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Occhio alla Germania che se ne va
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I media italiani sussurrano che Obama è «freddo» con Berlusconi? E’ stato freddissimo anche con il governo tedesco. Ha visitato la Germania sì, ma solo per due visite simboliche: Dresda e Buchenwald. Nessun approfondito colloquio con nessuno al governo; solo una visita ai soldati USA stazionati in Germania, e poi via come un lampo. Obama andato via come un lampo anche da Parigi, dopo aver rifiutato una cena all’Eliseo per «stare con le bambine» e un po’ di shopping, per far capire che per gli americani, Parigi è una sorta di Disneyland.

La freddezza è con l’Europa in genere: forse perchè a Washington si crede nella propria propaganda, secondo cui l’Europa è un ospizio per vecchi «non competitivi», dove «non c’è un governo a cui telefonare», un fuscello nel «mondo globalizzato». Forse per altri motivi che indagheremo più sotto.

Certo è che il governo tedesco ha inferto un duro colpo (forse il colpo di grazia) all’industria automobilistica USA, che Obama cerca confusamente di salvare, operando con tutto il suo peso per staccare da General Motors la Opel. La GM ha dovuto cedere quasi tutte le sue fabbriche in Europa, e anche importanti brevetti detenuti da Opel nella sua sede centrale di Ruesselsheim. GM resta in possesso del 35% delle azioni Opel; ma un eguale 35% è andato alla Sberbank (il più grosso istituto di credito russo), senza contare il 20% andato alla Magna, con sede in Austria, ma con soldi dell’oligarca Oleg Deripaska, e con tradizionali forti legami con l’auto-industria tedesca (Daimler, BMW, Porsche).

Comunque si giudichi questo affare (basato su una dubbia conquista del mercato auto russo), una cosa è evidente: Berlino ha voluto svincolare la sua casa automobilistica da un dominio americano che durava da mezzo secolo. Un altro segno delle allentate relazioni transatlantiche.

Le cifre parlano chiaro. L’import-export tedesco con gli USA cala a precipizio (fra il 2006 e il 2008, è passato da 126,5 a 117,5 miliardi di euro) mentre gli scambi con la Russia, nello stesso periodo, sono passati da 53 a oltre 68 miliardi. E se si includono gli scambi che la Germania ha in corso con con i Paesi ex satelliti nella sfera d’influenza russa – Kazakstan, Bielorussia, Ucraina e Azerbaijan – essi si avvicinano ai 90 miliardi. Presto gli scambi con l’America pareggeranno quelli con l’area della Russia.

E la cooperazione industriale diventa sempre più politicamente delicata, comprendendo il settore militare e quello del nucleare.

Dal 2008 la Bundeswehr si è dotata di un proprio sistema di satelliti-spia, il sofisticato SAR-Lupe, con cui le forze armate germaniche hanno ora la capacità di condurre operazioni militari indipendenti dai sistemi satellitari americani. Il sistema consente di raccogliere dati visivi e radar in tutto il pianeta, in qualunque condizione di tempo (a differenza del sistema USA). E questo sistema è stato piazzato con missili Plesetsk russi dal territorio russo, e con la stretta collaborazione tecnologica russa fornita dalla Rosoboronexport, la grande compagnia russa di esportazione di armamenti.

Dal gennaio 2009, la Siemens si è ritirata dal consorzio nucleare germano-francese «Areva», produttore di impianti nucleari, mentre ha stretto un accordo con la Atomenergoprom, la compagnia di Stato russa che riunisce tutte le attività del nucleare civile ex-sovietico. Pochi giorni prima di annunciare la rottura con Areva, l’intero consiglio di amministrazione di Siemens s’era riunito – a Mosca. Vladimir Putin ha offerto al colosso tedesco «una partnership alla pari», aggiungendo che i tempi sono maturiti per una completa partnership, ossia integrazione delle due industrie atomiche.

