Può la bellezza salvare il mondo?
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Con vero piacere pubblichiamo l’intervista alla pittrice Elide Cabassi, che da vent’anni vive e lavora in Russia, anche come insegnante di educazione estetica dei bambini di un orfanatrofio di Mosca. Al di là delle risibili differenze “culturali” che si possono riscontrare, ci sentiamo di condividere totalmente l’indirizzo pedagogico dello scritto, su un tema, quello della “bellezza estetica”, che per tanti anni abbiamo proposto ai nostri lettori e da ultimo nel recente articolo “Quel candore estetico che abbiamo perso”. Ringraziamo la collega russa Margarita Nekrassova per la traduzione e per il suo lavoro di “collegamento” tra le nostre realtà giornalistiche.
(Lorenzo de Vita)


Da sempre la Russia rappresenta per l’Occidente un oggetto di accesa critica , indipendentemente dal suo regime politico, dalla situazione economica o dalla politica estera del momento. Però, tanti stranieri, riuscendo a capirla, trovano qui la loro seconda patria, il centro della loro vita e dell’attività professionale. Ed anche oggi, come nei secoli precedenti, ci sono degli europei che della loro avventura russa fanno grande esperienza di vita, riuscendo a realizzare importanti progetti. È il caso di Elide Cabassi, italiana, pittrice e insegnante che da più di 20 anni vive e lavora in Russia.

Domanda: Prima di tutto vorrei chiederLe dell’Italia. È là che Lei ha ricevuta le basi della formazione professionale, basi che fino ad oggi restano utili per il Suo lavoro?

E. C.
: Certamente, le mie basi sono italiane. Sono cresciuta in un paesino del Piemonte. Tra le Alpi e il mare si trova un posto meraviglioso che si chiama Monferrato. Proprio là è nato in me il senso della bellezza: tra la cultura contadina, nella sua unità con la natura e attraverso la natura, lavorata e contemplata, si scopriva il mondo. Dall’altra parte, dalla prima infanzia dentro di me sentivo crescere la sensibilità alla sofferenza. La bellezza della natura e i valori di famiglia furono accompagnati dal dolore legato a mia madre malata. Perciò l’esperienza del bello e della sofferenza sono i più importanti momenti della mia vita e della mia pittura.

Più tardi, a metà degli anni ’70, studiando nella scuola superiore d’arte della città di Asti, scoprii l’altro lato della grande realtà: ho visto il mondo dei troppi orrori, della guerra e delle tante sofferenze, in particolare della gente socialmente debole. Fu per me un grande colpo. La situazione generale era molto politicizzata, erano i tempi della guerra fredda, mi ricordo tante manifestazione studentesche, alle quali anch’io prendevo parte. Sono stati gli anni del mio incontro con la politica e l’arte. Avevamo dei bravissimi professori e pittori! Allo stesso tempo comincio a girare per l’Italia con gli amici, in autostop, cercando di conoscere il Paese e i vari musei. E quel periodo ha dato l’inizio alle riflessioni sulla questione della possibilità di tale contrasto tra la bellezza divina e gli orrori dell’uomo.


“Sono cresciuta in un paesino del Monferrato, in una delle più importanti regioni per la viticoltura. In autunno tutta la famiglia, bambini inclusi, partecipava alla raccolta dell’uva”


Nel 1982 cominciai i miei studi all’Accademia di Belle Arti a Firenze. Avevamo la vera fortuna di prendere parte alle lezioni di pittura dagli ultimi migliori maestri fiorentini, G. Trovarelli e F. Farulli. Da loro ho imparato a vedere la pittura come atto sacro. Ricordo come intere giornate erano dedicate allo studio e nei pochi momenti liberi visitavamo i musei, facevamo le copie dei quadri, ammirando le opere di Tiziano, di Raffaello, di Giotto ecc.

Devo dire che la città di Firenze è di per sé un posto unico al mondo. A quei tempi non era ancora occupata dal turismo di massa ed era possibile percepire la bellezza in tutta la sua pienezza. A Firenze si può vedere che ogni dettaglio urbanistico fu concepito come parte di un unico quadro. Questo fenomeno è molto importante, perché lo spazio attorno all’uomo esercita un’influenza su di lui, partecipando in modo invisibile alla formazione della sua coscienza. Se questo spazio è ben strutturato e bello, allora l’influenza sull’uomo è positiva. I nostri antenati conoscevano bene questo ruolo supplementare dell’architettura!

