Tutto secondo copione. Con qualche risposta
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«Buona Sera Direttore, come mai solo in questo blog tutti abbiamo indovinato che i “killer” sarebbero stati uccisi??».

Così un lettore. Ebbene sì, dà soddisfazione a volte riuscire a prevedere — vuol dire che si hanno le chiavi giuste per comprendere. E ridersi del clamore che fanno i media, tutti sintonizzati sulla versione ufficiale, ripugnanti servi e agitatori delle emozioni basse. Sì, i fratelli Kouachi sono stati uccisi — esattamente come avevamo previsto, da un’irruzione di teste di cuoio. Eppure non tenevano ostaggi, come invece l’altro, quel Coulibaly negro, nel negozio kasher.

Per «liberare gli ostaggi» lì, gli agenti o teste di cuoio sono state scatenate, ottenendo la morte di quattro ostaggi (complimenti). Ma coi Kouachi, si poteva prendersela calma, vedere se si riusciva ad arrestarli vivi, per interrogarli poi. Ah già, sento la versione dei media: avevano detto fin dall’inizio di voler morire da martiri. Ebbene, anche questo avevamo previsto.

Il fatto che li si sia dovuti ammazzare, ritengo, è la prova che non sono stati loro a compiere il geometrico, freddo, professionale massacro dei vignettisti.

Che non fossero loro, del resto, era già abbastanza chiaro dalla carta d’identità che uno di loro avrebbe abbandonato nella Citroen nera con cui gli attentatori sono partiti dal luogo della strage.

Il depistaggio raffazzonato

La carta d’identità «smarrita» era un depistaggio, escogitato per confondere le acque e inchiodare i Kouachi come gli esecutori. Ma poi, di chi era la carta d’identità smarrita? Secondo le prime notizie, era di Hamyd Mourad, un diciottenne, fratello di una fidanzata di uno dei Kouachi. Ecco come hanno dato la notizia i media:

«Un portavoce della Polizia ha detto cheHamyd Mourad si è presentato alla stazione di Polizia di Charleville-Mézières,oltre 200 chilometri a nord est di Parigi, e si è arreso».

Arreso? Il ragazzo s’è presentato spontaneamente, ha spiegato che in quelle ore era a scuola, ed ha potuto dimostrarlo (i suoi compagni di scuola confermano). Ha fatto benissimo, Hamyd, altrimenti adesso sarebbe cadavere insieme ai due «complici della strage». Si stava accreditando la notizia che lui era l’autista della Citroen. Mentre nel video di Stein (il giornalista israeliano che era lì per caso) si vede benissimo che nella Citroen erano solo in due. E uno dei due si mette alla guida. Se ci fosse stato l’autista, sarebbe salito dalla portiera posteriore.

Andato un po’ a male il depistaggio, si è rettificato — o precisato: contrordine, la carta d’identità dimenticata era di Said Kouachi, uno dei fratelli. La BBC ha persino fatto vedere il documento:



Come dubitare della BBC?

Alcuni media: «La clamorosa dimenticanza ha suscitato numerose fantasie complottiste (...) ma la dimenticanza di Said Kouachipuò essere spiegata in modo razionale, e perfino banale. Una psicologa dell’Accademia militare del Politecnico federale di Zurigo, Nadine Eggimann, spiega a 20 Minuten come l’errore di Said Kouachisia possibile. “Nelle situazioni di grandi stress molte persone si concentrano sulle cose fondamentali, come la fuga. Altri aspetti invece escono dall’attenzione principale, e la carta di identità dimenticata ne è un esempio”».

Adesso abbiamo anche la psicologa del Politecnico di Zurigo arruolata a smentire i complottisti. Che cosa volete di più? Segno che bisognava correre ai ripari, dopo questa sbavatura.