Il che significa una collaborazione estesa al nucleare militare. All’incontro di Mosca, infatti, s’è discusso di una più stretta cooperazione fra Siemens e Rosatom, l’altra compagnia russa di Stato che è responsabile anche del settore militare.

Siemens è già impegnata fino al collo in grandi progetti sul territorio russo. Sta finendo di costruire la ferrovia ad alta velocità Mosca-Pietroburgo, che sarà operativa a fine anno. Ha assunto la direzione tecnica del più grosso produttore russo di turbine, e briga per ottenere grossi contratti nel settore dell’energia, della circolazione e degli apparati di sicurezza per le Olimpiadi invernali di Sochi, previste per il 2014.

Ora, l’entrata nelle turbine le dà un accesso alla costruzione dei sottomarini nucleari. E l’alleanza con la Russia nel nucleare civile la mette in una posizione ottimale per il mercato internazionale del nucleare, considerato molto lucroso visto che sono in progetto nel mondo 400 nuove centrali, da costruire entro il 2030; e Rosatom, il nuovo partner dei tedeschi, già ha un nutrito portafoglio d’ordini per costruire centrali in Cina, India e Iran.

Non basta. A fine giugno, un inviato speciale del ministero degli Esteri tedesco sarà a Teheran per discutere, ufficialmente, «il possibile contributo dell’Iran agli sforzi anti-insorgenza in Afghanistan». Ma dopo le elezioni iraniane (prima no, per non dare l’impressione di sostenere Ahmadinejad) gli inviati di Berlino esploreranno a Teheran le possibilità di collaborazioni commerciali-industriali. L’interscambio irano-tedesco è basso, per le sanzioni che Washington ha imposto al commercio con Teheran: solo 4 miliardi di euro (ma è già aumentato del 10% in un anno).

Secondo gli industriali tedeschi, il potenziale di sviluppo è molto maggiore. E «nel mezzo di una recessione come questa, per salvaguardare i nostri posti di lavoro, bisogna ridiscutere i nostri rapporti con Teheran», ha detto a un gruppo di industriali Martin Herrenknecht, vicepresidente del  «Nah- und Mittelostverein» (NuMOV – Associazione Tedesca per il Medio Oriente).

A maggio, il ministro iraniano del petrolio ha fatto un salto a Berlino, dove ha avuto colloqui con rappresentanti della Cancelleria. Ha offerto l’accesso alle seconde riserve mondiali di gas, lasciando intendere che il suo governo sta pensando ad una «Persian Pipeline» dedicata all’Europa; ditte tedesche stanno già discutendo la loro partecipazione al progetto. Ma ha aggiunto che Teheran ha già dei pourparlers in corso con la Cina: «Primo arrivato, primo servito».

Berlino dunque accelera le aperture (fino ad ora solo verbali) di Obama verso Teheran, e già si comporta come se l’Iran non fosse più nella lista degli Stati-canaglia.

Che questo piaccia alla nuova amministrazione USA, è dubbio. Ancor meno deve essere piaciuta la proposta tedesca, avanzata nel vertice NATO l’aprile scorso, di adottare la Russia come «secondo pilastro della sicurezza europea», per non «diventare la parte orientale degli Stati Uniti» (1). Tale proposta è stata avanzata non direttamente dal governo tedesco, ma dal DGAP, che è il «Council on Foreign Relations» germanico. Sicchè è stata bocciata senza problemi politici e senza clamore. Ma è un segno di peso.  Evidentemente, a Berlino c’è chi analizza il futuro, e vi vede il collasso, o almeno la riduzione dell’America come potenza mondiale egemone. E si prepara all’eventualità.

Forse Obama sbaglia a considerare l’Europa un innocuo ospizio di vecchi dotato di un simpatico shopping center. O forse, Washington si fida dei suoi delegati al compito di tenere legata la vecchia Europa all’egemonia americana.