Invece, nel mondo moderno, la forza positiva del quadro urbano, dove un tempo i valori estetici ed etici creavano una positiva simbiosi e giocavano un ruolo importante nell’ordinare la coscienza umana, è stata persa. Per esempio, a Mosca, come in altre città storiche, lo spazio urbanistico è stato danneggiato e mostra la grave mancanza morale dell’uomo moderno. Tale ambiente crea nell’uomo una coscienza caotica e frammentaria. Quando attorno all’uomo lo spazio è deformato, il suo sguardo “si accorcia” e non può fermarsi a lungo sulle cose; di conseguenza, egli perde la capacità naturale di contemplare l’Essere. Direi che il nostro tempo si può definire come l’“epoca dell’uomo dallo sguardo corto”.

La chiesa di San Miniato al Monte di Firenze ha quasi mille anni. Fu costruita in stile romanico. I mattoni sono accompagnati dai marmi di tenero colore rosa, verde e bianco, che è una particolarità di Firenze. Per me questa immagine ha un significato importante: ritornando là dopo tanti anni di assenza, capii da dove provenivo. Nella mia permanenza a Firenze, durata 11 anni, sono stata impregnata di questa bellezza e per questo la mia pittura la evoca.



La vera bellezza non invade l’occhio. Guardate questa chiesa, essa sta là come un albero, in piena armonia con la natura. È semplicissima. Oggi la gente si interessa delle cose definite “originali”. Per loro la bellezza non ha più un grande valore. La categoria della bellezza è stata sostituita da quella dell’“originalità”.

Si trova nella chiesa di San Marco a Firenze. L’opera è in buon stato e dà la sensazione di un lavoro terminato soltanto di ieri. Le opere di Leonardo da Vinci, vissuto dopo Angelico, non giovano di tale salute, probabilmente perché Leonardo sperimentava con la materia, quando invece l’Angelico fedelmente seguiva la tecnica tradizionale e profondamente percepiva la materia. Il mondo del pittore è un lavoro con la materia, che è viva e ha le sue debolezze, che bisogna conoscere. Se un pittore non possiede la magia del lavoro con la materia, allora dopo 20 anni le sue opere avranno delle crepe, diventeranno oscure... Purtroppo oggi quasi nessuno possiede ancora tale magia.


L’affresco del monaco italiano Beato Angelico La Buona novella (1450)


Domanda: Perché Lei è venuta in Russia?

E. C.
: Vivo in Russia da 21 anni. Questo Paese è entrato nella mia vita spirituale e culturale, nella mia pittura con tale forza che non posso più immaginarmi in un altro luogo.

La prima volta arrivai all’età di 24 anni, nel 1987, soltanto per un anno, con lo scopo di studiare la lingua russa da una stipendiata dell’Istituto di Pushkin a Mosca. Dalla mia prima gioventù sono stata attratta dalla cultura e dalla letteratura russa. Inoltre c’erano dei motivi politici: a quei tempi Firenze aveva la fama di città rossa. Tanti movimenti politici di allora vedevano nell’Unione Sovietica un certo paradiso terrestre. Dopo un anno di permanenza capii che neanche qui esisteva un paradiso, ma c’era al contrario un’anima russa! È qui che ho trovato un secondo posto a me caro.

La laconicità del paesaggio russo, la luce bianca, gli immensi boschi di betulle, l’orizzonte ampio e sempre lontano, certe icone e le chiesette, e in particolare l’incredibile ricchezza umana con le miriadi di volti diversi. E ancora, l’umiltà dell’uomo russo, la sua cultura e profonda spiritualità. Sono queste le cose che mi rendono così cara la Russia, che se pur tormentata da una storia dolorosa, veniva definita dalla poetessa Marina Cvetaeva “il Paese dell’anima”.

