Ascetica Cristiana, il testo che oggi presentiamo, è un’opera unica, in cui si avverte una profondità che supera i canonici concetti di metafisica, perché il Landucci, padroneggiando la materia filosofica ai più alti livelli, la semplifica, la riadatta riuscendo a piegarla ai suoi scopi migliori, utilizzandola come un docile strumento per sondare abissi teologici inesplorati.
Questo libro è la più perfetta e combaciante conclusione del recente testo Spiritualità contro Psicoterapia di don Curzio Nitoglia: laddove il testo di Nitoglia introduce l’argomento dell’ascesi come mezzo di risanamento della vita cristiana, il Landucci estende fino al Cielo quegli strumenti di riconversione avviati sapientemente da don Curzio.
Ascetica cristiana comparve una sola volta presso i tipi di una realtà culturale cattolica, precisamente nel lontano 1959, all’interno di una raccolta di scritti curata da Mons. Antonio Piolanti dal titolo La Chiesa nel mondo. È un testo sconosciuto, anche ai più noti estimatori di Landucci. Oggi, come scrive il postulatore Capuzza nella sua introduzione, quest’opera può essere finalmente riportata alla luce, per farla conoscere al popolo cattolico nell’integrità del suo splendore mattutino.
Attraverso questo scritto il servo di Dio descrive tutto il fascino che scaturisce dall’incontro presenziale dell’anima con Cristo, la portata della nostra vocazione di creature redente, e il dono dell’esistenza che ci viene costantemente trasmesso, istante dopo istante, da Dio.
“Essendo Dio – scrisse Landucci – la perfezione e quindi il Sommo esemplare della Santità, l’ascetica cristiana può intendersi come esercizio e itinerario dinamico, perfezionato dal Vangelo, per avvicinarsi ed assimilarsi a Dio”.
L’approfondimento di questi fatti porterà alla scoperta della nota più originale del cristianesimo e dell’ascetica: il contatto binomiale ed intimo di ognuno col “suo” Redentore, che per ognuno si immola; contatto stimolante all’imitazione. Il cristianesimo, sia operativo che speculativo, è proprio questo nella sua essenza profonda; lo insegnarono S. Francesco e S. Chiara con la loro Regola, molto esigente appunto perché semplicissima: il desiderio della più intima unione con Dio mediante l’imitazione più perfetta dell’Uomo-Dio.
Quello che Landucci spiegherà al lettore sarà dunque l’aspetto più fondante ed incredibile a cui la teologia è capace di innalzare la mente dell’uomo, ovvero il concetto dell’operosità intima di Dio in noi, un concetto che rapisce e sconvolge, e che il santo sacerdote romano, dall’alto della sua preparazione teologica, riuscirà a tradurre con sovrabbondante chiarezza, come fecero i due santi di Assisi nella loro pratica monasteriale quotidiana. Fu così anche nella vita sacerdotale di mons. Landucci, il cui stile autoriale esprimeva pienamente la sua intima congiunzione con Dio, da cui nasceva e si diffondeva la testimonianza del suo sacerdozio nel rendere in opere ciò che egli contemplava nello spirito.
Un solo esempio – tratto dal capitolo 6 dell’opera che oggi presentiamo – renderà bene l’idea di come il Landucci sintetizzi nel suo testo una grandiosa visione di cosmologia universale della salvezza, che egli chiamerà “anelito cosmico”:
La vita: un punto sacro
«Potremmo simboleggiare la vita come una sfera che poggia per quell’unico punto sul piano del tempo. Rotolando su di esso vi lascia una traccia che è l’itinerario della vita passata, ma ogni momento poggia sull’ultimo punto di tale linea, che è l’istante presente.
I tratti futuri non ci sono ancora. La vita è il fluire di tale istante. Ecco perché una visione ascetica esatta di esso risolve il problema di tutta l’ascetica. Tale istante va visto prima di fronte a Dio Creatore e poi di fronte a Gesù Redentore. La prima considerazione deve essere abbastanza ampia, per illuminare a sufficienza la seconda.
(…) La conclusione, di enorme importanza ascetica, è che Iddio opera continuamente in noi e nel cosmo intero, donandoci ad ogni istante l’esistenza e sostenendoci in ogni operazione.
(…) L’operante onnipotenza divina è mobilitata nella sua infinità per la creazione e conservazione dell’essere tanto della più grande stella del firmamento quanto del minimo granello di polvere di questo tavolino. La sospensione della sua azione conservatrice farebbe cadere nel nulla tanto quella stella quanto questo granello. Il titolo metafisico della divina presenza è nei due casi identico. Dio è presente dunque — totalmente, perché indivisibile — anche in quel granello di polvere. Eppure — contro la tremenda tentazione del panteismo — Egli è inconfondibile con le cose operate, dalle quali si distingue come la causa dall’effetto.
