Madre Speranza di Gesù
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Se anche avessimo commesso
i più grandi peccati, non abbiamo da temere,
il cuore misericordioso di Gesù
perdona ed ama con amore infinito

Madre Speranza


L’ultima volta che ero stato a Collevalenza era nel febbraio del 1983, ricordo che era una giornata freddissima: le colline che separano, con dolci declivi, il paese da Todi ed i monti Martani che sono alle spalle del piccolo centro abitato, erano completamente ricoperti di uno strato candido e spesso: avevano così perduto la loro forma e la loro diversità diventando solo delle linee sinuose e di un bianco accecante. La purezza era scesa sulla terra rendendola degna di assistere, anche fisicamente e materialmente, alla salita al cielo di questa straordinaria suora spagnola: davvero quel giorno Cristo era disceso sulla terra per accompagnarla in cielo e la natura si era vestita con il colore bianco, rendendosi degna di accoglierlo.

Ero andato per vedere, per l’ultima volta, il corpo di Madre Speranza, esposto ai piedi dell’altare all’interno del Santuario dell’Amore Misericordioso: anche all’interno della chiesa faceva un freddo pungente. Mi avvicinai alla transenna che era stata messa davanti alla bara, con un forte senso di commozione: Madre Speranza l’avevo conosciuta parecchi anni prima ed ero andato a trovarla tantissime volte, accompagnato dai miei genitori, in quanto non avevo ancora l’età per guidare l’auto.

Ne avevamo sentito parlare a casa di uno zio, malato terminale di tumore, da una nostra parente molto devota che era andata a trovare la suora per raccomandarlo alle sue preghiere. Con il suo solito serafico sorriso e sospirando, la suora aveva risposto: «Figlia, posso solo pregare per la salvezza della sua anima e perché sopporti con cristiana rassegnazione la sua pesante sofferenza, Gesù nella sua infinita misericordia lo accoglierà presto in cielo, digli di non aver paura e di abbandonarsi tra le sue braccia totalmente!».

Madre Speranza era sì attenta allo stato dell’anima di chi si presentasse davanti a lei, ma poi era anche sempre molto sollecita nell’ascoltare anche i problemi materiali di ognuno e li faceva suoi, ne partecipava riaffermando sempre che anche la materialità era un dono divino e che Dio era sempre disposto a concedere grazie affinché i suoi figli, liberati dall’assillo della materialità potessero rivolgersi e donarsi a lui interamente. Aveva sempre una parola buona, un consiglio, un sorriso e sempre prendeva su di se quei piccoli o grandi crucci e quelle croci non facendo mai mancare la preghiera e la sua diretta intercessione presso Gesù Misericordioso.

Ho tantissimi ricordi di questi suoi momenti di condivisione: riceveva sempre in una piccola stanza arredata, in maniera molto spartana, con un tavolo ed una seggiola.

Prima di essere ricevuti si aspettava con pazienza il proprio turno: davanti alla porta con il vetro smerigliato, sostava sempre Suor Mediatrice: una suorina molto paziente, vestita con una sopraveste bianca che le proteggeva l’abito nero: sotto gli occhiali aveva due occhi vivissimi e infinitamente dolci parlava a voce sommessa, ma era sempre sorridente e mai, dico mai, l’ho sentita trattare bruscamente qualcuno o dover intervenire, perché potevano nascere disguidi.

Oggi l’ho rivista, era al bancone alla casa del Pellegrino: lo stesso sguardo, la stessa dolcezza, lo stesso modo di parlare pacato, la stessa sopraveste bianca a protezione del suo abito monacale. Ovviamente dopo tanto tempo non poteva ricordarsi di me e delle mie visite di più di quarant’anni fa. Ma davanti a dei particolari, che io riferivo, a dei piccoli episodi a cui avevo assistito, anche lei ha cominciato a ricordare quei suoi momenti di servizio alla speranza, quella sua totale disponibilità nei confronti di chi veniva con la sua croce in mano per avere conforto e consiglio. Mi ha confessato che mai aveva mandato indietro qualcuno anche quando la Madre le diceva di essere stanca e di desiderare un momento di riposo: ma nessuna delle due cedeva alla stanchezza o allo sfinimento fino a quando l’ultimo visitatore se ne era andato. «Ero sempre molto preoccupata e combattuta: da una parte non volevo che Madre Speranza soffrisse, ma dall’altra come si poteva non tener conto delle pene di quelle persone che spesso venivano da lontano per incontrarla?». Quando si entrava nella stanzetta era come davvero varcare la soglia di un mondo diverso, di un luogo di pace e di serenità: eri avvolto dal sorriso, ammaliato da quel viso serafico che ti accoglieva, poi subito ti posava la mano fasciata sulla fronte e ti diceva: figlio o figlia mentre ti accarezzava il volto.

Mia madre era sempre, giustamente, preoccupata per i miei studi e per il mio futuro e chiedeva sempre preghiere per me: Madre Speranza la guardava e le ripeteva sempre dolcemente che non si doveva assolutamente preoccupare in quanto tutto sarebbe andato bene e che l’unica cosa che doveva fare era di avere fiducia in Gesù che stendeva sulla sua famiglia la sua mano potente, tenendo lontani male e disgrazie gravi. Ma doveva accettare con il sorriso tutto quello che sarebbe capitato in quanto anche noi dovevamo contribuire, con la nostra parte, al suo piano redentivo.

Una volta, avevo sedici anni e frequentavo il primo anno del Liceo Classico (cioè il terzo anno di corso) era giovedì grasso, faceva freddo e non mi sentivo molto bene. Mamma andò comunque a Collevalenza insieme a papà ed io rimasi a casa. Mi ero buttato su una poltrona dello studio, debole ed incapace di fare qualsiasi cosa: condizione davvero strana per me, che ero sempre un moto perpetuo.

Quando mamma tornò era molto preoccupata anche se cercava, come suo solito, di mascherare il suo stato di angoscia, come poteva: come il suo solito raccomandò alle sue preghiere me ed i miei studi, ma quel giorno Madre Speranza le disse: « Sì va bene, ma prima bisogna che a questo ragazzo gli curiamo la salute, perché ora non sta bene affatto, figlia non è una cosa grave, ma ha bisogno di cure, va a casa e chiama il medico!».

Questo sono venuto a saperlo parecchio dopo, ovviamente, ma effettivamente mi ero preso una grave epatite virale che mi tenne a casa per una ventina di giorni e mi lasciò in uno stato di debilitazione notevole.

Anche quel giorno di febbraio Suor Mediatrice era accanto al corpo di Madre Speranza di là dalla transenna come sempre svolgeva il suo lavoro di "mediazione": ora era raccolta in preghiera, ora si avvicinava alla transenna per salutare chi conosceva, con un velo di lagrime che gli velavano lo sguardo, ma sempre piena di fede e di speranza.

Mi vide e si avvicinò: mi chiesa di darle qualcosa di personale, di mio che avessi potuto sempre portare con me: le detti il portachiavi che custodiva sia le chiavi dell’auto, sia quelle di casa. Lo portavo sempre con me ovviamente.

