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Paolo Mieli complottista. Per uno scopo.
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«Emanuela Orlandi rapita per ordine di Marcinkus». Titolo de Il Corriere della Sera del 24 giugno 2008. Segnamoci la data, perchè è storica: inaugura l’entrata del Corriere nell’area del fanta-complottismo. Il giornale cosiddetto autorevole, che si è sempre scagliato contro chi metteva in dubbio la verità ufficiale sull’11 settembre, bollandoli da «complottisti», sa superare tutti i complottisti quando gli fa comodo.

La storia riguarda Emanuela Orlandi, la ragazzina 15enne familiare con Papa Giovanni Paolo II e rapita nel 1983, ossia 25 anni fa (diconsi venticinque). Mai saputo più nulla di lei.

Ma finalmente il Corriere l’ha scoperto: prendendo per buoni i ricordi di Sabrina Minardi, che fu amante di Enrico De Pedis detto «Renato», uno dei capi della banda della Magliana, e per sua ammissione cocainomane abituale. La signora ricorda improvvisamente che Emanuela Orlandi fu rapita dalla banda della Magliana «per ordine di Marcinkus», il capo dello IOR, che voleva dare «un messaggio a qualcuno sopra di loro» (al Papa, dunque). Una torbida vicenda.

E poteva mancarci Giulio Andreotti? Naturalmente no: la signora Minardi ricorda di essere andata a cena a casa di Andreotti con «Renato» almeno due volte. Ma «Andreotti non c’entra direttamente con Manuela Orlandi, ma con monsignor Marcinkus sì».

Coloro che credono che l’11 settembre sia stato un complotto hanno allineato una immensa quantità di dati e d indizi oggettivi e convergenti, che vengono derisi come «complottismo» dal Corriere, che così si è sempre esentato dalla fatica di discuterli. Ma il Corriere crede invece alle slegate memorie di una ex-bambola del capo, malamente imbastite con il filo bianco.

Per valutare il livello di complottismo che il Corriere non si vergogna di raggiungere, quando gli fa comodo, basta riportare questo «fatto»: secondo la signora Minardi, Emanuela Orlandi - rapita dal 1983 e ammazzata, dice lei, sei-sette mesi dopo - è stata macinata in una betoniera insieme a Domenico Nicitra, figlio del boss mafioso Salvatore Nicitra.   Ma il figlio di Nicitra fu rapito nel 1993, dieci anni dopo la Orlandi. Non poteva essere macinato nella betoniera dieci anni prima. «Le date non tornano», ammette il Corriere in caratteri minuti. Infatti, non è una incongruenza da poco.

Ma allora perchè il Corriere - il cosiddetto «più autorevole quotidiano del Paese» - dedica il titolo d’apertura ad una simile storia, e tre ampie pagine all’interno? E che pagine, poi: tutte giocate sul filo dell’insinuazione, del «qui lo dico e qui lo nego», che lascia al lettore l’incarico di immaginarsi il peggio. Ho già detto di come Andreotti viene chiamato in ballo: «Non c’entra direttamente con (il rapimento di) Manuela Orlandi». Ma c’entra, magari, indirettamente?

E’ un metodo. Quello mitico del giornalista che chiede all’intervistato che intende rovinare: «Da quando ha smesso di picchiare sua moglie?». E’ una domanda, non un’accusa che può portare a una querela per diffamazione. Ma costringe l’intervistato a difendersi su qualcosa che non ha fatto. E si presta al titolo: «X smentisce: non ho picchiato mia moglie».
I lettori crederanno che l’ha picchiata. E’ un metodo.  Il Corriere lo usa ampiamente in queste pagine.

Citazioni: sul caso della Orlandi «si allunga l’ombra di Marcinkus». Papa Giovanni Paolo II «ha protetto Marcinkus per molto anni, anche quando la sua figura galleggiava in un mare di misteri e sospetti, compreso il suo coinvolgimento nella scomparsa di Emanuale Orlandi (accuse mai provate)». Si riportano la parole della ex-bambola: «Renato (il suo amante Enrico De Pedis, della Magliana) era molto ammanicato con il Vaticano, i motivi posso immaginare fossero quelli di riciclare il denaro. Stavano arrivando secondo me sulle tracce di... Hanno rapito Emanuela per dare un messaggio a qualcuno». Allusioni, puntini di sospensione.

Naturalmente non c’è alcuna conferma, nessun riscontro oggettivo. Enrico de Pedis è morto ammazzato nel 1990, Marcinkus è scomparso nel 2006. Nessuno può confermare la chiacchierata di Sabrina Minardi, specie 25 anni dopo. Ma attenzione, «la donna aggiunge particolari sul nascondiglio: ‘un sotterraneo immenso, in zona San Giovanni». Sai che particolari: in zona. Immenso. Posso immaginare.

Tuttavia, assicura il Corriere, «la donna giorni fa ha ricostruito scene giudicate ‘attendibili’, anche se non mancano incongruenze temporali». Non si dice se a giudicare «attendibili» sono i magistrati che hanno raccolto la testimonianza della ex-donna di De Pedis. Lo lascia solo intendere.

