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Polonia in guerra con Mosca. Mogherini, niente da dire?
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Il 4 ottobre a Varsavia, davanti al Parlamento, c’è stata una manifestazione di protesta contro l’intervento armato surrettizio del Governo polacco a favore del regime di Kiev. I manifestanti alzavano cartelli del tipo: «No a Bandera», «No ai banderisti». L’allusione è Stepan Bandera (1909-1959), il caporione ucraino d’estrema destra la cui banda armata (Orhanizatsiya Ukrayins’kykh Natsionalistiv o ОУН) durante l’occupazione nazista dell’Ucraina si dedicò alla pulizia etnica della minoranza polacca in Galizia e Volinia, con atrocità inenarrabili. A Bandera si ispirano i gruppi neonazi del Pravi Sektor, che sono nel Governo di Kiev e formano i battaglioni di punizione contro i russi del Donetsk.

Nessuna protesta invece è venuta dalle capitali europee per il fatto che la Polonia – un membro della NATO per volontà americana – metta in pericolo gli altri membri dell’Alleanza con le sue provocazioni armate contro Mosca.

Il Governo polacco sta fornendo armamento e uomini (ufficialmente mercenari polacchi assunti da ditte private di contractors) per combattere nel Donbass. Ha formato una brigata internazionale polacco-lituana-ucraina: 4500 uomini addestrati a Lublino dai parà americani della US 173ma Brigata Aerotrasportata: chiara «manifestazione di intenzioni ostili», come ha detto il viceministro della Difesa russo Vladimir Titov. È noto – ne hanno parlato ampiamente anche i media polacchi – che una novantina di membri ucraini del Pravy Sector sono stati addestrati nel 2013 nel centro di addestramento della polizia di Varsavia. Il corso comprendeva, oltre che esercitazioni agli scontri di piazza, un addestramento di franchi tiratori. «Sono i terroristi addestrati in Polonia che hanno ammazzato la gente durante le manifestazioni di Maidan», ha accusato alla tv polacca il deputato slesiano Janusz Korwin-Mikke. Come «non» sa l’opinione pubblica italiana (i nostri media hanno taciuto questo gravissimo delitto), il 20 febbraio 2013, in piazza Maidan, dei cecchini hanno ucciso sia dimostranti anti-Yanukovich sia poliziotti di Yanukovitch (stessi proiettili, stesso caricatore) allo scopo di invelenire la protesta di piazza.

Il 16 giugno scorso, i ribelli del Donbass hanno abbattuto un Iliushin delle forze ucraine. A bordo hanno trovato documenti in polacco appartenenti ad una quarantina di mercenari polacchi e lituani che evidentemente erano stati inviati in gran fretta a Luhansk, dove infuriavano i combattimenti. Dieci giorni dopo (il 26 giugno) è stato ucciso un cecchino polacco presso Saur Mogila: particolare rivoltante, era una giovane donna , dotata di una carabina di precisione americana di ultimo modello. Nella notte del 12 luglio, un posto di blocco rafforzato del regime di Kiev è stato eliminato presso Ilovaisk: diversi degli uccisi avevano mostrine polacche. Il 2 settembre, nell’infuriare della battaglia per l’aeroporto di Donetsk, i “ribelli” hanno preso prigionieri un gruppo di mercenari polacchi; alcuni di nazionalità e passaporto USA (questi americani di origine polacca hanno la fama di essere specialmente spietati). Una complicità armata nella guerra civile che è stata definita «torbida» da una commentatrice americana, Deana Stryker, nel suo blog EpEdNews di giugno. «Non ci sono ufficialmente unità militari polacche sul terreno», spiegava la Stryker, «ma il coinvolgimento dei polacchi cresce. Non solo Varsavia ha addestrato i terroristi colpevoli del caos di EuroMaidan, ma ha mandato mercenari a colpire i manifestanti (filorussi) nell’Est Ucraina, e ce n’è prova fotografica: Jerzy Dziewulski, già consigliere della sicurezza nazionale dell’ex presidente polacco Alexander Kwaśniewski, è stato fotografato la settimana scorsa a Slaviansk a fianco del presidente ad interim (ucraino) Turchynov». Nelle foto, pubblicate in Polonia, si vedono l’ex presidente e il suo ex consigliere Dziewulski in mimetica, elmetto e giubbotto antiproiettile accovacciati dietro un muretto durante un’«operazione anti-terroristi» a Slaviansk.



