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Un ringraziare islamico
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«La porta più vicina ad Allah è la porta del ringraziare (shukr),  e in questi tempi chi non entra attraverso di essa, non entra (affatto)».
Sono le parole di Ahmad Tijani, uno shayk vissuto tra Marocco e Algeria nel’700, che un lettore mi ha fatto scoprire.
Scopro così che la «via del ringraziare» esiste anche nell’Islam (1).
Non vi scandalizzate, cattolici tradizionalisti: dopotutto, quello dei dieci lebbrosi che tornò a ringraziare per la guarigione era un samaritano, uno «straniero».
Per quel poco che ho conosciuto i palestinesi, so che oggi sarebbe un musulmano a buttarsi ai Suoi piedi.
Per questo shayk Tijani e per la confraternita che ha fondato tre secoli fa (Tariqa Muhammadiyya), il render grazie o esser grato è addirittura la sola «porta» rimastaci per salvarci in questi tempi ultimi.
«Chi non entra in questi tempi attraverso di essa, non entra», dice: ciò perché «Gli ’io’ (nafs) sono diventati spessi, e non sono capaci di profittare di esercizi spirituali e devozioni e obbedienza, né sono disciplinati da rendiconti o dall’argomentare».
E come prova, citava il Corano (14:7), dove il Signore dice: «Se tu sei riconoscente, accrescerò a te (la mia grazia)».
Tralasciando di citare il resto della frase: «Se sei ingrato, in verità il mio castigo è severo!».
Anche per questo, forse, la via di Tijani ha dei nemici nell’Islam, che da quel che ho capito gli rimproverano fra l’altro di far dimenticare il timor di Dio.
Il che non è vero, ribatte il testo che ho sott’occhio.
Lo shayk avvertiva i discepoli di «non prendere la promessa di salvazione come un trucco per essere al sicuro dalla punizione di Dio per i peccati».
Ciò ha una corrispondenza perfetta nella dottrina cattolica: la presunzione di «potersi salvare senza merito» è uno dei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, alla stregua del «derubare del salario i lavoratori» (ciò che fanno le banche) e del «peccato impuro contro natura», tanto più se «conclamato» (2).
Ma non bisogna, dice il testo, prendere una frase dello sceicco estraendola dal contesto.
Sarebbe come isolare l’assicurazione del Profeta (Maometto), secondo cui sarà sicuramente salvato chi pronuncia una sola volta la professione di fede (la ilaha ill-Allah), dal detto di Maometto secondo cui nessuno, nemmeno lui, entrerà in paradiso senza la misericordia di Dio. 
Ma non c’è dubbio che Tijiani presentava l’attività del rendere grazie come una via «facile».

Basta questa: ringraziare e lodare finisce per «permettere a Dio l’azione diretta» su di noi. Sconsigliava eccessi di ascetismo, specie in questi tempi ultimi, in cui l’uomo ha la scorza dura, ed è incapace di adempiere ai comandamenti con le sue forze.
«Sei capace di adempiere tutte le obbligazioni della Legge, le esplicite e le implicite? Sei forse capace, senza assistenza, di trionfare sulle tue passioni?».
No, non siamo capaci, dobbiamo ammetterlo.
E allora?
Il Dio di Tijani appare di una indulgenza infinita: «Davvero Allah ha pietà di un servo anche per una sua sola qualità…Se Egli trova un tratto di bene in te, come modestia, generosità o un po’ d’amore ad esempio, o un cuore pacifico o un parlare veritiero, o qualcosa di ciò nelle tue azioni per Lui, Egli ha simpatia per te e ti prende per mano».
Giungeva a dire: «Il peccato è solo un accidente quando la persona malata rimane avvolta nell’amore per il suo Creatore; il suo destino è nelle mani del suo Signore. Nessun altro se non Dio sa come decidere il suo destino».
Da qui la ’eccessiva’ tolleranza di questa scuola sufi, che a quanto pare ha indotto altri islamici a etichettarli come «infedeli».
Lo sceicco invitata a non rispondere agli attacchi: «E’ solo ignoranza».
Nella sua scuola, la misericordia di Dio è onnipresente nella creazione, dunque si occupa anche dei peccatori e persino dei non-musulmani.
Dunque anche «di questo straniero», direbbe Gesù.
Si può capire il sospetto del musulmano comune per una simile posizione.
Ma – attenzione – per la scuola, l’apparire nel mondo di questa infinita, eccessiva indulgenza in un’età corrotta, vicina alla fine dei tempi, non è un caso, ma un favore di Dio, «che Egli dà a chi vuole, ed Egli è il detentore della più alta grazia».