(…) Così, indipendentemente dall’insignificante questione della posizione e dimensione quantitativa della terra e delle proporzioni quantitative dell’uomo, ricompare in pieno e con più profonda visione l’antico antropocentrismo dell’universo: l’uomo giustificazione della creazione. Il che ne esalta la grandezza e la responsabilità.
Tutto ciò ha la sua concretizzazione nell’istante presente. In ogni istante, cioè, Iddio produce il nostro essere e sostiene il nostro operare, come produce e sostiene il resto del cosmo. Ogni istante arriva a noi come divino dono, carico della luminosa responsabilità del “fine” ultimo della divina gloria e del fine prossimo o “modo” della divina volontà: fine e modo che si possono chiamare rispettivamente legge e regola cosmica.
(…) Si ha così la visione sacra e grandiosa dell’universo, non soltanto come portante ovunque il sigillo del divino operatore, non soltanto cioè come tutto sgorgato dalla divina mano, ma come donato direttamente, di presenza, dalla sua stessa mano. Ogni creatura da noi usata va presa dunque con somma riverenza dalla mano stessa di chi l’ha fabbricata: Dio. Quando ne abusiamo, per peccare, la strappiamo dalle sue stesse mani e la riprendiamo moralmente dalla mano di satana».
Il testo (che nella nostra edizione conterà 168 pagine) è stato organizzato dal Servo di Dio in 39 piccoli capitoli interconnessi tra loro come in un grande affresco, tra i quali, nel cuore mediano dell’opera, il Landucci descriverà alcuni aspetti della spiritualità di portata così unica e profonda che al lettore sembrerà di poter sensibilmente accorciare la distanza tra cielo e terra, tra temporalità ed eternità.
Intermezzi come Trilogia dell’istante presente (cap. 16), Dietro il velo delle apparenze (cap. 17), Gesù vita dell’anima (cap. 18), Il paradiso in boccio (cap. 19), L’inferno in germe (cap. 20), La perla divina (cap. 21), e L’enigma della vita ascetica (cap. 22), solo per citarne alcuni, faranno intravedere al lettore la luminosa prospettiva di un paradiso promesso, proporzionato alla sua progressiva e ricercata inesione a Cristo.
Estrapoliamo un secondo esempio dal libro, tratto dal capitolo 21 dal titolo La perla divina, nel quale si sottopone all’attenzione del lettore una nota alquanto sorprendente, una delle tante gemme del maestoso pensiero del Landucci:
«Se il peccato mortale, spezzando la inesione vivifica a Cristo, la distrugge, verrebbe spontaneo di pensare, per contrapposto, che il peccato soltanto veniale, il peccato cioè piccolo e non incompatibile con l’abituale legame di carità con Dio, pur non distruggendo tale inesione e il corrispondente possesso del divino bene, lo diminuisca. Ciò sembrerebbe naturale anche per il fatto che ciò che in terra può essere aumentato dovrebbe potere anche essere diminuito e non potendo questa diminuzione farla i peccati mortali che invece distruggono tutto, essa dovrebbe essere fatta dai veniali.
Ebbene, no. Se la distruzione completa — col mortale — è possibile, la diminuzione — col veniale — no. Se infatti con i peccati piccoli avvenisse tale diminuzione, a forza di commetterli e quindi a forza di piccole diminuzioni si dovrebbe arrivare alla perdita completa, il che è assurdo, perché solo il peccato mortale toglie la suddetta inesione vitale a Cristo e l’amicizia con Dio.
Cosa molto consolante evidentemente. Ciò non significa tuttavia che le colpe leggere non danneggino il paradiso in boccio. Ma è un danno che non riguarda la presenza, bensì l’attività, come vedremo in seguito.
In conclusione la presenza dell’Ospite divino nell’anima in grazia, ossia del paradiso nascosto, può essere simboleggiata da una perla preziosa, racchiusa ancora tra le valve dell’ostrica perlifera, tuffata nel mare. Finché il mollusco è immerso nelle acque, la perla si può via via, a strati concentrici accrescere (nel triennio consueto della vita perlifera), senza invece poter diminuire. Ma se il mollusco è estratto dal suo ambiente marino e muore, la crescita è finita. Si aprono allora le valve e appare la gemma nello splendore e nella grandezza che aveva raggiunta fino a quel momento.