Qualche anno fa sono stata ospitata per un mese da due monaci ortodossi in piccolo villaggio vicino alla città di Pskov. È una regione nordica dove le condizioni di vita sono estremamente dure. Durante l’estate corta e ventosa è assolutamente necessario prepararsi bene per il futuro lungo e duro inverno. Tali condizioni climatiche hanno un’enorme influenza sull’uomo e la sua psiche. Sembra che tutto attorno esista per farti capire come sei piccolo e fragile in questo mondo.

Ma voglio dire ancora dell’altro: I monaci, al loro arrivo tanti anni fa, si sono stabiliti in una casa contadina, molto vecchia e malandata. Però dapprima hanno iniziato a costruire una bellissima chiesetta per il villaggio e solo dopo hanno rinnovato la loro casetta. Voglio sottolineare com’è importante questo aspetto! Prima di tutto loro creano un elemento spirituale, dopodiché pensano alle cose materiali. In questo fatto si esprime proprio la mentalità russa, e questo elemento mi attira moltissimo. In Italia, a differenza della Russia, c’è la sensazione della certa leggerezza della vita, dove il seme caduto in terra occasionalmente diventerà senza grande difficoltà un pomodoro. Oggi mi sembra che tale leggerezza sia irreale e lontana dal resto della vita.

Quando nel 1991 ho vinto per la seconda volta una borsa di studio presso il Ministero degli affari esteri, nell’Unione Sovietica è successo un colpo di Stato e a noi stipendiati stranieri è stato proibito di entrare. Ma personalmente mi sentivo di partire; sono riuscita ad arrivare e non sono più andata via.

Domanda: Lei è venuta qui quale pittrice già formata, e questo cambiamento culturale e spaziale ha avuto un’influenza sulla sua pittura?

E. C.
: Senz’altro. Con parole semplici, in Italia il quadro si costruiva in volume, con l’evidente prospettiva e con tanto contrasto tra la luce e l’ombra. In Russia la tecnica ha avuto uno sviluppo diverso: la struttura della superficie era più grafica, appiattita (parliamo delle icone), con una prospettiva inversa. Penso che questa diversità dipenda spesso dalla diversità degli spazi naturali e fisici dei mondi italiani e russi. Qui, in Russia, il volume spaziale a volte sparisce completamente, perde di peso: questo fenomeno si percepisce particolarmente forte in inverno, durante il giorno scuro sulla neve bianca. Quindi, questo particolare ha di conseguenza i suoi effetti nell’arte pittorica. Sono convinta che l’arte espressiva sempre dentro di sé porti l’impronta antropologica, metafisicamente legata allo spazio della sua nascita. Per esempio, la musica di Shostakovich e di Vivaldi ha un valore universale. Al tempo stesso è molto nazionale. Nella prima si sente la laconicità della natura russa, nella seconda l’abbondanza della natura italiana.

Domanda: Le Sue opere reali sono molto diverse dalle riproduzioni in stampa o dalle pubblicazioni in Internet...

E. C.
: Sì, infatti nelle riproduzioni spesso resta solo la composizione generale, in quanto la testura della pittura quasi sparisce... Questo effetto dipende dalla tecnica che uso durante il lavoro con gli strati sottili di colore e ancora più sottili sono i passaggi nell’eseguire l’immagine interiore. Per questo motivo il mio ritmo di lavoro, quotidiano e regolare, col tempo rallenta sempre più, chiede dei momenti di contemplazione... Oggi, in un anno, finisco soltanto un paio di quadri, però dentro di loro c’è maggiormente la profondità del tempo. Perché il tempo è anche uno spazio, non esterno, ma interiore. Non è facile spiegarlo con le parole, meglio guardare i quadri. Chi li osserva, riesce a scoprire questo spazio a diversi strati. Però tale profondità si raggiunge grazie al lavoro lungo e lento.

Mettendo degli strati finissimi, quasi trasparenti e invisibili, la materia stessa si assottiglia, sembra sparire. Allora si costruisce l’immagine più con la luce che con i colori. Proprio la luce guida e definisce la mia pittura. Costruendo la composizione del quadro, uso le leggi della prospettiva e gli elementi plastici più piatti. E qui la mia conoscenza e l’esperienza dei spazi naturali, culturali e artistici italiani e russi mi permettono di creare la particolare spazialità pittorica.