Si allontanò, con il portachiavi in mano, si avvicinò al corpo della suora e lo appoggiò per qualche istante su di lei: i miei occhi erano pieni di lacrime, ma ero anche, allo stesso tempo, pienissimo di gioia e di serenità, quando me lo ridette, disse che non me ne dovevo mai separare.

Oggi il portachiavi ha perduto la sua placcatura e mostra, come i miei capelli, l’inesorabile passaggio del tempo: ma è sempre lì che custodisce, ancora egregiamente, le mie chiavi e robusto regge gli urti, le cadute assorbendoli senza problemi, senza mai dare segni di stanchezza: non me ne separo mai!

Questa primavera incerta mi ha regalato una splendida mattinata di sole: aver varcato la porta del Santuario è stato come immergersi in una dimensione diversa, varcare una soglia dove il male, le preoccupazioni, gli affanni non esistono, una dimensione di solo bene e di pace palpabile, quasi fosse qualcosa di materiale. Quel crocifisso che con gli occhi malinconici ma sereni guarda il cielo colloquiando con il Padre del cielo ti avvolge e rinserra con le sua braccia spalancate gridando nel silenzio più assolto di non aver paura e di farti abbracciare con confidenza filiale!

«Il Signore ama tutti con la stessa intensità e senza alcuna distinzione… Il motivo di un simile amore, umanamente inspiegabile, sta nel fatto che il Signore ci ama perché egli è l’amore infinito; Dio ci ama perché lui resta fedele al suo essere amore infinito, un amore più forte del nostro male e del nostro peccato».

La Murcia è una regione del sud della Spagna arida e assolata che prende il nome dal suo capoluogo Murcia, appunto, una città di circa mezzo milione di persone la settima città della nazione iberica.

Siscar è una piccola frazione di Santomera a metà strada tra Cartagena ed Albacete, deve forse il suo nome ad una pianta la sisca, comunissima quanto assolutamente priva di qualsiasi valore. In questo minuscolo villaggio il 29 di settembre del 1893, viene battezzata Maria Josefa Alhama Valera il giorno preciso della sua nascita è incerto, mentre quello della sua nascita alla vita cristiana non desta dubbi.

Il padre è Josè Antonio Alhama Palma (1) la mamma invece è Maria del Carmen Valera Buitrago, si sono sposati da poco più di un anno e Maria Josefa è la loro prima figlia. Sono una piccola famiglia molto povera, entrambi i genitori lavorano, a giornata, nei campi come braccianti agricoli, la loro non è un’occupazione stabile vivono in una barraca una specie di capanna costruita in mattoni di fango e paglia, qualcosa di molto simile alle famose case di bresta una volta così comuni soprattutto in Calabria.

La Spagna all’epoca è una nazione stremata dalle guerre dinastiche, ha perduto le sue ultime colonie che le garantivano ancora un minimo di sostegno economico: nelle sue assolate campagne le condizioni di vita delle persone, per lo più tutte impegnate nel settore agricolo, sono al limite della sussistenza.

La barraca della famiglia Alhama è il dono di Anton El Morga un loro vicino il quale, con immensi sacrifici e tanto lavoro, è riuscito costruirsi una casetta nuova e, mettendo in atto quella solidarietà cristiana sempre così fortemente presente in Spagna, ha ben pensato di donare la vecchia abitazione al nuovo nucleo familiare appena costituitosi.

Josè Antonio ha trentuno anni, mamma Maria del Carmen è appena ventenne: le poche immagini che abbiamo a disposizione ci mostrano volti di contadini austeri, abituati alle privazioni ed adusi al sacrificio che hanno segnato i loro visi seri e quasi scavati nella roccia.

Josè Antonio è un lavoratore abituato alla fatica, che non sente mai la stanchezza e che si sobbarca orari di lavoro massacranti: nonostante tutto è un tipo estroverso, ma molto attento ed attaccato alle sue convinzioni religiose, ma che è anche molto premuroso con la sua sposa alla quale cerca di non far mancare mai niente. Maria del Carmen è alta, di poche parole, molto riservata, umile e caritatevole tutta votata al suo ruolo di madre di famiglia.

Maria Josefa nel giro di ventiquattro anni avrà altri otto tra fratelli e sorelle. Quattro di loro muoiono in tenera età: davvero tragica è la fine che toccherà a Jesùs Marìa: morirà ad appena sei mesi travolto dalla piena del fiume Segura il quale farà altre trenta vittime inondando  la huerta cioè la fertile zona che però è sotto il livello del corso d’acqua. L’inondazione non si porta via soltanto Jesùs Marìa, ma anche la barraca della famiglia e gli Alhama si ritrovano anche senza casa: ancora una volta la «pietas» e la grande carità cristiana di un vicino, procura a questi sfortunati una nuova modesta casetta: nella grande prova cui è sottoposta la famiglia non si lascia andare al pur comprensibile vortice della disperazione e risponde con una unione che rinsalda i legami, una fede semplice ma autentica e sentita: Maria del Carmen addirittura si adopera per aiutare, come può, le famiglie ancora più povere e bisognose della sua. Evidentemente questo clima di concordia e di unione fa crescere Maia Josefa in serenità e circondata da affetto.

La bambina ha un carattere estroverso, simile a quello del padre e si rivela vivace, intraprendente e ne combina di tutti colori: una volta, per poter giocare in libertà, adagia il fratellino in un cavo di un albero, e sarà necessario tagliarne il tronco per poter liberare il bambino che nel frattempo si è riempito di formiche. Un’altra volta, non amando molto la minestra, senza farsi accorgere, la versa nelle scarpe: l’indomani mattina dimenticatasi le calaza così come sono. Siccome non ama nemmeno le fave, in primavera, ne stacca sistematicamente i fiori perché così non diano frutti.

A quell’epoca i figli delle famiglie povere non vengono mandati a scuola, ma Maria Josefa è molto vivace e fantasiosa e non passa certo inosservata: viene quindi affidata al parroco di Santomera Don Manuel Aliaga che se la prende in casa.

Durante la guerra civile la chiesa parrocchiale di Santomera viene saccheggiata e dopo il saccheggio viene trasformata dai rojos prima in un magazzino di pezzi di ricambio per aerei, poi come deposito di limoni: da tanta furia devastatrice si salvano solo il fonte battesimale e l’immagine della Madonna del Rosario, la patrona del paese.

Ines e Maria, le sorelle del parroco «el tio cura» (lo zio parroco), come lo chiama lei, si prendono cura di lei. Madre Speranza racconterà molti anni dopo che ad otto anni sente fortemente il desiderio di ricevere l’Eucarestia: approfitta allora dell’assenza del parroco che la conosce bene, e riceve l’ostia da un ignaro sacerdote venuto a dire messa da fuori. Riceve la sua prima comunione dopo aver bevuto una tazza di caffelatte con il coccolato: nonostante i rimproveri dei grandi lei è molto contenta di aver ricevuto Gesù e da quel momento non ne vuole più distaccarsene: è talmente scrupolosa che, per paura di perderlo, rinuncia anche a saltare con la corda. Anni dopo scriverà: «la presenza del buon Gesù è la base della santità, il fondamento della perfezione e la radice di tutte le virtù».

