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Fino a quando tortureranno i greci? (e noi?)
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Dieci milioni di europei soffrono senza speranza di soccorso. La Grecia è l’esempio clamoroso e tragico di un popolo torturato senza bisogno, e senza utilità, da ideologi folli – gli eurocrati e i loro caudatari – fissati ai loro dogmi: si salvino i dogmi, muoia la gente.

L’economista francese Jacques Sapir spiega bene come la Grecia sarà di nuovo insolvente da qui a giugno, nonostante le austerità – anzi, a causa delle austerità – imposte dalla Troika perché paghi i debiti. Riportiamo i suoi dati, ma ricordate che dietro queste aride cifre ci sono persone che non mangiano, non si riscaldano, non hanno più mezzi di trasporto né medicine negli ospedali. (Greece: the road to Insolvency)

A novembre la Troika (FMI, BCE ed Europa) ha concesso al governo greco un prestito (ad interesse) per pagare gli interessi sul debito; in cambio di tanta generosità, il governo di Atene s’è impegnato ad ottenere un surplus sui conti correnti di bilancio, il cosiddetto «attivo primario» (1). Altri tagli a pensioni e salari, che sono stati già tagliati a 400-550 euro, più altri 9 miliardi di economie da ottenere nel 2013 a forza di altra austerità e nuove imposte. Per la Grecia, 9 miliardi sono 4 punti di Pil: l’equivalente per l’Italia di 60 miliardi di tagli ulteriori in un solo anno. Va segnalato che la cura dei tagli feroci è in corso da quattro anni, ed ha aggravato il problema che pretende di risolvere: il debito pubblico ellenico, che nel 2009 era al 130% del Pil, toccherà il 190 quest’anno.

Infatti l’obiettivo dell’attivo primario si allontana, per un motivo preciso: il gettito fiscale cala, nonostante l’aumento schiacciante delle tasse. Il gettito dell’IVA è crollato: 8,7% nel secondo trimestre 2012, 10% il terzo trimestre. L’introito da tasse sul reddito e la proprietà cresce ancora, ma rallenta: dal +29% del secondo trimestre 2012 rispetto allo stesso trimestre del 2011, +10% il terzo trimestre; e le prime stime dicono che nel gennaio 2013 anche questa voce sarà in calo assoluto. Risultato: a gennaio, sono mancati al governo greco 249 milioni di euro per essere in pareggio; e il governo ha risposto decidendo d’autorità di ridurre le spese dello stesso ammontare: così però, nota Sapir, «innescando un meccanismo di cui non ha idea e che precipiterà la catastrofe».

Perché certo, il calo si spiega in parte con il degrado terribile dell’attività economica. La produzione (Pil) continua a inabissarsi senza fine: -7,1% il terzo trimestre 2012 (sul pari trimestre 2011), altro -7,3% nel quarto.


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Ma il calo delle imposte è più grande del calo della produzione. Ciò significa che ormai sta operando in Grecia «la rottura della disciplina fiscale: le imprese e le famiglie fuggono massicciamente dall’economia ufficiale e cessano di pagare le imposte», ormai insostenibili. I greci hanno messo in piedi un’economia di sopravvivenza; un’economia parallela, al difuori dell’euro, e dunque sottratta alla capacità impositiva del potere pubblico.

Ciò significa che la Grecia è entrata nella seconda fase, quella che Sapir chiama di «super-austerità»: lo stesso fenomeno, ricorda, osservato in Russia tra il 1995 e il ’98. Il governo di Mosca aveva reagito tagliando ancor più selvaggiamente la spesa pubblica, sospendendo i salari degli insegnanti, dei medici ospedalieri, e i pagamenti ai fornitori dello Stato.

Come vedete, in Italia la situazione non è distante da questa fase: lo Stato e gli enti locali italiani hanno cessato di pagare le imprese private fornitrici, e tale debito (che mai più sarà onorato) ha toccato i 140 miliardi. Sicché è interessante sapere com’è andata a finire in Russia.