Domanda: Però lei trova tempo anche per l’insegnamento dell’estetica ai bambini...



E. C.
: Sì, da piccola amavo educare e insegnare. Sono nata in una grande famiglia. In quanto nono figlio, all’età di tre anni ero diventata già zia. Oggi sto aspettando il 29° nipote! Tutta la vita mi trovo tra i bambini. È una grande fortuna. Però ho rinunciato a creare una famiglia mia per evitare la continua rottura tra il richiamo alla pittura e l’impegno famigliare, che considero come un immenso lavoro, in particolare con la nascita del bambino e il bisogno di far crescere in lui “un uomo”. Ho fatto la mia scelta e non la rimpiango, perché posso dedicarmi totalmente alla pittura e al lavoro pedagogico.

Domanda: Com’è nato il progetto artistico per un orfanotrofio?

E. C.
: Sin dal principio. Sono convinta che nella vita è meglio stare là dove c’è il più grande bisogno di te. Quando decisi di realizzare il mio “laboratorio dell’arte” per un orfanotrofio cominciai a cercare il posto. Il progetto è stato sostenuto finanziariamente dall’inizio fino ad oggi da cari amici italiani e russi, da miei famigliari, dalla Associazione delle donne italiane presso l’Ambasciata italiana a Mosca. Senza questo aiuto il mio laboratorio non potrebbe esistere.



Del mio lavoro e della metodica di insegnamento potrei parlare a lungo, ma la base ancora una volta è la bellezza. La mia esperienza didattica ventennale mi ha convinto che ogni allievo, bambino o adolescente, necessita di sviluppare la sensibilità e l’“intelligenza estetica”, soprattutto se il bambino si trova in una situazione difficile. Lo scopo del laboratorio è di aiutare il bambino a capire il mondo e ad imparare a collaborare con esso tramite la bellezza, definita come la categoria estetica e il valore etico.

Domanda: Lei spesso usa il termine “la bellezza”; ma che cos’è la bellezza?

E. C.
: Il senso del bello e la sua ricerca, la sua realizzazione (dall’abbellimento della casa fino alla costruzione di una chiesa) sono talmente congeniti all’uomo; egli, come parte del mondo, percepisce la sua bellezza corporea e metafisica, è trapassato dalla bellezza, sente il bisogno di lei e la respira! Alla domanda “Che cos’è la bellezza?” l’uomo ha cercato di rispondere dall’antichità fino ad oggi, perché è una tra le domande essenziali della vita. Nei Dialoghi di Platone questa parola si colloca vicino al “bene” ed al “giusto”. Non per questo è più facile di trovare la risposta. Penso che ognuno di noi sa intuitivamente che cos’è bello, come sa cosa sia bene e giusto. Stendhal semplicemente scrisse: “La bellezza è una promessa di felicità!”.

Sono convinta della positiva influenza della bellezza sull’uomo: il brutto riduce le sue capacità creative, conduce alla passività e all’apatia o, peggio, all’aggressività. La bellezza, al contrario, rafforza la volontà e il potenziale creativo, regala la gioia e la tranquillità, aiuta a superare le difficoltà e le disgrazie, e alla fine conduce l’uomo al bene e all’amore. Per questo lo spazio del laboratorio artistico dev’essere bello fin nei piccoli dettagli: dai colori delle pareti, alla qualità degli attrezzi. Tutto è stato pensato per invitare i bambini nel caleidoscopio della bellezza: lo spazio, la musica, gli odori... Nel laboratorio tutto è sempre pulito, nell’aria si sente il profumo di lavanda; ci sono tanti giochi da tavolo. Ho cercato di fare in modo che ogni dettaglio sia funzionale e bello. Anche l’elemento spirituale gioca un ruolo importante: i miei amici monaci di Pskov hanno costruito un krasnij ugol (angolo sacro in una casa contadina, secondo la tradizione ortodossa russa) con meravigliose sculture di angeli in legno fatte dagli artigiani di Pskov. Hanno fatto anche una bella raccolta di album sulla natura e sull’arte.