Nel 1905 è protagonista dio un altro episodio che così racconta:

«Stavo in casa dello zio sacerdote, sentii suonare il campanello, scesi giù e vidi una suora tanto bella che mai avevo visto. Mi meravigliai che non portasse bisacce e le dissi subito suora dove mettete la roba che vi darò se non ha neanche le bisacce? E lei mi rispose: bambina, io non sono venuta per questo. Ma sarà stanca del viaggio. Prenda una sedia. Non sono affatto stanca. Con questo caldo avrà sete. Non ho sete. Allora che vuole da me e lei mi disse: vedi bambina, io sono venuta a dirti da parte del buon Dio che tu dovrai cominciare dove io ho finito. E mi parlò a lungo della devozione all’amore misericordioso, che avrei dovuto diffondere in tutto il mondo, spiegando fra l’altro che Dio non vuole essere più visto come un giudice di tremenda maestà, ma come un padre buono. È questa la missione che io ho ricevuto, da diffondere per il mondo intero. A un certo punto mi voltai e la suora non c’era più».

Chi era la misteriosa suora? Era Santa Teresina di Lisieux che all’epoca, era già morta da otto anni.

Non ama andare alle feste e divertirsi anche se fa amicizia con le sue coetanee: dimostra una forte attenzione per coloro che hanno bisogno: non ha ancora chiaro se in lei si manifesti una chiamata alla vita consacrata. La giovane entra in una comunità religiosa che si occupa di assistenza ai malati: un episodio a cui assiste, le fa capire che deve abbandonare quella comunità in quanto i malati sono trattati con troppa durezza di cuore. Una suora ricopre con un lenzuolo un agonizzante che rantola e rivolta a lei dice che con il tempo anche a lei si farà il cuore duro. E lei dentro di sé dice che quello che ha visto è più che sufficiente e prima che anche il suo cuore si indurisca è meglio andarsene.

L
inizio della vita consacrata

Siamo nel 1914 hanno davvero fatale sia per la storia d’Europa che per il destino di Madre Speranza. Ella infatti lascia la casa di Don Manuel per entrare nel convento delle Figlie del Calvario (Hijas del Calvario) a Villena ad un centinaio di chilometri da Santomera: vuole assolutamente farsi Santa ed assomigliare alla coraggiosa e l’impavida Santa Teresa di Avila.

Le Figlie del Calvario sono un istituto religioso fondato nel 1863 ad Urgel da Madre Esperanza Pujol. Il suo ingresso avviene il 15 ottobre, giorno che la liturgia dedica a Santa Teresa di Avila, la quale riformò l’ordine carmelitano che, nel solco del Concilio di Trento, dette un grande contributo al rinnovamento ecclesiale.

Le suore vivono in semi clausura, in assoluta povertà e si dedicano all’educazione di una quarantina di bambine; l’ordine, tuttavia, è quasi ridotto al lumicino e rischia l’estinzione.

Per Madre Speranza comincia un periodo difficile: le consorelle sono quasi tutte anziane e malate; il 15 agosto 1916, fa la prima professione ed assume il nome di Suor Speranza di Gesù Agonizzante. Il vescovo di Cartagena-Mursia le suggerisce di non lasciarsi condizionare dalle consorelle e di essere uno strumento docile nelle mani di Dio, come se fosse una scopa che non si lamenta mai del modo in cui viene utilizzata ed è al servizio di tutti sempre. Suor Speranza non dimenticherà mai questo insegnamento. In convento fa di tutto: dal seguire le bambine che la amano moltissimo, alla questua in paese, dove la gente apprezza la sua giovialità ed il suo sorriso umile.

Alla fine pronuncia i voti perpetui: ma l’ordine è sempre meno dotato di suore ed alla fine è costretto a fondersi con le Missionarie Clarettiane: partecipa attivamente alle trattative per la fusione e così le ultime cinque Figlie del Calvario, possono vestire il nuovo abito.

Nel nuovo istituto, Suor Speranza, trascorre nove anni dal 1921 al 1930 in varie Casse e con compiti diversi: da portinaia, ad assistente delle giovani, fino a responsabile organizzativa, a Madrid.

Gravemente malata

Nel 1922, al 29 anni; per lei inizia un cammino di sofferenza, anche fisica, come succede a quasi tutti i mistici di ogni tempo.

Nel giro di sette mesi, subisce tre operazioni: una per l’asportazione di un sospetto tumore all’utero, una seconda per sanare un’ernia traumatica conseguenza del primo intervento e la terza per rimediare alla lacerazione della ferita interna postoperatoria, conseguenza di una caduta mentre scende le scale con un pacco in mano.

Giace in uno stato di profonda prostrazione fisica: la priora di Vicàlvaro, il 5 settembre 1922, le consiglia di fare una novena al Cuore Immacolato di Maria e di chiederle la guarigione con l’intercessione di Padre Claret, il fondatore delle Clarettiane, che all’epoca era stato già dichiarato Venerabile e che, nel 1950, Pio XII proclamerà Santo.

Madre Speranza obbedisce, la notte tra il 6 ed il 7 settembre 1922, ogni problema scompare. Ma, come postumi dell’operazione, le restano una grave forma di gastrite, diretta conseguenza dell’uso del cloroformio, a causa della quale ha frequenti vomiti, deve sottoporsi a dolorosi lavaggi gastrici, ha piccole ulcere sulla bocca. Dall’agosto del 1924 lo stato di salute si aggrava ulteriormente; non poteva mangiare niente ed aveva vomiti di sangue. Il 14 febbraio 1925, viene confessata ma, a causa dei continui vomiti, non può ricevere il viatico. Alla fine lo riceve comunque ed anche l’estrema unzione: sembra arrivare la fine.

Madre Speranza chiede che le sia portata una reliquia il Padre Claret, al quale domanda, se ciò può essere utile ai progetti divini, il dono della salute.

Le viene ancora una volta somministrata la comunione all’alba del 16 febbraio; alle sette del mattino riprende vigore e la malattia scompare in modo istantaneo. I medici eseguiranno delle radiografie e nel referto scriveranno che: «Non si è riscontrata nessuna lesione, né allo stomaco, né al duodeno».

Non mancano altri episodi di piccole sofferenze subite come quello a causa di una novizia che aveva nascosto delle ampolle da lei poste ad asciugare e che la superiora  pensava fossero cadute nel pozzo. Le fu ordinato di votare, con un secchio, il pozzo, cosa impossibile in quanto era di natura sorgiva, faticò tanto, fino a quando la novizia confessò di aver nascosto lei, per scherzo, le ampolle, ma nel frattempo fu ritrovata dalla Superiora, svenuta per la fatica, accanto al pozzo.

Un’altra volta disse al confessore di tenere troppo alla sua pettorina che inamidava con cura ed alle sue scarpe che teneva sempre lucidissime. Fu costretta a fare la guardiana per un mese con una pettorina estremamente sporca di cioccolata: ma ciò le fece passare del tutto certe «fantasie sulla cura della propria persona».

