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Finalmente, Obama punisce i banchieri. Altrui.
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Il Governo americano vuole imporre una multa colossale – 10 miliardi di dollari, quasi 8 miliardi di euro – ad una grande banca. Motivo: accusa la grande banca di aver effettuato transazioni in dollari per conto di clienti in Iran, Sudan e Cuba, Stati contro cui l’America ha imposto da decenni sanzioni ed embarghi.

La banca è BNP Paribas. Una banca la cui sede sociale è il Francia, di cui 77% dei dipendenti si trova in Europa, e che ricava dai suoi affari in USA meno del 10% dei suoi profitti netti, ossia 2,2 miliardi di euro su un totale di 24,9 miliardi. Invece di incolpare la filiale americana di BNP Paribas – la sola eventualmente colpevole di aver violato norme vigenti in USA – Washington intende punire in modo esemplare operazioni che non cadono sotto la giurisdizione dello Zio Sam; e punire in modo tale, da mettere la banca francese a rischio di serio dissesto.

Come ha fatto flebilmente sussurrato anche il governatore della Banque de France Christian Noyer, «abbiamo verificato che tutte le transazioni incriminate erano conformi alle regole, leggi, regolamenti a livello europeo e francese. Non c’è alcuna contravvenzione a queste regole, né del resto alle regole emanate dalle Nazioni Unite». La delicata allusione all’ONU si spiega: l’ONU non ha approvato le sanzioni USA ai Paesi suddetti, e l’ONU dovrebbe in qualche modo rappresentare o difendere il diritto internazionale.

Come ha spiegato persino il pecorile Le Monde, «in diritto internazionale i Paesi non sono in generale autorizzati ad esercitare delle competenze extra-territoriali come fanno gli USA sanzionando banche estere». Gli USA agiscono in base a «un principio che il procuratore generale degli Stati Uniti, Eric Holder, ha riassunto così: “Nessun individuo, nessuna entità che fa male alla nostra economia è al disopra della legge”».

Christian Noyer
  Christian Noyer
«Legge» è parola grossa in questo contesto. BNP non è stata sottoposta a processo e condannata in tribunale, con i diritti alla difesa che le competono. La questione è stata trattata direttamente dal Governo USA (ossia dal potere esecutivo, non giudiziario) dal capo della divisione penale del Ministero della Giustizia David O’Neil, da capo del dipartimento dei servizi finanziari dello Stato di New York Benjamin Lawsky... e infine dal procuratore del distretto di Manhattan, Cyrus Vance jr. — che, guarda caso, è lo stesso che ha «trattato» nel 2011 lo scandalo sessuale in cui fu coinvolto Dominque Strauss-Kahn, e per cui questo dovette dimettersi dalla presidenza del Fondo Monetario Internazionale.

Se si può parlare di legge, si intenda qui la legge del West: una cosa rapida, conclusa da una corda lanciata alla svelta al ramo di un albero e un cappio al collo del colpevole. È un puro atto d’arbitrio. Ma se BNP si rifiutasse di pagare la mega-multa, perderebbe l’autorizzazione ad operare sul territorio americano, perdendo il 10% del suo giro d’affari.

Le Monde spiega che «Washington dispone di una leva importante per farla applicare (la sua legge): ogni transazione effettuata in dollari deve essere compensata sul suolo americano, ossia passare per una camera di compensazione che valida la regolarità delle transazioni...è precisamente il fatto che le transazioni della BNP siano state fatte in dollari a renderle delittuose agli occhi degli USA».

È un motivo in più per capire l’urgenza di sostituire il dollaro come moneta di riserva mondiale, a cui tende con chiarezza Vladimir Putin e (un po’ meno) anche i signori di Pechino. Qui si vede il puro ricatto che un potere senza scrupoli può esercitare con la sua moneta, e l’uso politico che può farne. C’è anche l’aspetto della concorrenza sleale, o del protezionismo americano sotto altro nome: BNP è presa di mira perché è molto attiva sul territorio americano, sottrae quote di mercato alle concorrenti americane... i dollari che ha guadagnato sono giudicati «troppi», bisogna che ne lasci un 10 miliardi al Tesoro USA. È liquidità, sia detto en passant, sottratta così alle possibilità di finanziamento in Europa: 7 miliardi di euro non sono pochi.