Dal lato tecnico, ai miei allievi propongo un alto livello professionale. Non amo lavorare con del materiale scadente. Voglio che sin da piccoli si abituino ad apprezzare gli oggetti di qualità, imparino la differenza tra un colore buono e quello scadente.

Poco tempo fa abbiamo organizzato un’esposizione: “Piccola bellezza”, fatta dalle opere eseguite da bambini. Ho fatto incorniciare i lavori come dei veri quadri. La mostra ha avuta un’enorme successo nell’orfanotrofio. Vorrei che questa mostra diventasse itinerante, per mostrarla fuori delle mura della loro casa, perché per i bambini questo fatto sarebbe un segno sicuro di un riconoscimento da parte del mondo, il quale li aiuterebbe a crescere nella loro autostima. Pensiamoci, che destino li aspetta dopo l’orfanotrofio? La maggioranza di loro diventerà una parte invisibile della società. Lei capisce com’è importante oggi per questi bambini un raggio di riconoscimento?

Interessante è il fatto che i maestri e gli psicologi dell’orfanotrofio sono stati particolarmente sorpresi, perché non riuscivano a credere che tale bellezza fosse creata dai loro allievi. Certo, ammetto che a volte li aiuto, perché non tutti e sempre riescono a lavorare indipendentemente, ma nello stesso tempo cerco di far capire che devono impegnarsi a fondo. Vede, spesso accade che gli orfani si abituano a essere poco stimolati al lavoro. Di conseguenza, la loro volontà interiore non ha possibilità di sviluppo. Perciò a volte da parte mia è richiesto tanto sforzo per convincerli a lavorare bene e con il pieno impegno. Purtroppo, negli ultimi tempi, nella corruzione della loro volontà e nella distruzione della loro debole coscienza prende sempre più importanza il ruolo svolto dai gadget moderni, che loro li usano senza ragionevoli scopi.

Quando tre anni fa cominciai a lavorare in questa struttura non pensai che qui avrei incontrato una tale quantità di sofferenza. Quando nutro dei dubbi nella forza della bellezza, ci sono dei che momenti mi buttano giù! Sembra che, con tutto il suo potere, essa non potrà penetrare nel muro della sofferenza di tale dimensioni. Comunque, nonostante tutto ciò, continuo a credere nella bellezza. Prima di tutto vorrei che i miei allievi si ricordino per sempre le nostre lezioni sulla bellezza, che diventino per loro un appoggio vitale, e che non dimentichino mai che nel mondo esiste la vera bellezza!

Domanda: Cos’è che le sembra più difficile nella realizzazione del Suo progetto didattico?

E. C.
: Costruire i giusti rapporti con i bambini, sia nell’ armonia che nella collaborazione. Non bisogna dimenticare che loro escono da situazioni famigliari difficili, sono stati abbandonati, spesso sono malati e a volte “non sono belli”. Per questo si sentono spesso delle “vittime”. Di conseguenza sviluppano la passività, la volontà debole e una forte confusione di coscienza. Gli orfani si abituano sempre ad aspettarsi qualsiasi cosa dagli altri. Nei lavori e nei contatti con loro è molto importante non cascare in tale trappola (come ad esempio succede con i volontari). È necessario costruire con loro un rapporto come con delle persone normali, dalle quali ci si può aspettare il lavoro e la iniziativa, altrimenti si rischia di peggiorare il loro stato psicologico di “vittima”. I bambini capiscono perfettamente l’atteggiamento degli adulti e reagiscono secondo il rapporto che gli viene proposto.




I disegni dei bambini dell’orfanatrofio di Mosca, commoventi nella loro “purezza”


Domanda: Come vede Lei il Suo futuro? In quale direzione vorrebbe crescere personalmente?