Sono anche anni difficili nei rapporti con le superiore e le consorelle: viene trasferita a Vélez Rubio, siamo nel 1925. Qui riprende a star male, ha delle emorragie ginecologiche anche a causa della debolezza. Nel 1926, inizia ad avere attacchi di vomito e ciò si prolunga per un mese. Mentre poi lavorava nell’aia, le si riapre la vecchia ferita ed a causa del caldo, si infetta e produce pus. Le vengono prestate cure del caso in infermeria, senza dire niente al medico.

Ha il compito di assistere le ragazze del convitto, tutte le sono molto affezionate: ciò causa invidia fra le altre suore. Quando chiede un miglioramento del cibo delle ragazze, la Madre Superiora la sostituisce. Le ragazze, per protesta, tornano tutte a casa. Madre Speranza è ingiustamente accusata di aver sobillato le famiglie ed anche della sparizione di alcune cose.

Interviene la Madre Generale che la trasferisce di nuovo, questa volta Madrid nella casa di Calle Toledo. Resterà lì dal settembre 1926 fino a febbraio del 1929.

Controvoglia, ma ubbidiente all’ordine del suo confessore, tiene un diario che scriverà fino al 1957: per trent’anni.

Gesù le chiede di mettersi a sua disposizione è di essere strumento di un disegno superiore per realizzare grandi cose in favore delle anime e della Santa Chiesa.

Vuole che segua la dottrina di Padre Juan Gonzalés Arintero (1860-1928) fondatore del movimento Obra del Amor Misericordioso. Contemporaneamente anche suor Faustina Kowalska ha le stesse richieste da parte di Gesù: il 12 febbraio 1931, riceve da Gesù stesso l’immagine del suo Amore Misericordioso.

Le locuzioni interiori aumentano e le si piega d’obbedisce docile ed umile; nel diario scrive:

«Ho passato parte della notte fuori di me e molto unita al buon Gesù, e lui mi ha detto che io devo arrivare a fare in modo che gli uomini lo conoscano, non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un padre pieno di bontà che cerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e far felici i suoi figli e che li segue e ricerca con amore instancabile, come se lui non potesse essere felice senza di loro».

«Questa notte mi sono «distratta» e il buon Gesù mi ha detto che io non devo desiderare altro che amarlo, soffrire in riparazione delle offese che egli riceve dal suo amato clero e fare in modo che tutti quelli che trattano con me sentano lo stesso desiderio di soffrire e di offrirsi come vittime di espiazione per i peccati che commettono i sacerdoti del mondo intero; e che io debbo impegnarmi nel ricercare solo la sua gloria anche se ciò deve essere a prezzo del mio proprio disprezzo».

Fenomeni straordinari

Già alla fine del 1926, Madre Speranza ha delle estasi, sudore di sangue, moltiplicazioni di cibi, attacchi e percosse da parte del demonio, visioni, apparizioni, ma forse tutto ciò succedeva già dal 1924 e che fosse anche la vera causa del suo trasferimento a Madrid. Questo stato di cose continuerà fino alla fine della sua vita.

Interventi medici autorevoli certificano anche la sussistenza di piaghe ai piedi, nelle quali è possibile far passare un dito, mentre delle radiografie mostrano che il cuore presenta un’anomala cavità. Anche nel diario compaiano annotazioni che riguardano la richiesta fattale da Gesù di unirsi a lui nella passione e di ritrovare i suoi stessi dolori.

Comunque per la prima volta è in una lettera che Madre Patrocinio Pérez de San Tomàs indirizza al Procuratore Generale dei Clarettani, Padre Felipe Maroto il 4 aprile 1928 che si parla apertamente di stigmate:

«Vorrei indicarle qualcosa della nostra sorella Madre Speranza … Da un po’ di tempo a questa parte sembra che il Signore la conduca per vie, di certo, molto straordinarie… C’è stato un periodo in cui il nemico la tormentava atrocemente percuotendola fino a lasciarla mezza morta… Nella notte fra il giovedì e venerdì l’ha presa un sudore di sangue così abbondante che a volte l’ha lasciata così sfinita da dover restare a letto per diversi giorni; adesso dal primo venerdì di Quaresima, le sono apparse nei piedi le stigmate, proprio come le dipingono in alcuni santi; si conservano sempre come piaghe fresche e a volte perdono molto sangue».

Nel maggio del 1929, nonostante le continue sofferenze, le prove gravose e le varie incomprensioni, comincia a maturare in sé il progetto della creazione di una nuova congregazione: le Ancelle dell’Amore Misericordioso.

Vuole fondare collegi per educare orfani, poveri, figli di famiglie numerose indigenti, i quali non dovevano essere dei ricoveri e dove quelli che erano dotati di intelligenza vivace dovevano poter accedere agli studi superiori.

Il 4 marzo 1930, sei delle otto suore che hanno formato il primo nucleo della comunità, firmano la domanda al Papa di separazione dalle Clarettiane. Nei mesi seguenti nascono contrasti ed incomprensioni: Madre Speranza viene accusata addirittura di apostasia e scomunicata dal vescovo. Sono quelle prove, quelle sofferenze, quella incertezza che le sono state annunciate da Gesù e, per di più, a causa della dispensa dai voti è anche materialmente senza casa; due ricche benefattrici le vogliono offrire ospitalità in casa loro.

Il rifiuto è netto: «Lo spirito religioso, risponde loro, non ha nulla da guadagnare nelle case dei ricchi».

Nel dicembre del 1930, ascolta messa in una cappella privata gentilizia di proprietà dei Gòmez Herrero nonostante che il vescovo faccia di tutto per impedire qualsiasi aiuto a lei e le sue consorelle: e proprio qui, in estasi, riceve da Gesù la spiegazione dettagliata di come deve essere l’immagine del Crocifisso dell’Amore Misericordioso. Lei come al solito, ubbidiente e docile, come tutti i santi, mise davanti a tutto prima la volontà di Dio, poi quella delle autorità ecclesiastiche superiori; contatta lo scultore Lorenzo Coullant Valera, suo parente per parte materna.

Il Crocifisso descritto da Gesù a Madre Speranza, scolpito da Lorenzo Coullant Valera


È una statua di legno policromo a grandezza naturale raffigurante il Crocifisso, gli occhi sono bellissimi, dolcissimamente languidi e pieni di tragicità, rivolti verso il cielo, è ancora vivo, diritto, non accasciato dalla sofferenza dell’agonia, supplica il Padre dicendogli Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno.

La croce è piantata sul mondo un nastro bianco porta la scritta: Amor Misericordioso; al centro del petto c’è un sacro cuore fiammeggiante con scritto Charitas: con la sua sofferenza patita in croce, Gesù offre la prova e la misura del suo infinito amore per l’umanità. Dietro la croce troneggia una grande ostia bianca con al centro il monogramma Bernardiniano JHS simboleggiante il quotidiano rinnovo del suo sacrificio che ogni giorno si compie sull’altare con l’Eucarestia.

Sulla parte superiore, fissato con un grande chiodo, il cartiglio con la scritta in greco, aramaico e latino Gesù Nazareno re dei Giudei.