I terroristi hanno telefonato alla tv BFM

E se avete ancora dei dubbi, ecco qui i terroristi che si auto-accusano poco prima di morire: «Il network BFM-TV ha contattato, il 9 gennaio venerdì in mattinata, uno degli assassini, Cherif Kouachi. Secondo il network tv, Cherif Kouachi, in quel momento trincerato nella stamperia di Dammartin-en-Goele, ha affermato di essere inviato in missione da «”Al Qaeda in Yemen” e di essere stato nello Yemen in passato». Insomma Cherif è già asserragliato col fratello nella stamperia dove la polizia lo circonda, e parla con BFM-TV. Chiamato al telefono, risponde.

Non basta: BF-TV «s’è intrattenuta con Amedy Coulibaly attorno alle 15», ossia quando l’altro attentatore, il nero, era chiuso con gli ostaggi nella bottega kasher a Parigi. È anzi lui, Coulibaly, a contattare la redazione di BFM. Accerchiato, vicino alla morte, dopo aver ammazzato già quattro ostaggi, alza il telefono e chiama BFM per affermare di essersi «sincronizzato con gli assassini di Charlie Hebdo: “loro Charlie Hebdo, io i poliziotti”, ha dichiarato alla rete. E si è dichiarato membro dello Stato Islamico, organizzazione tuttavia rivale di Al Qaeda».

Chi potrebbe dubitarne? Magari solo qualcuno che conoscesse le voci vere dei due assassini e morti ammazzati. Noi no, dobbiamo credere sulla parola che erano proprio Kouachi e Coulibaly a parlare.

Alain Weill
  Alain Weill
È comunque uno scoop pazzescamente grandioso, quello di BFM-TV: un’impresa da restare nella storia del giornalismo. Pari solo alle scoperte del SITE, il celebre sito di Rita Katz che ha sempre scoperto per primo i messaggi di Bin Laden. Viene la curiosità di vedere che cos’è questa BFM-tv. Wikipedia ci informa che è una tv digitale e satellitare, esistente dal 2005, molto vivace. Suo fondatore e padrone e direttore generale è Alain Weill, uomo d’affari con le mani in pasta anche in radio Monte Carlo, naturalmente ebreo. Non sono riuscito a stabilire se è parente della dinastia dei banchieri Weill, padroni della Lazard Fréres.

«Come mai non li hanno fermati?»

È la domanda che pongono i media, tema di ripetitivi talk shows: i terroristi pluriassassini erano ben conosciuti alle polizie, andavano e venivano dalle galere francesi, andavano e venivano dallo Yemen, dalla Siria... anzi (dai media): «Coulibaly era già noto ai servizi dell'antiterrorismo francese. Sia lui che Cherif Kouachi, uno dei due autori della strage a Charlie Hebdo, erano fra i principali discepoli dello jihadista Djamel Beghal, condannato per terrorismo, che faceva proseliti per gli estremisti takfir, una setta all’interno della comunità salafita». Per di più, i due fratelli erano nella lista USA dei terroristi... Com’è che li si lasciava circolare? Perché non li si è fermati in tempo?

Domande, domande. Domande a cui non si possono dare risposte presentabili sui media, perché turberebbero la bella distinzione fra «islamisti cattivi» e «servizi occidentali buoni»; la loro natura di nemici assoluti potrebbe venirne oscurata.

Voglio dire che qui entriamo nell’ambiguissima, inconfessabile «grande opera» delle polizie e dei servizi, francesi in primo luogo, ma non solo. Piccoli delinquenti di vaga origine musulmana che, una volta in carcere per droga, vengono indottrinati, radicalizzati; incontrano «mentori» con le mani in pasta nel jihadismo. Alcuni, sono forniti di formazione militare, vengono arruolati per combattere Assad in Siria, secondo le direttive di Hollande; altri, i migliori, per infiltrare i gruppi jihadisti e riferire, fare il doppio gioco, provocare. A tenere le fila dell’una e dell’altra rete sono sempre i servizi (abbiamo qualche prova). Alcuni sono soldati di Francia, altri non sanno di esserlo. E i takfiristi arruolati ed infiltrati, sono eminentemente spendibili. Se necessario, il loro capostazione li abbandona. La copertura sparisce, e così la protezione. I numeri soliti non rispondono più. Le case sicure restano irraggiungibili. Entrano in scena le teste di cuoio.