E. C.
: Come sempre, per me sarà importante concentrarsi sul lavoro pedagogico e sulla pittura. Inoltre vorrei realizzare il mio progetto italiano: creare un museo proprio nel mio villaggio. Per questo scopo mio fratello mi ha regalato un bel pezzo di terra! Sono molto grata alla famiglia, ai fratelli consenzienti con la mia scelta di vita e per il loro aiuto finanziario, senza il quale non potrei sopravvivere. Non vivo della vendita dei miei quadri, perché mai ho pensato di farli per scopo commerciale. Non condivido le leggi del mercato, le quali fanno sì che le opere d’arte vengano convertite in merce. Secondo me, le opere artistiche devono essere dei doni all’uomo! Vorrei tanto che il mio futuro museo possa diventare tale dono. Lo vedo diverso dai soliti musei, spesso somiglianti “ai cimiteri dell’arte”.

Da tempo raccolgo il materiale per un libro dedicato, appunto, alla bellezza, dove potrei esprimere le mie esperienze didattiche e pedagogiche. Oggi siamo arrivati a tal punto che al posto della domanda “Riuscirà la bellezza salvare il mondo?” dobbiamo mettere l’altra: “Riusciremo noi o no a salvare la bellezza dal nostro mondo umano?”. Questa domanda è estremamente attuale!

Benché in ogni angolo si aprano dei saloni di bellezza e si aumenti l’estetizzazione della vita quotidiana, spesso priva di buon gusto, diventata un fenomeno molto diffuso nella moderna società consumista, la bellezza vera sta sparendo.

L’uomo moderno, con il suo modus vivendi, imbruttisce tutto attorno a sé con velocità crescente: distrugge la natura e perde i valori morali. La situazione è molto grave forse perché l’uomo di oggi vive senza una categoria che i greci antichi avevano quale principale riferimento, la definizione di “misura”.

È probabile che l’uomo della nostra epoca abbia le stesse capacità di fare il bene e il male come i suoi antenati. Tuttavia, con l’incredibile progresso tecnico e tecnologico, oggi, come mai avevamo in passato, abbiamo i mezzi talmente potenti per il consumo “illimitato” e pazzo delle risorse naturali e umane, impiegati nell’avvelenamento e nella distruzione di tutto, inclusa la coscienza umana.

Ai nostri tempi, mai come prima, diventa molto importante far crescere la responsabilità di ognuno di noi verso non solo il vicino, bensì la natura generale. È assolutamente necessario imparare l’arte dell’autolimitazione: primo passo verso l’amore e la giustizia. Nessuna politica è possibile senza questo passo. Riusciremo o no a salvare il mondo con la nostra condotta morale?

In chiave di risposta vorrei citare il ragionamento di Marina Cvetaeva, pubblicato nel giornale per i bambini nel 1937:

- Mai, bambini, versate inutilmente l’acqua, perché nello stesso momento nel deserto qualcuno sta morendo per la sua mancanza.

- Ma a lui non aiuterà il fatto che io qui non verso questa acqua.

- Si, ma nel mondo ci sarà un crimine insensato di meno!


Se pensiamo in tale prospettiva possiamo concludere che ogni azione contraria al flusso “dei crimini insensati” (che la gente fa spesso in modo inconscio) diventa prima di tutto un’ azione etica. Forse non salva il mondo ma senz’altro lo migliora, aumentando il bene in esso. A mio avviso sarebbe già sufficiente questo per credere nel senso della responsabilità individuale e della “resistenza individuale”.

Da artista, tramite i miei quadri, vorrei innanzitutto poter attirare lo sguardo delle persone, spesso veloce e disattento, verso la bellezza e la sofferenza che attraversano non solo la vita umana ma anche quella del mondo naturale.


Elide Cabassi, Barriere, 1990


Penso che la bellezza, da sola, non salverà il mondo, ma la sua contemplazione può dar gioia all’uomo, consolarlo, lo può inclinare verso la bontà (come scrisse Leonardo) e la giustizia, che a sua volta sono uniche e preziose possibilità dell’uomo per diminuire l’immenso dolore che accompagna l’esistenza umana.

Da insegnante vedo il mio compito principale nella salvezza della bellezza e del puro nell’anima del “piccolo uomo”.

Intervista a cura di Aidar Fachrutdinov
Traduzione per EFFEDIEFFE.com a cura di Margarita Nekrassova
Fotografie provenienti dall’archivio di Elide Cabassi
Fonte russa >
erazvitie.org



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