Beninteso, la dirigenza di BNP Paribas, così arrogante fra noi, manifesta a Washington una sottomissione ovina. Sta piatendo e implorando per ottenere una diminuzione della mega-multa (8 miliardi, non 10) anziché contestarne la legalità. Il Governo Hollande, manco a dirlo, non emette nemmeno un belato a difesa della sua banca (1); l’eurocrazia, tace e acconsente: come noto – o piuttosto, come non è noto alla stragrande maggioranza dei sudditi europei – la Commissione Europoide sta trattando in segreto alle nostre spalle, direttamente con Washington e anzi più precisamente con le mega-corporations USA, la stipula di un Trattato Commerciale Transatlantico che renderà definitivamente «legali» i modus operandi predatori che stiamo vedendo a danno di Paribas. La prepotenza americana che già si applica di fatto, diverrà «diritto».

Perché già sono tante la banche europee gravemente punite per aver in qualche modo violato le volontà americane di embargo contro i Paesi che ritiene nemici. Il Credit Suisse ha appena pagato al despota globale 2,5 miliardi di dollari, la HSBC inglese ne ha pagati oltre 1,2 nel 2012; nello stesso anno l’olandese ING ha sborsato all’America 619 milioni di dollari, l’inglese Standard Chartered 667 milioni. Persino Clearstream Banking, la losca, segretissima e potentissima compagnia di compensazione con sede in Lussemburgo, ha pagato una multa di 152 milioni di dollari. La Bank of Tokio Mistubishi ha cacciato alle casse americane 259 milioni di dollari. Evidentemente questo tipo di estorsione sta diventando una voce regolare delle entrate pubbliche dell’indebitatissimo Sstato americano.

E mica sono solo le banche a dover sottostare agli arbitri statunitensi. La General Motors, avendo comprato il 7% del capitale di PSA Renault-Citroen, ha preteso che il gruppo automobilistico francese non vendesse più una sola auto all’Iran: e ne aveva vendute nel 2011 più di 450 mila, mentre non ne vende nessuna in USA. Un danno enorme, la perdita del 19% del mercato estero per le auto francesi. Ed anche questo, sopportato senza un lamento.

Ecco almeno una bella lezione per coloro che esaltano la globalizzazione come occasione per «ottenere capitali» da fuori, e bramano di «attrarre investimenti esteri», ossia far comprare le proprie aziende da interessi stranieri — che poi non sono solo finanziari, come si vede.

Che dire? Ci si può almeno consolare pensando che Obama e il Congresso non sono riusciti a mettere le redini a JP Morgan e Goldman Sachs la loro banche d’affari, colpevoli della crisi dei subprime (ed altri scandali) che ci ha fatto cadere nell’abisso di depressione in cui ci dibattiamo; ma almeno è ben capace di disciplinare le banche altrui, di imporre regole e normative con la dovuta energia.

Ma anche questo non è del tutto vero. Nel 2012, si diceva, l’inglese HSBC (Hong Kong Shanghai Bank) era stata condannata a una multa di 1,2 miliardi di dollari — molte volte meno che BNP Paribas: e sì che la mega-banca inglese non era solo accusata di aver fatto transazioni ai Paesi sotto embargo, ma anche di aver finanziato i cartelli di narcotrafficanti messicani, e di avere tra i suoi maggiori clienti dei gruppi finanziatori di «Al Qaeda»: veri e propri comportamenti delinquenziali. Eppure nessun processo è stato intentato, nessuno dei suoi massimi dirigenti chiamato in giudizio a titolo personale per i reati penali, ancorché solidamente comprovati. Solo la multa, che la HSBC aveva pagato con sollievo. Come mai? Il procuratore americano che aveva in mano il dossier con le prove degli atti criminali dei banchieri britannici, spiegò: «Far fallire la HSBC? Mica possiamo mettere in pericolo il sistema bancario mondiale». Apparentemente, per Paribas, possono.

Questo è il genere di «diritto» che entrerà pienamente in vigore quando i nostri governanti, e la Commissione Europea che governa loro, avranno firmato il Trattato di Commercio Transatlantico. Oltre, naturalmente, a quel che ne consegue: OGM, MON810, latte gli ormoni, pollame al cloro, maiale alla rattopamina». È come ha scritto persino un editorialista di Libération –proprietà dei Rotschild (ma sul suo blog, mica sul giornale) –, «la fine del modello europeo sociale, economico, industriale, culturale e ambientale, la fine della libertà dei consumatori».