Così l’anima, tolta con la morte dal mare della vita terrena, scoprirà lo splendore della perla divina che già racchiudeva in sé».
Questo stralcio è evidentemente bello quanto profondo, e deve essere meditato unitamente ai capitoli che lo precedono e lo seguono.
L’Ascetica come strumento di riforma sociale
A conclusione di questo breve invito alla lettura, concentrando al massimo i concetti inerenti a questo prezioso libro e raccogliendo insieme gli spunti sopra evidenziati, possiamo dire che i princìpi esposti dal Landucci sull’ascetica individuale esprimono la stessa fondamentale intuizione propria di ogni spirito umano: difatti, l’ordine che gli uomini si sforzano di costruire e stabilire tra loro è sottomesso all’ordine che questi stessi uomini debbono avere con Dio. La vita di amicizia che essi possono sperimentare con il loro Creatore – che è un dono fattoci da Cristo, il quale disse: «Io vi ho chiamati amici» (Giov. 15, 15) – è il vincolo d’oro che lega gli uomini con Dio e che stabilisce pure un rapporto assolutamente nuovo tra loro.
L’ascetica, connessa alla preghiera, non va difatti intesa come un esercizio di virtuosismo fine a sé stesso, o come sterile avanzamento individuale del singolo soggetto che si arrovella su di sé, ma bensì rappresenta un percorso indispensabile per condurre le nostre vite secondo gli stessi piani che Dio ha per il mondo intero.
Landucci rileverà nel suo scritto l’importanza cosmica di tale arma, dell’ascesi connessa alla preghiera, capace di condizionare l’attuazione dei piani divini. Non evidentemente nel senso che ciò che Dio ha predestinato non debba infallibilmente compiersi, ma nel senso di essere noi, anzitutto riformati dal nostro interno, uno strumento di tale adempimento, perché — come spiega con la solita limpidezza S. Tommaso — «noi non preghiamo a fine di mutare la divina disposizione, ma affinché otteniamo ciò che Dio dispose si adempisse, mediante l’orazione» (11-11, q. 83, 2 c.).
Affrontando nel suo testo il problema della modernità e dell’attivismo politico-sociale, ma solo indirettamente, il Landucci va quindi a scalfire la fiducia di coloro che agiscono nell’apostolato senza essere anzitutto e principalmente animati e sospinti da uno spirito ascetico adeguato:
«La responsabilità di tale buon esempio, scrive Landucci, si proporziona, evidentemente, al presumibile grado di perfezione che deve attendersi da ognuno. Da un giovane ancora scosso da grandi passioni e inesperto nel cammino di perfezione chiunque potrà attendersi meno che da una persona matura ed esperimentata, da un semplice cristiano meno che da un maestro di perfezione quale è un Sacerdote, da un Sacerdote meno che da un Vescovo santo, ecc. Il che costituisce una quasi paradossale condizione d’inferiorità delle persone presumibilmente più sante rispetto alle altre, nel senso che i loro difetti sono tanto maggiormente notati, tanto più li deprimono nell’opinione altrui, tanto più svalutano il loro insegnamento di bene, tanto più scandalizzano. Così è, per es., della disonestà dei reggitori della cosa pubblica e dei legislatori, dell’immoralità o anche del semplice mediocrismo dei militanti delle associazioni cattoliche, e soprattutto dei maestri di virtù come gli ecclesiastici.
Anzi, considerando complessivamente il cattolicesimo in confronto di ogni altra religione o concezione morale, si può affermare che esso soffre a tal riguardo di una specie di “complesso d’inferiorità”, derivante paradossalmente dalla sua stessa sublime grandezza e dal suo sublime (ossia divino) messaggio di santità, in quanto ogni difetto dei suoi militanti e dei suoi capi viene a risaltare e a presentarsi tanto più ripugnante sullo sfondo della sua perfettissima dottrina, svalutandone tanto più il contenuto.
È quindi come un imperativo di progresso ascetico che nel quadro delle responsabilità sociali s’impone ad ogni uomo, in proporzione della sua pubblica inesione al cristianesimo. (…) Di fatto la suddetta legge psicologica dell’esempio rende praticamente lo scandalo dato dei reggitori e dei maestri un ostacolo enorme e talora insormontabile alla fiducia dei sudditi e al loro perfezionamento».