Il mondo ai piedi di Cristo, sorregge un cuscino sul quale poggia una corona in cui è scritto: «Sei, o Cristo, il re della gloria». Lui vuole regnare sul mondo attraverso il suo Amore Misericordioso. Di fianco al cuscino, un Vangelo aperto su cui è scritto «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato».

Lo scultore consegna l’opera l’11 giugno 1931, vigilia della festa del Sacro Cuore e l’artista è talmente soddisfatto che fa uno sconto a Madre Speranza 12.500 pesetas invece delle 15.000 pattuite. Si dichiara anche disponibile a realizzare altre copie uguali della stessa opera. Madre Speranza lo dissuade e gli dice di tenersi pronto, perché Dio lo chiamerà presto sé, cosa che avviene qualche tempo dopo.

La notte di Natale insieme a lei, ci sono altre cinque suore, non sono ancora una congregazione in quanto non hanno il riconoscimento ufficiale, ma lei dice alle consorelle: «Anche se non siamo approvate dalla Chiesa, siamo religiose, perché il Signore ci ha approvato».

Il vescovo di Madrid continua infierire rifiutando l’approvazione, impedendo ai benefattori di aiutare le religiose e sospende addirittura «a divinis» Don Esteban Ecay Izcue, molto devoto a Madre Speranza, poi manda anche la polizia per eseguire lo sfratto delle suore da Via Velàsquez.

Sono anni molto duri per la Spagna: nel 1931 con la vittoria della sinistra, gli ordini religiosi sono privati di ogni aiuto governativo; non possono più svolgere l’insegnamento scolastico ed anche attività commerciali. 4000 scuole religiose vengono chiuse.

Nel 1932 è soppressa la Compagnia di Gesù e di beni ecclesiastici vengono confiscati. Quando il 10 agosto 1932 il generale José Sajurjo, tenta un Levantamiento Nacional, la reazione violentissima che la situazione si aggrava ancora di più: gli estremisti più accaniti prendono il sopravvento.

Gli «asaltos», per rappresaglia, bruciano i conventi ed a nulla valgono gli atti di eroismo che Adolfo Gómez Sanz e suo figlio Adolfo Gómez Ruiz, pistole alla mano, cercano di porre in essere, a rischio della propria vita, per difendere i religiosi dalla furia incendiaria dei rojos: ad Adolfo Gómez Ruiz dedicherò un prossimo articolo.

Quando scoppia la guerra civile, dopo il Levantamiento Nacional del 18 luglio 1936, guidato dal generale Francisco Franco, la Chiesa cattolica spagnola paga un prezzo impressionante: quasi 7000 religiosi tra vescovi, sacerdoti e religiose vengono martirizzati « in spregio alla fede» ed a ciò si aggiungono danni incalcolabili arrecati al patrimonio storico, artistico e culturale.

Madre Speranza, durante lo svolgimento della guerra civile, insieme all’amica Pilar de Arratia, fa la spola tra Roma e la Spagna: varie fonti documentali accennano ad un’attività di tipo diplomatico attuata anche grazie a fenomeni di bilocazione. Tra il 1936 e del 1938 avrebbe trasmesso messaggi di Mussolini alle autorità militari spagnole e viceversa. Comunque il suo ruolo non ebbe mai connotazioni politiche, ma si mantenne sul piano umanitario al servizio dei feriti e degli orfani. Dopo la fine della guerra arrivò una denuncia davanti al tribunale militare di Bilbao per attività antinazionali: l’intervento drastico dell’Alto Comando la scagiona e definisce le accuse soltanto frutto di calunnie di bassa lega raccontate da suoi avversari. Nonostante l’infuriare della campagna antireligiosa ed anticattolica, le Ancelle dell’Amore Misericordioso riusciranno comunque a sviluppare la loro attività fondando nuove scuole e centri di assistenza in tutta la Spagna martoriata dalla guerra civile. Non essendo riconosciute come congregazione religiosa, paradossalmente, per loro ciò diventa un vantaggio in quanto non rientrano nelle leggi anticlericali.

Madre Speranza ebbe una premonizione divina: una signora l’avrebbe aiutata moltissimo sia materialmente sia grazie alle sue importanti conoscenze; questa signora è Maria Pilar de Arratia: donna di profondissima fede ed appartenente ad una ricca famiglia di Bilbao, la quale riconosce che il progetto di Madre Speranza: « Rispondeva a tutti gli scopi che mi ero proposta nei confronti degli orfani e dei poveri».

Suor Speranza riceve l’ordine da Gesù di diffondere la sua attività di assistenza ai poveri, a Roma e nel diario scrive:

«Mi ha detto anche che questa fondazione di Roma sarà il premio che lui prepara alla Congregazione, per le mie sofferenze e per il lavoro che devo svolgere per Lui e per la Sua gloria; dovrà essere Pilar a comperare tutto. Io non dovrò prendere neppure un soldo».

Nel viaggio verso Roma rifiuta il vagone letto e dice all’amica benefattrice:

«Tu vai pure in vagone letto come ti si addice; io, come religiosa, vado in terza classe, perché non esiste la quarta».

Arrivate nella Città Eterna, Pilar e la Provvidenza le fanno avere un’udienza con il cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani, Vicario di Roma il quale prende a cuore la loro causa.

Il luogo prescelto da Dio per la nuova Casa è sulla via Casilina: alla suora viene mostrato in visione in maniera chiarissima; in tre mesi la casa viene inaugurata. A differenza di quanto successo a Madrid, autorizzazioni e permessi arrivano in poche settimane e Madre Speranza viene anche ricevuta in udienza particolare da papa Pio XI al quale racconta la sua storia. Papa Ratti la esorta a procedere con coraggio ed aggiunge: «Di nessun pauroso si è mai scritto nulla di buono» dopo di che impartisce la solenne Benedizione che Apostolica per lei, per le suore, la Congregazione e per tutta la Spagna.

Per tutta la durata della guerra civile lei e Pilar fanno la spola tra Roma e Madrid. Aldo Maria Valli, autore di una pregevole biografia di Madre Speranza a proposito così scrive: «Rientra in questa attività all’iniziativa di salvataggio di migliaia di bambini baschi che il governo della regione autonoma aveva fatto trasferire all’estero per proteggerli dalla guerra, ma anche per un’opera di indottrinamento in senso marxista. Il fenomeno riguardò diverse aree della Spagna, dove a partire dalla primavera del 1937, almeno 30.000 bambini furono allontanati dal paese, certamente per metterli al riparo, ma in molti casi anche per motivi politici. A Bilbao l’Incaricato di Affari della Santa Sede presso il governo spagnolo, monsignor Ildebrando Antoniutti ha il proprio ufficio allo stesso indirizzo dell’abitazione della signorina Pilar de Arratia, al numero 24 di via Hurtado de Amezàga ed anche questa circostanza fa sì che possa nascere la collaborazione con i collegi dell’Amore Misericordioso, nei quali, a partire dalla seconda metà del 1937, transitano migliaia di bambini in attesa di potersi ricongiungere con le loro famiglie» (2).