«Il risultato: le imprese non più pagate dallo Stato cessarono del tutto di pagare le imposte, oltre all’aggravamento generale della crisi», spiega Sapir. «La politica di super-austerità allargò il deficit di bilancio che doveva sanare». La stessa cosa sta succedendo in Grecia. Abbiamo visto che il deficit di gennaio è stato di 246 milioni. A febbraio crescerà sui 500 e più; il governo ellenico farà più feroci tagli del bilancio, i quali non faranno altro che aggravare ulteriormente la crisi economica e accelerare la fuga degli attori economici fuori dalla circolazione monetaria in euro; un circolo vizioso che continuerà finché lo Stato ellenico diverrà totalmente insolvente.

In Grecia, l’export era essenzialmente rappresentato dalle riparazioni navali, soprattutto per conto dei Paesi balcanici e medio-orientali. Ciò significa che la voce più grossa del suo export era nell’area del dollaro; il rialzo continuo dell’euro dal 2003, fino all’incredibile livello di oggi, ha semplicemente ucciso le esportazioni greche.

È lo stesso rincaro dell’euro che sta uccidendo l’export italiano, e che i fanatici ideologi eurocratici, Draghi, Monti eccetera non vogliono abbassare – nonostante gli altri Paesi abbiano scatenato la svalutazione competitiva – perché Angela Merkel ha dichiarato che il livello dell’euro è «adeguato» alla Germania.

In Grecia, il crollo delle già deboli esportazioni produrrà «la caduta degli investimenti industriali, e dei beni industriali importati, ciò che provocherà un rapido degrado dell’apparato industriale»: invecchiamento degli impianti, manutenzione sospesa eccetera. Di conseguenza, l’economia calerà ancor più nella depressione (senza speranza di ripersa), e gli introiti statali diminuiranno ancor più; il governo taglierà altre spese, aggravando tutti i fattori depressivi, e provocando un’ulteriore caduta del gettito tributario...

«Un circolo vizioso, la spirale infernale austerità-degradazione-austerità, che può finire solo con un colpo politico, il rovesciamento del governo, come è accaduto in Russia (con l’avvento di Putin): un esito che non bisogna temere, ma al contrario sperare».

L’Italia sta cadendo esattamente nello stesso circolo vizioso: le nostre imprese hanno perso 500 miliardi di fatturato negli ultimi 4 anni – cifra astronomica –, e il 63% di esse, per pagare l’IMU 2012, si è indebitata con le banche. L’anno prossimo nessuna torchia fiscale azionata da Befera otterrà da queste imprese lo stesso gettito fiscale di oggi; anche perché parecchie saranno scomparse. Anche da noi è urgente un vero rovesciamento politico, come quello che Sapir auspica per la Grecia.

Purtroppo, non è detto che questa soluzione sia prossima, né per i greci né per noi.

Da una parte, in Grecia, gli eurocrati, i fanatici ideologici e la Troika, a forza di pezze e trucchi (come quello di indebitare ancor più Atene prestandole il denaro per pagare gli interessi sui debiti pregressi) stanno dando un «aiutino»; venendo a compromessi sui loro stessi diktat, già dichiarano che Atene, «per la prima volta, mantiene i suoi obiettivi per il 2013» (in realtà il deficit pubblico è passato da 6,6 a 5,5%: è appena un po’ diminuito ma tutt’altro che scomparso), la Borsa ateniese sale (dunque tutto bene) e ufficialmente la Troika prevede il «risanamento» per il 2016. Forza, greci, un ultimo sforzo. Altri tre anni di sacrifici (sono nel sesto anno di recessione, e la settima tornata di austerità ), poi... (La Grèce espère une réduction de son déficit plus importante que prévu en 2013)

La famosa «luce in fondo al tunnel» vista da Monti, su istruzione degli eurocrati. Evidentemente, anche per la Grecia la vedono: si sa che a Bruxelles fumano roba forte (si chiama ideologia, l’allucinogeno più potente). Frattanto si lascia sperare ad Atene che verrà un nuovo piano di salvataggio: pura illusione, almeno fino alle elezioni tedesche del novembre 2013, perché la Merkel non le vuol perdere e l’elettorato tedesco è ostilissimo a «salvataggi» dei mediterranei. Che il salvataggio tedesco venga dopo le elezioni, è perlomeno dubbio. È solo sofferenza, senza sbocco.