Dziewulski si vanta di disporre di una squadra di cecchini addestrati dalla GROM, il corpo speciale polacco.

Alexander Kwaśniewski
  Alexander Kwaśniewski
Personaggi interessanti: oggi, l’ex presidente Kwaśniewski figura nel consiglio d’amministrazione della Burisma Holding, il maggior produttore di gas in Ucraina. È la stessa Burisma nel cui direttivo sono entrati Robert H. Biden, figlio del vicepresidente USA Joe Biden, e un tal Devon Archer, che è un amico di famiglia del segretario di Stato John Kerry. Tutti entrati nella ditta ad aprile, poco prima che cominciasse la spedizione punitiva contro il Donbass. La Burisma, rafforzata da questi americani, ha il compito di sfruttare i vasti giacimenti di shale gas di cui pare sia ricchissimo il bacino (carbonifero) del Donetsk- Dneprovsko; in particolare ha messo gli occhi su un campo detto Yuzov, di 7800 chilometri quadrati, che comprende Slaviansk, Kramatorsk, Krasny Luch, e Svyatogorsk (Donetsk), ma anche Balaklea ed Isyum nella regione di Kharkov. Si capisce la necessità urgente di sterminare i ribelli e spopolare l’area, tanto più che i contratti sono stati già assegnati per lo più alla anglo-olandese Royal Dutch Shell, come mostra la mappa stilata dai ribelli qui sotto:

In giugno la Shell ha confermato il programma, che attuerà appena «la situazione sarà stabilizzata»: progetta di scavare tra gli 80 e i 140 pozzi – sulla «terra nera» più fertile del mondo dell’antico ex granaio d’Europa, che diverrà inutilizzabile per la coltivazione. Nel contratto (art.37, 2) il regime di Kiev si impegna ad espropriare qualunque terreno o immobile ai legittimi proprietari su richiesta della Shell.

Ai russi non sono sfuggite le cospicue forniture di armamenti da parte polacca al regime di Kiev. Già il 16 giugno navi hanno sbarcato ad Odessa formidabili 12 bocche da fuoco VZ-77 da 157 millimetri , 20 chilometri di gittata,



(prodotti nella Repubblica Ceca) tratti dagli arsenali polacchi, insieme ad autocarri e mezzi di trasporto di truppe. Tutto materiale appartenente, come risultava dalle insegne, alla Prima Brigata di Artiglieria Mazur, polacca. Il 13 settembre, testimoni oculari abitanti nell’Ucraina occidentale, hanno visto ben 34 carri armati Leopard (di fabbricazione tedesca) superare il confine polacco e poi dirigere verso l’Est in fiamme. Il 19 settembre, Varsavia ha annunciato in pompa magna la creazione della «brigata polacco-lituana-ucraina» ( LITPOLUKRBRIG) già citata, entusiasticamente salutata dai media polacchi come una Mini NATO przeciwko Rosji ossia – letteralmente – «una mini-NATO contro la Russia».

Sarebbe interessante sapere come mai altri membri, più antichi, della vera NATO, fra cui l’Italia, non abbiano niente da obiettare a questo criminale avventurismo polacco, evidentemente «coperto» e istigato da Washington. Basta fare il confronto con gli strepiti internazionali e le minacce della stessa NATO per supposte penetrazioni di truppe e mezzi russi nel Donbass, «prove» di un intervento di Mosca che non sono mai riusciti a documentare. Qui, l’intervento in Ucraina di forze armate polacche, dirigenti polacchi in elmetto ed armamenti pesanti polacchi, sono ben documentati, e gli stessi ripugnanti figuri di Varsavia si vantano di averli lanciati «contro la Russia»; nel completo silenzio – ovviamente complice – degli stati membri dell’Alleanza.