Dura persecuzione religiosa

Il riconoscimento delle Ancelle dell’Amore Misericordioso va per le lunghe. Le voci di collaborazionismo antinazionale arrivano a Roma. Madre Speranza subisce anche due tentativi di avvelenamento con l’arsenico, mentre un gruppo di religiose manifestano il loro dissenso e decidono di andarsene.

Il Sant’Uffizio chiede allora a Monsignor Antoniutti, l’Incaricato di Affari della Santa Sede presso il governo di Madrid, di svolgere indagini sui presunti fenomeni di cui Madre Speranza è protagonista. Il sacerdote diocesano incaricato dell’inchiesta è molto rigoroso ed ascolta anche Madre Speranza. Alla fine rivolge un invito al Sant’Uffizio affinché non prenda decisioni in attesa di ulteriori sviluppi. Il nuovo incaricato diocesano, un gesuita di Bilbao, è molto sommario sente solo alcuni testimoni ed alla fine redigere una relazione dura e sommaria che critica Madre Speranza sia umanamente che spiritualmente e ne chiede la sostituzione. Da Roma, nel frattempo, arrivano a Monsignor Cicognani, Nunzio Apostolico in Spagna, l’ordine di riduzione allo Stato laicale di Madre Speranza e lo scioglimento della Congregazione.

In tre settimane tutto si capovolge: la stessa Segreteria di Stato chiede al Nunzio di sospendere l’attuazione del decreto.

Nel frattempo Pilar de Arratia il 7 settembre, viene ricevuta in udienza privata a Castel Gandolfo da Pio XII, che l’ascolta e le promette il suo personale interessamento. Non basta, Pilar vede anche il cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani, nel 1939 Vicario di Roma e il Prefetto del Sant’Uffizio.

Il visitatore apostolico che Madre Speranza ha spontaneamente richiesto alla Santa sede è un personaggio a lei molto ostile: il superiore dei Clarettiani di Bilbao padre Eduardo Gómez. Nella primavera del 1940 padre Gómez la incontra a Roma in via Casilina. Il colloquio è ricco di tensione ed è molto drammatico: il religioso spagnolo è carico di risentimento e di disappunto. Ingiunge a Madre Speranza di rientrare in Spagna e di non rivolgersi più al Sant’Uffizio.

L’amica Pilar ottiene ancora un’udienza privata con Pio XII, al quale consegna statuti, scritti di Madre Speranza sulla fondazione dell’ordine e sulla devozione all’Amore Misericordioso. Pio XII decide di sentire direttamente l’interessata: ciò avviene per ben due volte, nell’agosto e nel novembre del 1940.

Finalmente nel 1941 il Sant’Uffizio si pronuncia in maniera pilatesca: le viene concesso di non lasciare Roma, può restare Superiora delle Ancelle, ma il governo effettivo dell’ordine dovrà passare a madre Pérez del Molino. Il 27 luglio 1941 Madre Speranza scrive nel suo diario:

«Mi dici, Gesù mio, di accettare per tuo amore il nuovo calice. Con la tua grazia io sono disposto a soffrire con gioia tutto ciò che vuoi mandarmi, o permetti che mi facciano. Dammi però molta carità; aiutami a piegare la mia superbia che mi dà molta guerra, perché pretende di farmi retrocedere davanti alla lotta».

Sempre nel 1941 il cardinale Cicognani, con l’assenso di Pio XII, designa un vescovo speciale come direttore delle Ancelle «Ad nutum Sanctae Sedis». Monsignor Mutiloa riporta la normalità nell’ordine, fa in modo che le ribelli rientrino tra le Clarettiane e la Santa Sede, su sua richiesta, concede alle Ancelle di essere un Istituto Religioso Diocesano cosa che permette il 12 giugno 1942, a Madre Speranza, di fare la sua professione perpetua.

È il 30 giugno 1942 quando Madre Speranza vede in sogno San Rocco di Montpellier che subì anni di segregazione in carcere, il quale le annuncia che vogliono allontanarla da Roma e segregarla nella Casa di Alfaro.

Madre Speranza, a questo ammonimento, risponde il tre luglio con una bilocazione che la porta direttamente davanti al Pio XII: il grande e Santo Papa che è abituato ad assistere a fenomeni sovrannaturali, passata la sorpresa nel trovarsela davanti, chiarisce tutto con lei ed il 16 luglio durante un incontro con il cardinale Marchetti Selvaggiani, Madre Speranza, ha un’estasi di due ore che toglie all’alto prelato ogni dubbio.

La suora spagnola il 3 maggio del 1944 riceve da Gesù l’annuncio che avrebbe portato in cielo una fra lei e Pilar de Arratia. Pilar è molto nervosa in quanto deve ancora fare molte cose per l’ordine. Il 29 agosto 1944 la suora ha la certezza che la prescelta sarà proprio Pilar. Nel pomeriggio Pilar si stende sul letto preparato per lei al piano terreno della casa di via Casilina, riceve i sacramenti, veste l’abito delle Ancelle e pronuncia i voti perpetui: in passato Madre Speranza glielo aveva sempre impedito, ritenendola più utile come laica alla sua causa. A 52 anni con lo sguardo fisso sulla Madre, Pilar esala l’ultimo respiro.

Ovviamente la seconda guerra mondiale infuria, Madre Speranza chiede che l’Amore Misericordioso di Gesù la protegga e scrive una giaculatoria da recitare durante il rosario:

«Signore mio Dio, la tua Misericordia ci salvi, il tuo Amore Misericordioso trionfi in questa guerra infernale».

Alcune bombe d’aereo cadono sulla Casilina molto vicino alla Casa che viene però miracolosamente risparmiata. Madre Speranza prega per una bambina morta e questa riprende a vivere. Nonostante la mancanza di mezzi e medicine, numerosi feriti guariscono curati dalle Ancelle dell’Amore Misericordioso. A ciò si aggiungono anche numerose moltiplicazioni di cibo a beneficio degli ospiti della Casa, compresi molti militari in fuga ed altri rifugiati. Viene allestita una mensa per poveri e bisognosi la suora fondatrice non può stare a guardare la miseria e la povertà restando inerte.

Adopera alcuni bidoni dell’esercito come pentole e come piatti i barattoli del latte in polvere. Dal novembre 1944 la cucina offre pasti caldi e panini imbottiti a tutti quelli che si presentano; le persone possono mangiare lì o portarsi il cibo a casa.

La mensa continua la sua attività anche dopo la fine della guerra. Una bambina racconta che questo servizio è durato per tre anni dopo la fine della guerra e che lei e la sua famiglia ne hanno potuto approfittare per tutto il periodo. Mangiano con pochissima spesa anche i pendolari e vengono confezionati circa 1000 pasti al giorno. La quantità di cibo è modesta e pure si sfamano tutti ed avanza sempre qualcosa: il fenomeno moltiplicazione del cibo si ripete continuamente sotto gli occhi di tutti.