Ma anche i greci, come gli italiani, non sono psicologicamente pronti a fare il necessario: uscire dall’euro, fare default e svalutare massicciamente. La maggior parte degli italiani (come i greci) vivono l’Unione Europea come la mano benevolente che li ha sostenuti negli ultimi 20 anni – a credito facile, a bassi tassi – e non sono ancora convinti che nessun aiuto verrà più da quella parte, anzi. Un esempio di questa esitazione mortale si è avuto in Argentina.

È un errore credere che la popolazione argentina abbia sofferto dopo aver fatto default; ha sofferto molto di più «prima», nei quattro anni in cui ha cercato di tenere agganciata la sua valuta ad una moneta forte, il dollaro. L’Argentina aveva agganciato la sua moneta al dollaro per ottenere «la «disciplina di bilancio» con un «vincolo esterno»: ed anch’essa ha subito nel ’98 la crisi che noi soffriamo adesso: moneta sopravvalutata, crollo dell’export, «aggiustamenti strutturali» ossia austerità estrema ordinata dal FMI, e conseguente gravissima depressione economica. E nonostante ciò, ci sono voluti quattro anni – anni di disoccupazione galoppante, crollo produttivo, sofferenze inenarrabili fra la popolazione – prima che un nuovo governo prendesse la decisione politica di ripudiare il debito e sganciare la divisa nazionale dal dollaro, ottenendo una rapida ripresa economica. La Grecia, se avesse fatto default due anni fa, si troverebbe oggi già molto meglio; oggi le è più difficile, perché la sue possibilità economiche sono state devastate. L’Italia segue la stessa identica china, ed esita: siamo come marinai imbarcati su una nave che sta affondando, che tuttavia non se la sentono di tuffarsi nel mare in tempesta col salvagente. È una difesa umana. Ma porta a colare a picco con la nave.

Perché al timone dell’euro ci sono dei folli. Un solo esempio: il capo tecnico del Fondo Monetario ha ammesso di aver sbagliato di grosso a valutare gli effetti recessivi dell’austerità: pensava che un punto di riduzione del debito producesse mezzo punto di recessione, e invece ne produce 1,5. Sicché ora, lo stesso FMI consiglia di allentare. Ebbene, che cosa ha detto Olli Rehn, commissario europeo all’economia? Ha rimproverato gli analisti del Fondo Monetario perché la loro correzione di rotta «erode la fiducia che abbiamo così faticosamente costruito», ossia possono indurre qualche Paese europeo a rallentare la disastrosa politica di dis-indebitamento. Che deve continuare. È esattamente la gelida follia di Mario Monti, e che il nuovo governo Bersani adotterà. Sperando che sia Hollande ad ottenere dalla Merkel una lieve svalutazione dell’euro.

Rischiamo di stare ancora anni in questa agonia, con i timonieri folli (2) che ci fanno mancare il cibo. I politicanti e gli eurocrati ci tengono buoni ripetendoci che è l’ultimo sforzo, che vedono la luce in fondo al tunnel, che ci serve la «disciplina di bilancio» anche se provoca 3 milioni di disoccupati, eccetera. I mercati «sono calmi», «L’euro è irreversibile», ed altri slogans del genere.