Mushin Shalabi, uno sceicco egiziano della confraternita, insiste: cita un hadit per cui un peccatore ha il paradiso assicurato per il solo fatto di aver dato da bere a un cane (animale impuro nell’Islam). E aggiunge una cosa commovente: di questi tempi, è come se «Allah adotti qualunque scusa per mandare gente in Paradiso».
Perchè commuove?
Perché questo, nell’essenza, è il messaggio ricevuto da santa Faustina Kovalska, la suora polacca che parlava con Gesù, e che Giovanni Paolo II ha beatificato nel 2000.
Stessa indulgenza eccessiva di un Cristo, addolorato solo che i peccatori si perdano perché credono di averla fatta troppo grossa, più grossa della Sua misericordia.
Stesso accento sulla Misericordia di Lui, anziché sui meriti nostri.
Stessa precisazione: questo eccesso di indulgenza è un dono per i tempi ultimi, quando da soli non siamo capaci di far più niente.
E anche qui, «qualunque scusa per mandare gente in paradiso».
Il 22 febbraio 1931 la Kovalska vede Gesù: due fasci di luce, una rossa e una bianca, gli escono dal petto.
Gesù le ordina di dipingere un quadro della Sua immagine , che deve avere «scritto sotto: Gesù confido in Te. Desidero che questa immagine venga venerata prima nella vostra cappella, poi nel mondo intero. Prometto che l’anima, che venererà questa immagine, non perirà».
Lei, poveretta, non sa dipingere, finirà per farla fare da un pittore a cui darà istruzioni (e piangerà a vedere il risultato).
Come che sia, questa immagine – che suscita il sospetto della gerarchia: il fascio rosso e bianco somigliano troppo alla bandiera della Polonia, si teme un culto nazionale – sarà portata nelle tasche e nei berretti da decine di migliaia di soldati polacchi, che la seconda guerra mondiale disperde in continenti e campi di prigionia. 
«Prometto che l’anima che venererà questa immagine non perirà»: ecco una via facile.
Una scusa per mandare più gente in paradiso.

Io non so, ma ho cominciato a crederci da quando ho visto che quell’immagine le suore di Madre Teresa l’hanno adottata, l’ho vista anche nella loro casa madre di Calcutta.
Da allora, quando vedo questa immagine in una chiesa, mi sento tranquillo: Gesù confido in Te.
Fa’ tutto Lui.
Ha detto a suor Faustina: «Anche se qualcuno è stato il più grande peccatore, non lo posso punire se si appella alla Mia pietà, ma lo giustifico nella Mia insondabile e impenetrabile Misericordia». Anche i peggiori peccatori, le scorze più dure, non debbono disperare, ma abbandonarsi alla Misericordia.
Che è eccessiva, immeritata.
Ed è anche la sola porta.
«Le grazie della Mia Misericordia si attingono con un solo recipiente e questo è la fiducia. Più un’anima ha fiducia, più ottiene».
Ancora, dice Gesù alla suorina polacca: «Questo è un segno per gli ultimi tempi, dopo i quali arriverà il giorno della giustizia. Finchè c’è tempo, ricorrano alla sorgente della mia misericordia, approfittino del Sangue e dell’Acqua scaturiti per loro».
Promesse incredibili: «Tutte le anime che adoreranno la mia Misericordia e ne diffonderanno il culto, esortando altre anime alla fiducia nella Mia Misericordia, queste anime nell’ora della morte non avranno paura. La Mia Misericordia le proteggerà in quest’ultima lotta».
«Prometto che l’anima, che venererà questa immagine, non perirà. Prometto già su questa terra, ma in particolare nell’ora della morte, la vittoria sui nemici. Io stesso la difenderò come mia gloria».
E come non bastasse, Egli dà un sistema ancora più semplice: la coroncina della Misericordia.
Si recita sui grani del Rosario.
Si comincia con il Pater, poi l’Ave Maria, poi il Credo.
Dopo, ai grandi del Padre Nostro si dice: «Eterno Padre, ti offro il Corpo e il Sangue, l’anima e la Divinità del Tuo amatissimo Figlio e Signore nostro Gesù Cristo per intercessione dei peccati nostri e di quelli del mondo intero».
Dopo, per dieci volte, è un balbettìo infantile: «Per la sua dolorosa Passione, abbi pietà di noi e del mondo intero».
Si ripete cinque volte.
E si finisce con: «Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi e del mondo intero».  Tutto qui. Più breve del Rosario, più facile.
E per questo nulla, «la Mia Misericordia avvolgerà in vita e specialmente nell’ora della morte le anime che reciteranno questa coroncina».
«Per la recita di questa coroncina mi piace concedere tutto ciò che mi chiederanno. Se la reciteranno peccatori incalliti, colmerò di pace la loro anima».


