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USA: offensiva petrolifera
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Washington lancerà «un’offensiva» per contrastare le minacce alla propria sicurezza energetica, proveniente dal Paesi petroliferi «che usano il loro greggio e gas per scopo politici».
Lo ha detto Condoleezza Rice, annunciando la selezione di un plenipotenziario itinerante (special envoy) che si occuperò di quei Paesi.
Almeno, la «offensiva» sembra per ora di tipo politico-diplomatico (1).
L’annuncio arriva nel momento in cui Chavez ha dato ordine di bloccare le forniture all’americana Exxon Mobil.

E’ la ritorsione per un fatto preciso: Exxon ha fatti sequestrare (o congelare) 12 miliardi di dollari
di attivi venezuelani sulle piazze finanziarie di New York e Londra, come compenso di un piano
di sfruttamento nell’Orinoco che Chavez ha nazionalizzato nel 2007.
Chavez è disposto a pagarne 6, ma la Exxon ha preferito le maniere forti.
Chavez ha spostato gli attivi venezuelani rimasti in Svizzera, presso l’UBS.
Il discorso-annuncio di Chavez («Ladri imperialisti, corruttori in colletto bianco») contro la Exxon ha già provocato un rincaro del greggio.

Ma il peggio è che, almeno a sentire il ministro del petrolio venezuelano Rafael Ramirez, «abbiamo incontrato l’ufficio legale dell’OPEC per avere un parere su come affrontare questa situazione, e abbiamo trovato solidarietà».
Il cartello del greggio potrebbe aggravare parecchio la situazione, se scende in campo con il Venezuela.
L’allusione della Rice sui Paesi che usano il petrolio come arma politica ha evidentemente di mira anche la Russia.

Il senatore repubblicano Richard Lugar (della Commissione Esteri) è appena tornato da una visita in Georgia, Kazakhstan, Turkmenistan e Azerbaijan, che ha esortato a «cooperare con l’Occidente per la sicurezza energetica» (dell’Occidente medesimo), ed ha accusato Mosca di esercitare la sua tradizionale influenza sull’area per bloccare i progetti americani di costruire nuovi oleodotti, per esempio nel petrolifero Kazakhstan.

Ovviamente, Mosca mette bastoni tra le ruote a progetti che furono fin dall’inizio concepiti (da Brzezinsky) per «tagliar fuori» la Russia dall’Asia centrale e dal transito delle pipeline, e dunque insieme dalle royalty di passaggio, con l’esplicito intento di ridurre politicamente la Russia ad una media potenza asiatica, isolata  dalle vie occidentali di scambio.
A questo ed altri atti ostili (l’ammissione nella NATO dei Paesi del Patto di Varsavia è un altro esempio), è ovvio che Putin replichi con atti ostili, usando l’arma di cui dispone.
Ma naturalmente a Washington la mettono in un altro modo: Putin, come Chavez, viola il dogma liberista, non usa il petrolio come una merce sul libero mercato.

Il fatto è che, mentre Bush ha attuata la sua penetrazione militare nell’Asia Centrale, con la scusa della lotta globale al terrorismo, e proprio come risposta a questa aggressività destabilizzante, è avvenuto un fatto significativo: il 77% delle riserve energetiche accertate è oggi in mano ad imprese di Stato, nazionalizzate.
Il che riduce di parecchio i pascoli del «libero mercato» su cui spadroneggiavano le compagnie occidentali, tipo Exxon Mobil.

Basta ricordare che, prima, le Sorelle del libero mercato pagavano allo Stato venezuelano l’1% del prezzo di vendita; e Chavez ha portato questa cifra al 16,6% nel 2004: da quel momento è un nemico del libero mercato.
Un effetto collaterale imprevisto, benchè prevedibile.

Dopotutto è stata Washington a cominciare: gettando la spada di Brenno sulla bilancia, ha ridotto il «libero mercato» che ha bisogno di quiete.
La situazione - aggravata dalla domanda crescente cinese ed indiana - costringe le Sorelle occidentali a provare a sfruttare le sabbie bituminose dell’Alaska e tentare costose trivellazioni offshore.

Come si concretizzerà l’offensiva diplomatica (si spera) annunciata dalla Rice non è chiaro.
Ma quasi certamente sarà rivolta al Kazakhastan, che prima le lusinghe (e la corruzione) occidentali avevano reso «amico» delle petrolifere occidentali, ma oggi si è riavvicinato a Mosca ed esercita un controllo molto nazionalista sulla sua prima fonte di ricchezza.

Quanto al Venezuela, secondo Réseau Voltaire ci sono i segnali di un intervento militare indiretto, attraverso la Colombia (2).
Frattanto l’Iran ha annunciato (di nuovo) l’apertura della sua Borsa petrolifera che accetterà euro, stavolta per il 27 febbraio.

E’ possibile che l’incidentale rottura dei cavi internet sottomarini nel Golfo Persico avesse relazione con questo fatto: una Borsa senza telecomunicazioni avanzate è una Borsa senza clienti.
La faccenda si fa seria: tanto che vari Paesi asiatici emergenti, dall’Indonesia alle Filippine al pericoloso Myanmar, stanno progettando di costruire centrali nucleari per produrre energia, sull’esempio del Giappone (il 29% della sua elettricità viene dal nucleare).

Il che ha fatto subito lanciare l’allarme: sono Paesi islamici o con minoranze islamiche, che potrebbero impadronirsi dei residui nucleari per farsi la bomba sporca…probabilmente l’offensiva (diplomatica?) americana dovrà occuparsi anche di questo problema imprevisto, nato non solo dalla penuria reale di greggio, ma dal suo rincaro dovuto alla destabilizzazione del Medio Oriente.

Eppure una fonte abbondantissima di idrocarburi è stata appena scoperta: purtroppo su Titano, una delle lune di Saturno.
Là, a 179 gradi sottozero, incessanti piogge di metano ed etano formano immensi laghi molto profondi, attorniati da dune di idrocarburi solidi detti «tholins».
Pare che Titano disponga di centinaia di volte le riserve energetiche della Terra.
L’ha scoperto la sonda Cassini, che ha creato una mappa radar del satellite, fin’ora solo sul 20% cento della superficie.
La missione Cassini è una impresa congiunta della NASA, dell’ESA (l’ente spaziale europeo) e della nostra ASI (Agenzia Spaziale Italiana).

Ovviamente sarebbe molto costoso andare a procurarsi il petrolio lassù con una grandiosa impresa spaziale - anche se i costi per procurarsi il petrolio con la minaccia militare sono costati agli USA non meno di 4 mila miliardi di dollari nel decennio, e con risultati miserevoli - ma la scoperta ha almeno un risvolto promettente: può ridar vigore alla «teoria abiotica» sull’origine del petrolio, un filone di ricerca intrapresi specialmente dall’URSS ma poi trascurato (3).

La teoria accettata oggi è che i giacimenti petroliferi siano enormi sacche di fossili di animali, pesci e plancton.
Sicuramente, Titano non ha mai avuto pesci né dinosauri.



1)
Shawn McCarthy, «U.S. on the offensive in bid to secure energy supplies», Globe and Mail, 14 febbraio 2008.
2) Salim Lamrani, «Washington et Bogota contre Hugo chavez», Réseau Voltaire, 14 febbraio 2008.
3) «Titan’s surface organics surpass oil reserves on Earth», ESA, 13 febbraio 2008.  
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