Si tratta di atti gravissimi di aggressione, di presa di parte in una guerra civile di uno Stato estero, di delinquenza internazionale. Sono stati valutati in qualche sede NATO? Gli altri membri dell’Alleanza hanno potuto esprimere il loro parere? Dato o negato il loro assenso?

Detto in altro modo: se la Polonia ci trascina in guerra contro la Russia; è possibile obiettare?

Già l’ammissione della Polonia nella NATO è stato un atto demenziale, essendo notoriamente il territorio polacco indifendibile in caso di guerra, come mostra la storia del Paese periodicamente invaso da Est e da Ovest e spartito fra le potenze vicine; ma la cosa poteva parere meno grave quando le relazioni dell’Europa con Mosca erano cordiali. Ma ora, in pochi giorni, per arbitraria volontà del padrone americano, ci siamo rovinati quelle relazioni di importanza storica, stiamo partecipando ad imporre sanzioni ad una nazione fino a ieri amica e da cui nessun interesse ci divideva; ci siamo auto-imposto danni e costi che saranno permanenti, stante la volontà americana di rendere perenne la rottura degli europei con Mosca e di ampliarne la frattura, ciò che la rende a poco a poco irreversibile. In questa situazione, abbiamo almeno il diritto – come membri storici della NATO – di prendere le distanze dalle provocazioni irresponsabili del regime di Varsavia e dal suo estremismo piratesco alimentato da voglie petrolifere?

O invece siamo noi, l’Italia, i membri junior della NATO e abbiamo l’obbligo di servire tacendo il nuovo membro centrale, la Polonia ultima arrivata, provocatrice irresponsabile di un Paese che avevamo per amico? Ciascuno, temo, può rispondersi da sé. La nostra Ministra degli Esteri Mogherini, per essere scelta come «lady Pesc» in Europa, ha dovuto superare il severo esame dello stesso Parlamento eurocratico e dei baltici e polacchi; ha dovuto dimostrare di non essere «filo-russa»; ciò l’ha ammutolita per sempre.

Ora, vorrei che per un attimo si immaginasse la situazione in cui ci siamo messi da soli confermandoci nella nostra servile «alleanza» ormai ampliata nell’interesse USA ad Est. Forse non tutti capiscono che, con le sanzioni, oggi siamo considerati da Mosca dei nemici potenziali. Ancor meno capiamo che le sanzioni occidentali rafforzano a Mosca proprio quelle componenti interne che salutano l’isolamento dall’Occidente, come occasione per il riarmo e la opposizione totale (spirituale e militare) della Russia al sistema occidentalista corrotto e folle. Con i mesi e gli anni che passeranno, la rottura dei rapporti economici diventerà stabile, definitiva, e la necessità di integrarsi con l’Europa diverrà sempre meno desiderabile e necessaria per Mosca. Varsavia oggi provoca, su istruzioni americane, nel calcolo che questa Russia non risponderà alle sue provocazioni e si lascerà strappare l’Ucraina senza reagire; in pratica, si esime dalla prudenza contando sulla prudenza e il buon senso di Putin e Lavrov.

Pensiamo l’impensabile

Questa riserva di prudenza e moderazione può non essere eterna. Putin ha chiarito in diverse occasioni che la perdita assoluta dell’Ucraina è qualcosa che la Russia non potrà tollerare. Recentemente, ha invitato a ricordare che la Russia «è una primaria potenza nucleare» uscita che è stata derisa dai politici e dai media occidentali come un «atto di superbia e una disperata ricerca di status riconosciuto». È precisamente questo l’atteggiamento più pericoloso ed incosciente: il disprezzo per l’avversario può portare ad approfondire le provocazioni fino al punto che l’avversario stesso si senta con le spalle al muro, minacciato nella sua stessa esistenza (1), necessitato a rispondere: militarmente.

