtu, serpente mostruoso, generatrice del male e del caos. Nello Zoroastrismo, i condannati all’abisso devono subire i tormenti inflitti da Ahriman, malefico dio della menzogna.

Il Libro dei Morti dell’antico Egitto, ci narra tutta la procedura della «pesatura dell’anima» (psicostasia); ivi ritroviamo Seth, divinità mostruosa, ma ambivalente. L’ambivalenxza consiste nel fatto che, pur essendo il dio distruttore e della morte, ha il ruolo di protettore di Ra (il sole), consentendone la rinascita (in difesa del serpente primordiale Apep), quindi l’alba del nuovo giorno.

Tale ambiguità è sicuramente da leggersi nell’ottica della sottile matrice monista, che pervade tutte le credenze orientali, in particolare. In tal senso, non desta sorpresa scorgere nel mondo infero delle credenze indù, come in quelle taoiste e buddiste - pur nella colorazione di immagini forti e cruente di «diversi inferni» (non molto dissimili da quelle medievali dell’Occidente) e comunque tutti debitamente presidiati da divinità preposte alla punizione dell’essere umano - un insistere sul concetto di impermanenza: l’inferno è soltanto un momento, uno stadio del «»; una purificazione karmica attraverso la quale passa l’«io» umano illusorio ed «inconsistente», destinato ad essere superato nel percorso della ruota dell’esistente attraverso nuove vite.

Al punto, che arriviamo addirittura ad una totale negazione dell’inferno come «luogo spirituale», per precipitare in un materialismo psicoanalitico/spiritualista, essenza del buddismo attuale.

L’inferno è uno stato psicologico/spirituale dell’anima, che passa indifferentemente da un mondo all’altro, potenzialmente sempre esposta alle intemperie della propria frammentata interiorità.

Ecco una descrizione dei dieci mondi dell’animo umano:

1) Inferno (in sanscrito Naraka; in giapponeseJigoku): il Mondo della sofferenza e dell’angoscia;

2) Avidità (in sanscrito Preta; in giapponese Gaki): il Mondo della cupidigia e dell’attaccamento;

3) Animalità (in sanscrito Tiryagyoni; in giapponese Chikusho): il Mondo dell’istinto puro e irragionevole, non moderato dalla ragione e dalla disciplina;

4) Collera (in sanscrito Asura; in giapponese Shura): il Mondo dell’aggressività e dello sfrenato egocentrismo;

5) Umanità (in giapponese Nin): il Mondo da cui ha inizio la riflessione per l’ascesa verso i regni superiori;

6) Estasi o Cielo (in sanscrito Deva; in giapponese Ten): il Mondo del benessere e della gioia, ma solo come stati fuggevoli e transitori;

7) Studio o Apprendimento (in sanscrito Sravakabuddha; in giapponese Shomon): il Mondo della ricerca personale;

8) Illuminazione parziale o Realizzazione: (in sanscrito Praty ekabuddha; in giapponese Engaku): il Mondo della percezione della realtà permanente, ma non ancora del suo possesso stabile e definitivo;

9) Bodhisattva (in sanscrito Bodhisattva; in giapponese Bosatsu): il Mondo del ritorno fra gli altri uomini per aiutarli ad ascendere anch'essi ai livelli superiori;

10) Buddità (in giapponese Butsu): il Mondo della piena e perfetta liberazione, della assoluta felicità e dell’amor compassionevole per tutti i viventi.

Anche per l’islam, l’inferno non costituisce uno stato definitivo.

La consapevolezza che esista un giudizio oltre la morte e quindi una resa dei conti con la vita e con la propria condotta, resta un caposaldo di ogni cultura e credenza. Paradossalmente la reincarnazione stessa suppone un meccanismo retributivo; meccanismo aberrante, a causa della cecità dell’applicazione meccanicistica con cui opera, privo di ogni superiore giusto giudizio dell’unico Giudice dell’universo.

Tutte queste evidenze, ci invitano a riflettere sull’opzione cristiana. Credere oppure no significa mettere a rischio la propria esistenza di fronte ad un bivio, che solo la Fede cattolica ti svela.

Perfino gli ortodossi non credono più (un tempo ci credevano, basta leggere la Filocalia, per esempio) all’eternità dell’inferno.

La scelta «con me o contro di me» risuona ogni momento dell’esistenza come un urgente bisogno di aderire con amore alla verità. La scelta cattolica è l’unica vera, anche perché è l’unica radicale.

Banalizzarla con un videogame è da un lato massmediaticamente utile all’atrofia delle coscienze, e dall’altro, costituisce solo un tentativo di esorcizzare la paura inconscia dei nemici della Chiesa: essi sanno che l’inferno esiste, ma credono di poterlo «gabbare» facendosene complici. Illusi.

Stefano Maria Chiari



1) www.spaziogames.it/recensioni_videogiochi/

 

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