Solo vivendo integralmente secondo un rapporto di amicizia con Cristo si avrà la partecipazione di tutti al bene comune e una collaborazione veramente umana allo stabilimento di un buon ordine sociale. Come la filosofia è ancella alla teologia, così una corretta ascetica è la base essenziale di ogni consorzio umano ordinato, e quindi dell’intera società, che può e dovrebbe sempre tendere ad essere un vero Regno di Dio già su questa terra, con le caratteristiche che le sono proprie: universalità, spiritualità, eticità. Regno di Dio è infatti il suo regime e potestà regale, che Egli spiega a salute di tutti gli uomini, ed è pure, in senso derivato, la società dove e sopra la quale Dio regna.
La storia guardata con questi occhi, nella sua realtà concreta, non risulta essere più una fredda macchina divoratrice di uomini (marxismo-comunismo); ma lo spirito che domina i fatti umani può conservare il suo valore perenne: spiegando le sue energie nel compimento del suo dovere, l’uomo sa che attraverso l’acqua e il fuoco di questa prova terrena, egli sarà certamente condotto al refrigerio del paradiso, che Landucci dice essere un “paradiso già nascosto in ognuno di noi”.
Per tale motivo la terra sulla quale abitano le nazioni è veramente (soprattutto in potenza e nel suo più profondo valore) il Reame di Dio, e tale è destinata a divenire mediante l’opera della Chiesa Cattolica, presente ovunque come lievito rigeneratore e trasformante, unica linfa vigorosa in grado di far sbocciare le rose dalle spine come ricorda Landucci: “il cuore umano tanto più è capace di amore quanto più è libero dalla sensualità e soprannaturalmente arricchito di grazia, di carità”.
L’interiore purificazione, compiuta nel crogiolo del dolore cristianamente sostenuto attraverso la via dell’ascetica, sboccia nell’eroismo che avvolge di luce divina la vita dell’uomo fin da quaggiù, e le dà pieno valore. Non è più il vivere che conta, ma ciò che al vivere dà senso e valore nella luce di Dio, perché il tempo della tribolazione è un tempo d’abbondanza per l’anima che soffre con fede e con rendimento di grazia. E questo Landucci lo dimostrò pienamente, non solo nella teoria dei libri che scrisse, ma soprattutto nella pratica del suo esempio di pastore delle anime a lui affidate, e per primo della sua.
La vita umana, vista in questa chiave e nell’esempio di uomini come Landucci, può così spalancare i suoi orizzonti eterni e da questa apertura la stessa esistenza ha maggiore e più ampio respiro.
Dio difatti eternizza ogni singolo istante che ci concede, senza alcuna eccezione per nessun uomo, altrimenti la nostra vita non avrebbe alcun senso di sussistere, non essendo nulla abbandonato al caso e non venendo nulla sprecato da Dio. Sta a noi, alla nostra corrispondenza attiva, far diventare questa somma di istanti un “paradiso in boccio” o, purtroppo per molti oggigiorno, un “inferno in germe”.
Qui sta il grande insegnamento di Landucci. Il come lo spiegherà nel suo prezioso testo.
A voi lettori
Potremmo avanzare in questa presentazione riportando ulteriori esempi e variamente parlando dei magistrali contenuti organizzati dal Landucci all’interno della sua opera sull’ascetica cristiana. Preferiamo però terminare qui invitando i lettori a gustare la grandezza delle tematiche esposte dal Servo di Dio direttamente dal suo libro, che reca in sé un’armonia sapiente pressoché impossibile da dissezionare.
Il personale e sconfinato amore di Gesù per ogni anima, reclamante l’intimo personale ricambio, è la suprema originalità del cristianesimo, luce centrale dell’ascetica cristiana e cuore del testo di Landucci. Gesù Cristo è realmente il tabernacolo della nostra anima, ove riposa e dove si mette in salvo dall’ardore della concupiscenza e dalle bufere del mondo. Di Lui possiamo veramente dire: Egli mi ha ricoverato sotto il suo tabernacolo contro le piogge e i turbini, Egli è per me un asilo di sicurezza; io non ho più da temer nulla, fuorché di spiacergli in qualche cosa e di non appoggiarmi con sufficiente fermezza sulla immobilità delle sue promesse.
Così, quello che oggi abbiamo la grazia di poter tramandare è in sé stesso un piccolo miracolo: la viva voce di un santo che si rivolge al lettore come se esistesse solo lui al mondo, una guida che fu costantemente vicino alla cattolicità afflitta dalla modernità ma per questo altrettanto capace di farle ancora respirare la brezza dell’eternità.
Domandiamo a Dio di perdonare le nostre mancanze data la sua bontà nel permetterci di partecipare alle cose sue.
Vi auguro una proficua lettura. Landucci non mancherà di assistervi dal cielo.
Lorenzo de Vita