C’è in atto una propaganda rasserenante. Che tace i sinistri segni premonitori del naufragio. Esempio: ricordate i mille miliardi che la BCE ha prestato all’1% alle banche per tre anni? Le banche dovrebbero via via restituirlo, un terzo all’anno (33%). Ne hanno restituito solo 198 miliardi, ossia solo un 20%. Una censura impenetrabile copre la lista delle banche che stanno rimborsando e quelle che invece non ce la fanno; si sospetta che siano le banche italiane a non rimborsare il debito, perché hanno sempre più bisogno di tenersi in cassa liquidità a costo bassissimo, in vista di perdite enormi che temono (o che già subiscono) sui prestiti commerciali alle imprese.

Possiamo durare anni così, a subire un’agonia economica senza appello da gente che si chiama Olli? Gente per la quale i dogmi ideologici «europeisti» passano avanti alle sofferenze di dieci milioni di greci? E fino a quando i greci subiranno questo gigantesco esperimento e l’immensa e brutale regressione sociale che ne deriva? Fino a quando lo subiremo noi? A lungo, temo, finché ci faranno credere che non ci sono alternative – e il discorso sulle possibili alternative viene soffocato, come oggi avviene, in modo che l’opinione pubblica le ignora.

Sicché, le voci di speranza, paradossalmente, vengono da chi vede avvicinarsi la catastrofe vera, definitiva. «Entro l’anno, l’Europa arriverà al punto che non potrà vivere con questo euro». Chi lo dice? Felix Zulauf, svizzero, grosso e sperimentato gestore di patrimoni, padrone dal 1990 della Zulauf Asset Management.

Nell’eurozona, Zulauf non vede «nessuna normalizzazione», nonostante la propaganda. I problemi strutturali sono tutti lì, «solo temporaneamente affogati nel mare di liquidità» fornito da Draghi (mille miliardi all’1%). I dati economici reali non mostrano alcun miglioramento. La Francia sta diventando un PIGS. «Hanno creato milioni di poveri», sia perché hanno perso il lavoro od hanno visto i salari tagliati. E adesso, c’è la svalutazione competitiva della grandi valute, dollaro, yen... La svalutazione dello yen, specialmente. Perché mette sotto pressione i produttori tedeschi: di auto, di machine utensili, di prodotti in cui il Giappone è un competitor. A quel punto, ampi settori tedeschi saranno scontenti dell’euro, come i greci e gli spagnoli che scendono in piazza, e gli italiani che mostrano una vera e propria revulsione contro i loro politici. «Gli europei non potranno più vivere con l’euro, e sarà il crash», dice Zulauf.

Per quando lo prevede? «A metà anno».

Fatto interessante, coincide con Sapir, che prevede l’insolvenza definitiva per la Grecia a giugno.

Speriamo. (By Midyear, Europe 'Can No Longer Live With This Euro')

Nel frattempo, però, lei grande gestore di fondi finanziari, dove li investe?, gli ha chiesto il giornalista. E la risposta di Zulauf è istruttiva: «Sto seduto sopra sacchi di liquido».





1) Uno Stato ottiene l’attivo primario quando le sue entrate tributarie sono superiori alle uscite, ossia quanto spende meno di quel che prende. L’Italia è già in avanzo primario; il suo problema è l’immane debito pregresso. È il servizio di questo debito, 90 miliardi l’anno di interessi da pagare, a provocare il nostro squilibrio (in altre parole: non pagare questo debito, o pagarlo in parte, ci è possibile).
2) I quali continuano il loro folle progetto: approfittare della crisi per togliere gli ultimi brandelli di sovranità agli stati. Il 5 dicembre 2012, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha presentato un documento, Towards a genuine economic and monetary Union (“Verso una vera Unione economica e monetaria”), secondo cui in futuro tutte le decisioni importanti di bilancio non saranno prese dagli Stati, e men che meno dai parlamenti, ma dal Parlamento europeo. Ovviamente i parlamenti nazionali da solo dovranno accettare il loro scioglimento firmando formalmente un accordo di auto-liquidazione. Ciò che i nostri parlamentari sono già disposti a fare. Si avrebbe allora una vera e propria dittatura tecnocratica.


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