Josè Manuel Barroso, ad esempio, che si candida per un secondo mandato come capo della Commissione UE: e l’immane manica di cretini e venduti che abbiamo appena eletto, riuniti nel Partito Popolare Europeo (la più grossa formazione dell’europarlamento) sono già disposti, scondinzolando, a incoronare il maggiordomo preferito di Washington. Con Barroso, l’eurocrazia lavora «come se niente fosse avvenuto, nè la crisi georgiana, nè la crisi finanziaria», sussurra una fonte europea di Dedefensa: proprio ciò che l’America vuole.

Per di più, fra pochi giorni la presidenza a rotazione della UE passerà alla Svezia. E la ben informata fonte dice: «La sola cosa che si capisce già è la volontà svedese di sviluppare una politica anti-russa molto decisa». Gli svedesi vogliono irritare Mosca riaprendo i dossier più politicamente corretti: «diritti dell’uomo», «libertà di stampa mancante», «protezionismo»,  poca democrazia, eccetera. Senza dimenticare di appoggiare l’Ucraina nella guerra del gas.

Il tutto, senza aver preso atto dei segnali che Mosca ha mandato ai suoi clienti energetici europei. Il 21-22 maggio, i russi hanno scelto, per il vertice Russia – UE, la città di Khabarovsk.

Khabarovsk? Per raggiungere da Mosca questa città siberiano-sovietica fra l’Amur e l’Ussuri, la ferrovia Transiberiana ci mette cinque giorni e mezzo. Ma in compenso, Khabarovsk è a 30 chilometri dal confine cinese. Il gironale moscovita RBS ha così illustrato la scelta: «La Russia ricorda all’Europa che esiste l’Asia. Il Cremlino spera che la troika della UE possa veder la Cina al di là del confine... La pazienza della Russia non è senza limiti. E se Bruxelles continua a ignorare gli interessi della Russia, le esportazioni (di energia) possono essere rivolte altrove».

A maggio, la UE di Barroso non ha dato segno di capire il segnale (lo stesso di Teheran: «Chi prima arriva, prima è servito»).

Con Barroso ancora alla guida, e con la Svezia alla presidenza, siamo sicuri che all’Europa viene preparato un destino di ostilità alla Russia e dunque di incertezza energetica – e di soggezione a Washington – anche per i prossimi anni.

Sarà la solita politica «alla Blair», anche se Blair non c’è più e nemmeno c’è più il suo partito New Labour, incenerito dagli elettori britannici. Solo la Germania sta facendo da sè.

In compenso, pare che la Svezia così politicamente corretta voglia mostrare la sua lealtà a Washington con un gesto estremo: mettere fine alla sua storica neutralità, chiederà di entrare nella NATO. E’ vero che in ciò è stata preceduta da Sarko, il vecchio agente della CIA.



1) Alexander Rahr: «Die russischen Eliten sind vom Westen tief enttäuscht»; Eurasisches Magazin gennaio 2009. Rahr è il direttore del Programma Russia-Eurasia del DGAP, nonchè consulente del governo tedesco. Come l’americano Council on Foreign Relations (fondazione privata dei Rockefeller) elabora di fatto le strategie politiche USA, così il DGAP elabora scenari politici e strategici futuri tedeschi. In quegli uffici si ventilerebbe un trattato militare con Mosca, onde sottrarre durevolmente la Germania, se non alla NATO, alla  egemonia americana nella NATO. Il programma è stato già discusso dal DGAP con i Council for Foreign Defense Policy, ossia con la organizzazione omologa di Mosca, presieduta da Sergei Karaganov. Come ente «privato», il DGAP può lanciar ballon d’essais che sarebbero esplosivi, se li proponesse il governo federale. Ma si noti che nell’affare Opel, come nella riapertura di relazioni migliori con l’Iran, il governo tedesco entri con tutto il suo peso in grossi affari. Qualcosa di diverso dagli inviti nella villa in Sardegna con veline con cui Berlusconi tratta «gli amici» internazionali.


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