Nel 1946, nonostante il Capitolo Generale dell’ordine l’abbia eletta Superiora Generale, il tutto viene bloccato improvvisamente dalla Curia: in una ulteriore udienza privata concessale, Pio XII molto dispiaciuto le comunica che in Spagna l’ostilità contro di lei è sempre molto forte, che deve rinunciare al ruolo di Superiora Generale e spiega che opporsi sarebbe dannoso.

Il governo spagnolo, poi, si è anche incamerato quasi tutta l’eredità lasciata all’ordine da Pilar de Arratia: è un triste Natale, le suore si ribellano e la prescelta come Superiora, Madre Antonia Andreazzi, si sente una traditrice. Madre Speranza cerca di calmare le acque ed invita all’obbedienza, ma le madri del Consiglio scrivono diverse lettere al Papa e Madre Antonia Andreazzi si rifiuta categoricamente di andare in Spagna, in questo modo i legami che uniscono le Ancelle all’Italia si rafforzano.

Tra molte difficoltà e con un grande aiuto delle suore che scaricano materiali e caricano macerie, accelerando moltissimo i lavori (gli operai della ditta che li esegue chiamano affettuosamente le suore «la celere») la nuova Casa di via Casilina è pronta per il Giubileo del 1950. La nuova Casa ospita mediamente 500 pellegrini al giorno, più i frequentatori della mensa sociale e le bambine nel convitto.

L’11 gennaio 1950 è un grande giorno per l’ordine: Madre Speranza ed 80 consorelle, sono ricevute da Pio XII che, per dimostrare la loro gratitudine e ringraziarlo della costante protezione, gli donano una pianeta richiamata dal loro.

Nel 1951, il cardinale Giuseppe Pizzardo viene nominato nuovo Prefetto del Sant’Uffizio ed essendo un grande estimatore di Madre Speranza ritiene inaccettabile che, a causa del parere negativo di un paio di vescovi spagnoli, si possa pregiudicare la missione della Congregazione.

Madre Speranza di Gesù
  Madre Speranza di Gesù
Ancora una volta il Capitolo Generale della Congregazione, all’unanimità, rielegge Madre Speranza Superiora Generale della Congregazione e questa volta non nascono ostacoli presso l’autorità superiore di Roma. Nello stesso anno viene fondato anche il ramo maschile dell’ordine i Figli dell’Amore Misericordioso. Alla sua testa Gesù dice che deve andare Alfredo Di Penta il contabile della ditta che ha costruito la nuova Casa Generalizia. Egli ha una grande fede ed è stato testimone di molte moltiplicazioni di alimenti e della trasformazione di acqua in vino operata da Madre Speranza (3). Siccome non è più giovanissimo chiede di non frequentare il Seminario, del suo iter formativo si occuperà personalmente il Vescovo di Todi Monsignor Alfonso Maria de Sanctis, che da anni conosce bene le Ancelle in quanto sono presenti nel seminario minore della città umbra. Come sede del ramo maschile sarà scelta Collevalenza un piccolo centro non distante da Todi.

La notte prima dell’ordinazione sacerdotale, Alfredo viene svegliato da una luce accecante: Madre Speranza parlava con un signore molto distinto con la barba, nella sua cella chiusa a chiave dall’interno e con delle potenti sbarre alla finestra. Insieme reggevano una talare: la Madre gli disse che prima di farla benedire da un suo ministro, l’aveva fatta benedire direttamente da Lui. Il mattino seguente una talare era appesa all’attaccapanni della camera: Alfredo ha paura di parlare e su precisa domanda di Madre Speranza, che lo stuzzica sull’argomento, nega che, durante la notte, sia successo qualcosa di particolare. Madre Speranza gli dice: «Ma come ti porto il Signore in camera e neanche lo ringrazi?». Il novizio confessa di aver avuto paura e lei di rimando gli dice: «Ma come, se ha anche fatto la guerra!». Era infatti stato Capitano dell’aviazione e svolto diverse e pericolose missioni.

Poco tempo dopo si aggrega ai figli anche Don Gino Capponi che diventa confessore ed uno dei principali collaboratori di Madre Speranza. E proprio lì in quel piccolo paese sulle alture umbre, Collevalenza, su ordine di Gesù, la Madre inizia la costruzione del Santuario dell’Amore Misericordioso con annesso un laboratorio, una casa per ammalati e pellegrini, una casa per il clero, il noviziato delle Ancelle ed il seminario per i Figli.

Il luogo prescelto per la costruzione, è un boschetto appena fuori dal paese detto il Roccolo dove gli abitanti praticavano la caccia con richiami e reti fisse.

Tra il 1953 ed il 1973 nasce il complesso: prima il santuario piccolo dove viene posto il crocefisso che Madre Speranza aveva fatto scolpire in Spagna, poi il pozzo con le piscine, il santuario grande, il campanile, la piazza antistante il Santuario e la Via Crucis monumentale. Madre Speranza segue personalmente da vicino ogni lavoro con indicazioni pratiche che meravigliano i tecnici ed accompagnando tutto con le preghiere.

La cosa che rende più attoniti è tuttavia come ella possa trovare le risorse economiche che le permettano di fare il tutto.

Il laboratorio arriva ad impiegare fino a 80 religiose ed altrettante laiche apprendiste ed operaie: molte sono le donazioni dei benefattori e consistente è anche l’aiuto delle varie Case sparse nel mondo, anche se spesso con qualche mugugno.

Agli inizi degli anni 60, Collevalenza diventa meta di pellegrinaggio per i fedeli oltre che per i religiosi e le religiose: è un vero faro di spiritualità e la Madre non si sottrae mai al contatto di chi chiede di incontrarla e di poterle parlare. Dal 1960 i pellegrini possono ottenere indulgenza parziale o plenaria su privilegio concesso dalla Santa Sede.

Nel 1964, il giorno della festa di Cristo Re, davanti al crocifisso, si inginocchia a pregare il neo arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla. Poi parlerà a Madre Speranza di Suor Faustina Kowalska a cui è molto legato: il Sant’Uffizio aveva tassativamente vietato di diffondere la devozione della suora polacca: Madre Speranza dice, al futuro Papa, di cercare gli scritti di Suor Faustina.

La ricerca dellacqua

Nel 1960 Gesù chiede alla suora di scavare un pozzo e di utilizzarne l’acqua a scopo taumaturgico per guarire malattie e gravi infermità. L’impresa sembra impossibile: in quel luogo non si è mai trovata acqua; e nei periodi di siccità è stato necessario ricorrere all’invio di autobotti per soddisfare le esigenze del piccolo paese.

La suora, irremovibile, dice che da Gesù le è stato indicato il posto preciso dove doveva scavare. In fasi successive intervengono ben tre ditte e lei stessa presiede ai lavori e prega intensamente per la loro riuscita. Due ditte sono costrette ad abbandonare: dell’acqua nessuna traccia ed è necessario scavare sempre più profondamente con tecniche sempre più sofisticate e costose. Le trivelle si rompono spesso ed in Umbria non se ne trovano più, bisogna quindi ricorrere fuori regione per procurarsele: i numerosi intoppi che costellano lo scavo del pozzo sono, secondo la Madre, opera del diavolo, ma alla fine, con generale stupore soprattutto degli scettici e sfiduciati scavatori, l’acqua si trova a ben 122 metri di profondità: è una grande festa per tutti.