A questo punto, provate a pensare l’impensabile. Che la NATO coi suoi membri scriteriati si trovi in guerra con Mosca. Cosa credete che accadrà? Varsavia sarà occupata in meno di 32 ore; è solo questione di giorni a che, attraversando l’Europa come un coltello nel burro, i proverbiali cosacchi su corazzati finalmente abbeverino i cavalli nelle fontane di San Pietro. Perché – spero sia chiaro a tutti – noi non abbiamo reali forze armate. Le poche centinaia di uomini in grado di probabile preparedness li abbiamo sparsi in mezzo mondo, dove li voleva l’avventurista americano, il Sistema del globalismo armato: Afghanistan, Libano, Kossovo, Iraq... Possiamo avere i russi in Italia, come nemici: e vi assicuro che non sono nemici piacevoli. A quel punto, costretta alla reazione bellica, Mosca non potrà concepire la vittoria come un accurato saccheggio dei nemici, i grassi europei pieni di belle cose e ricchezze, per pagarsi le spese dell’avanzata.

Ciò, s’intende, se il conflitto resta al livello convenzionale, dove la superiorità russa è indubitabile. Ci difenderanno gli americani? Con le loro forze estese fino all’inverosimile nel mondo, la cui capacità di affrontare non “terroristi” ma un vero esercito non sarei tentato di vedere alla prova?

Con le atomiche? Lo creda chi vuole. E non sarebbe il caso di sperarlo.





1) Come non abbastanza noto, nel 1941 il Giappone fu provocato all’intervento contro gli USA dalla sensazione di essere messo con la spalle al muro dalla politica di Roosevelt. All’epoca, il Giappone importava l’80% del suo greggio dagli Stati Uniti. Sotto la minaccia di sanzioni, Tokio offrì a Roosevelt di uscire dall’Asse e di restituire ampi territori già conquistati in Cina ed Indocina. Per tutta risposta, l’Amministrazione Roosevelt congelò i conti che il Giappone aveva in USA, e il primo agosto ’41 impose un embargo totale sulle esportazioni di petrolio e carburanti raffinati. A quel punto, Tokio aveva autonomia energetica solo per poche settimane; perciò accettò la proposta dell’ammiraglio Yamamoto, che da tempo aveva valutato un attacco preventivo per distruggere la flotta USA nel Pacifico, onde raggiungere rapidamente i giacimenti petroliferi del Brunei. Fu Pearl Harbor. Non fu affatto una sorpresa per lo spionaggio americano, che decrittava da tempo i dispacci cifrati giapponesi. Ci fu una volontaria «sottovalutazione», l’ingiusto aggressore tanto desiderato e migliaia di morti americani, e i milioni di morti giapponesi che Roosevelt voleva. È curioso che lo Stato più potente del mondo, ogni sessanta-settant’anni, venga regolarmente aggredito (a sorpresa) da un avversario enormemente più debole, ciò che costringe lo Stato più potente del mondo, che è anche il più pacifico e democratico, ad entrare in una guerra totale, spinto dalla sua opinione pubblica assetata di vendetta. È accaduto nel 1898, quando la Spagna fece proditoriamente saltare la corazzata USS Maine in visita a Cuba (298 marinai americani morti): per vendicare i quali Washington fu costretta a strappare agli spagnoli sia Cuba sia le Filippine. È accaduto nel 1941 contro il Giappone, a Pearl Harbor. È accaduto nel 1964, quando un cacciatorpediniere USA fu aggredito (secondo la versione ufficiale) da quattro navi da guerra nord-vietnamite nel Golfo del Tonkino, ciò che costrinse gli USA ad entrare in quella guerra a cui già partecipava di nascosto. È accaduto l’11 Settembre nel 2001, quando una dozzina di terroristi di Al Qaeda, alla guida di quattro aerei di linea, si sono avventati contro le Twin Towers ed il Pentagono. «Ci odiano per la nostra libertà», spiegò anche questa volta il presidente George W. Bush.




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