Ovviamente, questo ha suscitato e ancora suscita molta diffidenza tra buonissimi cattolici.
Non c’è qui il rischio della «presunzione di salvarsi senza merito»?
Che cosa succede?
Siamo alla liquidazione totale della Misericordia divina?
Ai voli charter scontatissimi per la Salvezza, affollati di mascalzoni incalliti?
Secondo Faustina, Gesù avrebbe detto: »«Più grande è il peccatore, più ha diritto alla Mia Misericordia».
Capisco, e in parte condivido la perplessità.
Ma, come incallito, mi chiedo: se fosse vero?
C’è anche un’enormità.
Nella coroncina, si offre Gesù eucaristico crocifisso non solo per «i peccati nostri» (e passi), ma anche «per il mondo intero».
Miscredenti, musulmani, buddhisti, ebrei, farabutti, senza distinzione alcuna.
Non è una via «troppo» facile?
Forse.
Ma riflettiamo che al Rosario è stata aggiunta (credo dall’apparizione di Fatima) la formula: «Perdona i nostri peccati, preservaci dal fuoco dell’inferno, e porta in cielo tutte le anime, soccorrendo specialmente quelle più bisognose della Tua misericordia».
Pare proprio nella linea esagerata di suor Faustina.
«Tutte le anime», e specialmente «le più bisognose della Tua misericordia».
Sono proprio tutte.
Il mondo intero.
Penso che questa preghiera sia autorizzata, e centinaia di vecchiette la ripetono nel loro Rosario tutte le mattine.
Possibile che una preghiera del genere sia stata suggerita per non essere poi esaudita?
Per far biascicare invano le vecchiette, che sono potenti davanti a Dio?
E’ come se, mentre il nostro mondo degrada nell’incredulità, nella violenza e nella ingratitudine (senza «gloria» al Cielo niente «pace» in terra), la Misericordia divina invece sia aumentata.
San Paolo ringrazia per le sue sofferenze: con esse, «completo nel mio corpo ciò che manca ai patimenti di Cristo per il suo corpo, che è la chiesa».
A Cristo non manca niente, ma se ha fatto durare il mondo fin qui, è perchè voleva collaboratori: e Paolo e migliaia di anime generose hanno risposto, «completando ciò che manca» con le loro sofferenze, sicchè ora c’è grazia da traboccare, Misericordia  tanto abbondante da colmare ogni misura.
Sarà così?