È una mia fantasia? No, è una notizia. La dà Meyssan: «Secondo il quotidiano statunitense McClatchy (con buoni agganci al Pentagono, ndr), i fratelli Kouachi sarebbero legati ai servizi francesi. Come Mohammed Mehra».

Mohammed Mehra
  Mohammed Mehra
Eccone un altro. Mohammed Mehra è morto dopo un assedio delle teste di cuoio durato 32 ore; hanno dovuto ucciderlo, era un pericoloso jihadista. Francese d’origine algerina, 24 anni, aveva massacrato tre soldati francesi e poi quattro ebrei di una scuola ebraica a Tolosa, nel 2012. Aveva viaggiato molto in Afghanistan in Pakistan, in Israele... un ventenne che di mestiere faceva il carrozziere. Con quali soldi? Per indicazione di chi? Per infiltrarsi oppure per combattere da jihadista?

Apparentemente, un assassino solitario. Ma perché McClatchy insinua che Mehra era un «asset» dei servizi segreti? E perché un asset dei servizi si mette ad ammazzare militari francesi ed ebrei francesi? Forse la risposta dovrebbero darla gli psichiatri. Gli psichiatri militari, che sanno la tensione psichica che sopportano gli agenti sotto copertura, lacerati con il tempo da una doppia lealtà. Chissà. Mehra s’era asserragliato anche lui, «Allahu Akbar», etc etc. Tutto secondo copione.

Fatto sta che McClatchy dice: anche i Kouachi, come Mehra, erano al servizio dei francesi. Erano stati entrambi «reclutati dall’artificiere del sotto-gruppo Khorasan di Al Qaeda».

David Drugeon
  David Drugeon
L’anno scorso, lo stesso McClatchy aveva rivelato l’esistenza di un infiltrato francese nelle file di Al Qaeda in Siria, stesso gruppo Khorasan. Non era affatto un musulmano, si chiamava David Drugeon, ed era – dissero gli americani – un militare francese «convertito» all’Islam. I servizi francesi avevano smentito duramente: Drugeon non era né un loro soldato, e nemmeno un loro agente infiltrato.

Fatto sta che recentemente, «il 6 novembre 2014, Fox News annunciava che David Drugeon era stato ucciso». E non da jihadisti che avevano scoperto la sua vera natura, no : «Da un drone americano, a Sarmada (Siria).». E Fox News reiterava l’accusa secondo cui Drugeon lavorava per i servizi francesi.

Un omicidio mirato, molto mirato.

L’ingenuo si domanderà: ma come? Gli alleati americani eliminano un agente infiltrato degli alleati francesi? Che sta combattendo la stessa lotta contro «il terrorismo jihadista»? Le risposte a queste domande possono essere molte. Forse troppe. Ne tentiamo una.

I francesi, con sei milioni di cittadini di faccia e tipo maghrebino, per lo più leali cittadini, arruolati nel servizio militare, sono molto ben posizionati per metter le mani e gli occhi nelle file jihadiste che combattono in Siria, Iraq, sia come veri jihadisti, sia come informatori per il Quai d’Orsay o il DGSE. Sicuramente molto meglio forniti che gli americani che non hanno tanto personale. I francesi sanno di più, e hanno migliori rapporti coi ribelli siriani, o libici, o di Al Qaeda? È più che possibile. O le loro spie infiltrate osservano e riferiscono cose che Washington non vuole si sappiano? Magari raccolgono prove compromettenti sugli aiuti che gli americani danno a DAESH, o quali che siano i terroristi preferiti dal Dipartimento di Stato?

Magari ognuno dei servizi ha i suoi terroristi preferiti, ciascuno se li coltiva e non vuole mostrarli all’altro. Va a sapere come avviene questa lotta al terrorismo jihadista, con i jihadisti che vengono armati e finanziati da europei ed americani per abbattere il regime laico di Assad. Non è una bella guerra, nobile e limpida. È una sporca faccenda oscura.