E poi, attenzione, altro titolo a tutta pagina 5: il Corriere intervista Otello Lupacchini, il magistrato che indagò sul gruppo della Magliana e sulla fine del banchiere Calvi sotto il ponte dei Frati Neri, Londra. «Lo Ior e il sequestro per i debiti di Calvi: verità credibile», strilla il titolo, attribuendo il tutto al magistrato. Nel pezzo, in realtà, dopo essersi arrischiato a qualche ipotesi stratosferica, nega proprio la credibilità del tutto.

Marcinkus può essere il mandante del sequestro Orlandi? «Qui si abbandona la logica e si passa alla fantasia», dice il Lupacchini. Fantasia o credibile? Attendibile? Si allunga l’ombra di Marcinkus...

I complottisti che Paolo Mieli irride sanno fare di meglio. Se dunque Mieli fa il complottista, è perchè ha uno scopo. Lo dice il fatto che il Corriere è uscito in simultanea con una trasmissione di RAI3, «Chi l’ha visto?», che ricicciava la stessa storia e la stessa testimonianza di Sabrina Minardi.

Come per dare pià credibilità alla cosa. Due cannoniere della «informazione italiana» che ritengono la testimonianza «attendibile»: come si fa a non crederci?

Paolo Mieli non fa nulla per amore di notizie. Paolo Mieli è figlio di Renato Mieli, ebreo che riparò in Egitto ai tempi della guerra, e tornò in Italia come «Capitano Ralph Merrill»: e con questo nome, in perfetto inglese, per conto degli Alleati vietava e autorizzava la nascita di giornali nuovi nell’Italia cosiddetta liberata. Finito il suo compito, «Ralph Merrill» ridivenne Renato Mieli e prese la direzione... dell’Unità. Evidentemente, su ordine dei suoi superiori anglo-americani.

Paolo Mieli è stato uno dei registi di «Mani Pulite». Era lui che, con telefonate ai direttori di Repubblica, Unità, Stampa, concordava i titoli del giorno dopo: su chi accusare, su chi accendere i riflettori della «giustizia». Fu lui a pubblicare il mandato di comparizione a Berlusconi mentre era ad un vertice a Napoli - pubblicando sul Corriere quello che non era ancora pubblico, ma che il pool gli aveva passato in anticipo. Prima dell’ufficiale giudiziario. La stagione di Mani pulite consentì a un ristretto novero di imprenditori del «salotto buono» di guadagnare migliaia di miliardi di vecchie lire tramite le privatizzazioni: il regalo fu perfezionato dai partiti dell’Ulivo, dopo che molte coincidenze avevano tolto di mezzo il primo imprevisto governo Berlusconi (così come in precedenza avevano tolto di mezzo tutto il pentapartito e risparmiato post comunisti e sinistra DC).

Insomma, se 25 anni dopo Paolo Mieli spara come vero un complotto sostenuto solo dalle memorie scucite di una ex-bambola della Magliana, facendo una figura da giornalista da serie B, vuol dire che - come papà - ha obbedito agli Alleati.

La simultaneità con il presunto scoop di RAI 3 in prima serata aggiunge un tocco alquanto massonico: è mia convinzione - che non ho tempo di sviscerare - che RAI3 sia più massoneria che «comunismo», di questi tempi.

Il poco che posso dire su Emanuele Orlandi è che apparentemente fu rapita come «avvertimento» al Papa, che stava indagando in direzioni sgradite sull’attentato di cui era stato vittima, per mano di Ali Agca. Ali Agca, ogni tanto, negli anni, durante le udienze processuali, tirava fuori la storia: «La Orlandi è viva...». Lasciava capire che il destino della ragazza era legato alle sue fortune processuali? Sappiamo che fu Andropov, capo del KGB, a cercare qualcuno che «potesse avvicinarsi fisicamente al Papa». I servizi bulgari gli trovarono il killer, un Lupo Nero, di «destra».

Giovanni Paolo II - che dai decenni polacchi aveva imparato alcune cose sulla realtà - stava conducendo, per suoi canali, delle indagini discrete. A quel punto, l’allora vicepresidente USA - George Bush padre, che era stato direttore della CIA - chiese un’udienza urgente. Secondo alcuni, disse al Papa: smetta di indagare, mica possiamo dichiarare guerra all’URSS...
Ali Agca era stato addestrato in Libia, in un campo in cui estremisti neri come lui si esercitavano a fianco di elementi rossi, come la Rote Armee Fraktion e l’Armata Rossa Giapponese, e a terroristi palestinesi. Gli addestratori erano due ex agenti della CIA, Frank Terpil e Ed Wilson, che erano stati cacciati dalla CIA insieme al loro capo, Theodor Shackley, con l’accusa di aver allestito una «CIA parallela» che faceva la guerra a modo suo.

George Bush era il grande protettore di Shackley e dei suoi ragazzi, ma non potè nulla contro la volontà di Jimmy Carter (il presidente) di ripulire le stalle. Terpil & Wilson finirono nella Libia di Gheddafi, ad addestrare chiunque. Gli assassini, nel mondo dello spionaggio, vengono condivisi.

Dunque, ora chiediamoci: perchè il Corriere e RAI3 rivangano la storia della Orlandi, su cui insinuano che il mandante fu Marcinkus? Confesso: non so rispondere alla domanda. Non ancora. Ma chiaramente, il complotto imbastito col filo bianco ha di mira il Vaticano. Il futuro ci chiarirà il motivo.


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