Sembra alludere a questo piano divino ancora San Paolo (Efesini 2, 79): siamo stati salvati, dice ai primi cristiani, «per dimostrare ai secoli futuri, con la sua bontà in Gesù Cristo verso di noi, la traboccante ricchezza della sua grazia. Infatti […] ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio».  Forse mi illudo.
Ammetto che come peccatore incallito, sono disposto a crederci e a salire sugli ultimi charter per il cielo a prezzi scontati, perché il biglietto è stato già pagato da Paolo, da Padre Pio e da chissà quanti altri collaboratori alla corredenzione.
Potrebbe esserci davvero posto per «tutti».
Per «il mondo intero».
Dopotutto, Gesù vince.
Noi che non sappiamo, basta poco, un po’ di gratitudine, e «ci prende per mano».
Perciò rifiuto di credere che le altre religioni, e soprattutto l’Islam, siano un inganno satanico.
Che miliardi di uomini che pregano e ringraziano il Misericordioso siano destinati alla dannazione, e solo i buoni cattolici siano salvi.
La cosa è contraria alla Misericordia: pensare che Essa abbia teso un tranello così crudele è praticamente una bestemmia.
Tendo a dar ragione allo shayk: la pietà divina (rahma) agisce sempre e dovunque, esagerata, eccessivamente indulgente.
Anche fra i non-musulmani, dice lui.

La simpatia per l’Islam di cui mi accusano nasce da un fatto: che più spesso di quanto si possa credere ho trovato fra loro cuori così, amici, fraterni.
Fra l’altro, in una indimenticabile notte a Delhi, ad ascoltare canti di cantori afghani attorno a una tomba di un santo sufi morto nel ’400: ricordo ancora la gentilezza con cui mi onorò il capo della confraternita, discendente del sufi lì sepolto.
Non mi mandò via; anzi i cantori afghani alla fine improvvisarono, sugli antichi ritmi familiari, parole che celebravano noi cristiani e un indù lì presente perchè avevamo «un solo cuore».
Dai miei incontri, ho preso l’abitudine di vedere in anime musulmane anime spesso, più spesso di noi, generose.
Peccatori, feroci, ma generosi.
Ora anche una di queste ci dice che «Allah trova ogni scusa per mandare gente in paradiso», senza distinzione.
C’è qui una forte consonanza con l’enormità di voler riparare «i peccati di tutto il mondo».
Con il Gesù di Faustina.
Con il Gesù che salva il solo straniero eretico che è tornato a ringraziare e gli si getta ai piedi.
Tijani dice: essere grato, ringraziare, è la sola «porta» rimasta.
La sua confraternita dà un significato speciale a parole dell’Islam classico.
La parola kufr, «incredulità» (da cui kafir, l’infedele, il miscredente) si sottolinea che significa «essere ingrato».
La dichiarazione di fede, che secondo Maometto basta a salvare chi la pronuncia una sola volta, è tradotta di solito «Non c’è altro Dio che Dio», ma la confraternita dice: non c’è degno di adorazione che Dio.
Ciò sembra sottolineare il «dare gloria», e attenuare l’Unicità, ferocemente difesa dai musulmani. Ma ovviamente hanno ragione loro: le Tre Persone che ci sono state rivelate sono «un solo Dio», perché  Dio è Uno, e non ha associati.
Siamo anche noi monoteisti.

Vorrei dire un’ultima cosa: non c’è qui nessun «esoterismo», nessuna equivalenza gnostica di qualunque religione.
Se mistici sufi e cristiani trovano le stesse «vie» e le stesse porte, consigliano le stesse azioni e sperimentano la stessa grazia, ciò può dipendere da una cosa precisa, cui non pensiamo mai: che l’invisibile, ciò che chiamiamo l’aldilà o il regno di Dio, è «reale».
E’ oggettivo, e perciò è governato da leggi oggettive, come il mondo di qua è governato dalle leggi della fisica e della chimica.
Per questo c’è consonanza tra il grazie del musulmano e quello del cristiano o del samaritano.
Come in chimica stesse operazioni ottengono gli stessi risultati e non importa se il chimico è cinese o italiano, così ringraziare invoca «l’azione diretta» di Dio su di sé, la sua compassione straboccante. 
Sto solo facendo un’ipotesi.
La verità è che il sufi mi ha commosso.
Non per questo si cambia religione: ho solo imparato da lui, come dal samaritano. 



1) http://tijani.org/shukr/ The Tariqa Tijaniyya, «If ye are grateful, I will add more (favor) unto you».
2) Dal Corano: «Allah non ama che venga conclamato il male, eccetto da colui che lo ha subìto» (IV, 148). Questa sarà per Vladimir Luxuria?
 
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