Gli americani hanno voluto punire i francesi eliminando Drugeon. «Gratificano i terroristi, sono il Paese peggiore nel gioco coi terroristi», come ha detto Alan Dershowitz: alludendo a collusioni, collaborazioni che agli americani non piacciono. Ma allora, è possibile intuire che forse anche gli israeliani hanno voluto punire i francesi – i servizi – per qualcosa che non gli è piaciuto.

Un altro professionista

Viene in mente l’eccidio al museo ebraico di Bruxelles, il 24 maggio 2014. Un uomo estremamente ben preparato – come i massacratori di Charlie Hebdo – entra a passo elastico con una borsa da ginnastica, da cui estrae un kalashnikov; spara ed uccide tre persone; se ne esce tranquillo e deciso, con aitanza militare, a piedi; e fa sparire le sue tracce.

Due degli uccisi, i coniugi Emanuel e Miriam Riva, erano agenti del Mossad, e il lavoro al museo era la loro copertura (ecco a cosa servono i musei dell’Olocausto).

Nei giorni seguenti, si poteva immaginare lo sgomento di alcuni uccisi israeliani. Azioni del genere le facciamo «noi»; e se non siamo stati «noi», chi è stato?

Poi si è saputo che lo sparatore freddo e calmo si chiama Mehdi Nemmouche, 29 anni, francese di origine algerina; anche lui reduce dai combattimenti siriani a fianco dei jihadisti, poi tornato in Francia (sembrano fatti con lo stampino, questi takfiri della République).



Anche dopo aver sparato a Bruxelles, il nostro uomo è tornato in Francia. Precisamente, preso il treno in Belgio, è arrivato a Marsiglia, mille chilometri più a sud. E solo lì s’è consegnato. Con tutte le sue armi, il kalashnikov, un revolver cal-38, una maschera antigas, 330 proiettili, ricambi per le armi, una macchina fotografica che aveva sistemato sul petto per uccidere, onde portare una prova dell’azione.

A chi? Sicuramente ai suoi referenti in Francia. Dove ovviamente l’hanno arrestato. Il Belgio esige da tempo la sua estradizione. Non risulta che i francesi l’abbiano concessa: non vogliono perdere il loro bravo terrorista islamico. Il quale sapeva benissimo che gli conveniva consegnarsi a Marsiglia anziché a Bruxelles. O gli era stato ordinato, e un bravo soldato obbedisce. Non si è fatto asserragliare né uccidere gridando Allahu Akbar, lui.

Un vero professionista, come quelli che hanno sterminato Charlie Hebdo e che non hanno perso alcuna carta d’identità.

Forse stiamo assistendo ad una serie di vendette e ritorsioni fra servizi? Atti di una guerra ben lontani dalla versione limpida e chiara passata dai media? Chi lo sa.

Del resto, la mia è solo un’ipotesi. Di un complottista. Meglio ascoltare gli opinion makers mainstream. Lucia Annunziata che ripete «Siamo in guerra», la Berlinguer che ritiene necessario ormai adottare misure che limitano la nostra libertà per avere sicurezza, un tizio su un tg di Berlusconi che tuona esigendo: «Forti misure restrittive»... Come profetizzava Meyssan, si vuol far passare anche in Europa una replica del Patriot Act americano; controllo dei cittadini ancor più intrusivo, ordine pubblico più duro, polizia militarizzata con autoblindo. Tutto secondo le direttive americane ed israeliane, che fino ad ieri non volevamo ascoltare.

Eh sì, ascoltiamo il neocon Ferrara ieri sera a Servizio pubblico: «Gli estremisti vogliono intimidire l’opinione pubblica europea. Gli islamisti sono omicidi. Non è terrorismo, è guerra santa islamica contro l’Occidente cristiano e giudaico. Se lo negate siete un branco di coglioni». La voce del padrone.



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