In un solo mese vengono realizzate le piscine e, nonostante qualche difficoltà di depurazione, l’opera viene terminata: Madre Speranza, getta una pergamena in un involucro, nel pozzo ed il 3 aprile 1960, durante un’estasi pronuncia questa supplica a Gesù:

«Ti ringrazio, o Signore! Dà a quest’acqua la virtù di guarire il cancro e la paralisi, uno figura del peccato mortale e l’altra del peccato abituale. Il cancro uccide l’uomo, lo disfa; la paralisi invece lo rende inabile, non lo fa camminare. Dà all’acqua la virtù di guarire i malati, i malati poveri che non hanno mezzi, anche con una sola goccia d’acqua. Sia quest’acqua, Signore, la figura della tua Grazia e della tua Misericordia».

Il 14 settembre, giorno dell’Esaltazione della Santa Croce, alla presenza di numerose suore e religiosi il fondo del pozzo s’illumina misteriosamente.

Ora sopra le cannelle che distribuiscono l’acqua, troneggia una statua marmorea della Vergine Incoronata: Maria Mediatrice accoglie tutti a braccia spalancate.


La statua di Maria Ausiliatrice sopra le fontane, accanto alle piscine dell’acqua


Il Santuario ed il campanine, opera dell’architetto spagnolo Julio Lafuente


Dopo lacqua il nuovo Santuario

L’opera viene commissionata all’architetto spagnolo Julio Lafuente il quale riferisce che il vero architettato è proprio lei Madre Speranza: «Discutevamo con la Madre di tutti i dettagli della costruzione. Interveniva con passione con amore, manifestando il desiderio che il Santuario fosse grande, bello e divenisse un faro di luce per la gloria di Dio».

I lavori iniziano nel maggio del 1963 e terminano nel 1965. I giochi che si creano grazie alla luce che filtra dall’alto e dai lati, danno l’impressione di trovarsi in mezzo agli alberi del boschetto del Roccolo dove l’opera sorge.

Domenica 31 ottobre 1965 è il Prefetto del Sant’Uffizio il cardinale Alfredo Ottaviani, strenuo difensore dell’ortodossia cattolica, che insieme a 60 vescovi di tutte le parti del mondo, presenti a Roma per il Concilio Vaticano II, inaugura solennemente l’opera davvero stupenda. Nel 1966 sarà poi la volta del campanile ad essere inaugurato che, a causa della sua «originale» forma, fa storcere il naso ad alcuni, infine poi nel 1969 toccherà alla piazza antistante il Santuario.

Missione compiuta

Nonostante l’età, i suoi occhi sono sempre vivissimi, neri e vivaci. Chi la incontra e riesce a parlarle, ne riporta sempre un’impressione d’un ricordo indimenticabile. Riceve sempre in piedi la gente, s’informa dei problemi e soprattutto a tutti tocca la fronte e, chiamandoli figlio o figlia, per tutti ha parole di conforto e di consiglio. Gli incontri sono individuali, ma con il passare del tempo dovrà ricevere solo gruppi di persone, ma mai nega a nessuno una parola, un incoraggiamento, una preghiera: molti sono quelli che, al termine dell’incontro, escono piangendo.

Le visioni ed i colloqui con Gesù continuano e continueranno anche gli scontri, spesso cruenti e violenti, con il demonio che lei chiama «il tignoso».

Il 4 novembre 1981 il Superiore Generale padre Gino Capponi, invita formalmente a Collevalenza Papa Giovanni Paolo II.

Il 13 maggio 1981 il Papa ha subito l’attentato in piazza San Pietro e nel 1980 ha pubblicato l’enciclica Dives in Misericordia autentico inno all’Amore Misericordioso.

Il 29 novembre il Papa, ancora convalescente, si reca a Collevalenza: si china su Madre Speranza e le bacia la fronte e, a proposito del Santuario più tardi, a Todi, dirà:

«Con il suo stesso nome, con la sua mole e con l’attività spirituale, pastorale e formativa che vi è promossa, esso a tutti ricorda e proclama la grande consolante verità della misericordia paterna del Signore. Esso costituisce un segno e quindi un invito a meditare e ad accogliere l’eterno messaggio della salvezza cristiana».

Ultimi giorni

Ormai Madre Speranza a 89 anni: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» dice San Paolo nella seconda ai Tessalonicesi.

Ormai i suoi impegni sono da tempo ridotti drasticamente.

Il 3 febbraio 1983, sente la fine vicina e dice al padre Gino Capponi, suo padre spirituale, sì perché anche e soprattutto i santi hanno sempre un padre spirituale: «Hjio, yo me voy» (figlio me ne vado).

Il giorno seguente insorge un grave edema polmonare: le viene impartita l’unzione degli infermi. La Madre è perfettamente cosciente.

Il 7 febbraio subentra un infarto. L’8 febbraio Padre Gino Capponi e Madre Teófila García sono al suo capezzale, mentre in tutte le Case dell’Ordine del mondo si prega per lei.

Ha lo sguardo sereno anche se il dolore al torace è lancinante: guarda serenamente i suoi successori, quasi a raccomandare di proseguire la sua opera. Padre Gino la implora di lasciar loro il suo spirito.

Muore serena è pronta come sempre era vissuta. Il suo corpo, senza subire segni di decomposizione, rimane esposto per più di cinque giorni nella cripta della Basilica: per sua stessa volontà viene sepolta nella cripta dietro l’altare maggiore.


Tomba di Madre Speranza di Gesù. Cripta del santuario di Collevalenza di Todi (PG)


«Che i miei Figli e Figlie depongano le spoglie di questa povera creatura il più vicino possibile a questo Santuario, perché si consumino accanto ad esso come misteriosamente e dolorosamente si consumava la vita quando si edificava il Santuario stesso».

Il 10 aprile 1988 viene avviato il processo di beatificazione. Nel 1990 i 52 volumi di materiale raccolto vengono inviati alla Congregazione per le Cause dei Santi. Il 23 aprile 2002, davanti a Papa Giovanni Paolo II viene dichiarata Venerabile.

Un personale e sentito ringraziamento a Suor Mediatrice materna, dolcissima ed umile che ricordo con slancio e commozione, sempre discretamente vicina a Madre Speranza. Ed un ringraziamento anche alla signora Marina che, sorridente e disponibile, accoglie ed accompagna i pellegrini, lo ha fatto anche con me, nel Santuario facendo loro da guida.

Luciano Garofoli




1)
Ricordiamo che in Spagna vige l’uso del doppio cognome: il primo è sempre quello del padre, il secondo quello della madre.
2) Aldo Maria Valli: Gesù mi ha detto: Madre Speranza testimone dell’Amore Misericordioso. Editrice Ancora, Milano 2011. Pag. 50.
3) Fenomeni del genere si ripeteranno anche a Collevalenza: all’improvviso un fusto d’olio vuoto si riempie addirittura tracimando, dopo che era stato detto a Madre Speranza che il prezioso condimento era finito.



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