Ma qualcuno compra debito americano…


Per dire a che punti arriva il servilismo europeo – del tutto inavvertito dal pubblico, raccontiamo questo: da qualche settimana, mentre la FED «stampava» a più non posso, Russia e Cina, e i BRICS in generale, anzi i maggiori miliardari americani (2) si liberavano a più non posso di Treasury Bills (buoni del Tesoro) americani: un’operazione che poteva far vacillare il debito USA. Invece interviene un misterioso benefattore che si mette a comprare debito americano a perdifiato. Il benefattore pare avere tasche senza fondo, compra oltre 340 miliardi (miliardi!) di dollari... Ebbene, chi è il benefattore sfondato?

Il Belgio. Il piccolo eroico Belgio. Che ha le finanze dissestate di suo, e un debito pubblico pari al 140% del Pil. E con un Pil di 480 miliardi appena, vuol dire che ha comprato Treasuries per quasi il suo interno prodotto interno lordo di un anno, e ciò in poche settimane. Di colpo, il Belgio diventa il terzo compratore mondiale di debito USA. Com’è possibile?

A guardar meglio, si scopre che a fare gli enormi acquisti è una speciale finanziaria belga, chiamata Euroclear. Che non sarebbe propriamente una banca. È una camera di compensazione che consente alle banche di trasferire alla velocità della luce i capitali roventi dall’uno all’altro capo del mondo, custodisce i titoli, gestisce i collaterali, eccetera. Creata da JP Morgan (guarda guarda) di cui è stata praticamente un ufficio, nel 2000 è formalmente una ditta a sé (forse il conflitto d’interessi era diventato troppo svergognato?). Per i suoi clienti, come recita nel suo sito, Euroclear gestisce «attività stimate a più di 22.000 miliardi di EUR. Il valore complessivo annuale delle operazioni su titoli concluse per voi dal gruppo Euroclear ammonta a più di 580.000 miliardi di EUR». Sì, avete letto bene: 22mila miliardi, e 580mila miliardi. Ovviamente fa profitti colossali senza alcun rischio, dato che da ogni transazione o servizio reso screma una commissione: sui «mila miliardi», dev’essere un bel gruzzolo.

Fra i clienti di Euroclear ci sono praticamente tutte le Banche Centrali, 120 mega-banche e istituzioni finanziarie globali private e clienti privilegiati di cui non si deve sapere nulla. O anche conti segreti di clienti noti, come il Fondo Monetario, Georges Soros, la BCE, e aggiungete voi i nomi che vi pare. Sono probabilmente alcuni di questi grandi clienti comprare i Treasuries americani, usando Euroclear come «facilitatore». Magari è Mario Draghi che dà un aiutino agli USA (dopotutto, è un Goldman Sachs), magari è la Banca dei Regolamenti Internazionali o il Fondo monetario come sospetta Zero Hedge.

Noi ci limitiamo ad osservare come l’Italietta, la Grecia, e noialtri Club, non abbiamo mai potuto godere di acquisti amichevoli dei nostri Bot e Btp, che fingendo una «domanda» per la nostra carta straccia, ne tenessero bassi gli interessi; per noi gli interessi, il famoso spread, è stato aumentato in quelle memorabili giornate, quando si trattava di detronizzare Berlusconi (e con lui Tremonti).





1) Il Front National ha emesso un comunicato che recita: «data l’importanza della posta in gioco – 10 miliardi – il contenzioso che oppone il governo americano e BNP Paribas è un affare eminentemente politico che interessa direttamente lo stato francese (...) E’ suo dovere e responsabilità difendere e proteggere gli interessi di milioni di depositanti francesi (...). Rischiamo di pagare carissima la rinuncia dei nostri dirigenti ad una politica estera indipendente a beneficio dell’altantismo più forsennato. Va da sé che la banca francese non può permettersi di pagare un’ammenda così colossale, il cui costo sarebbe obbligatoriamente sostenuto dai suoi clienti e risparmiatori». È proprio vero che il FN è un partito xenofobo, razzista, antisemita e di sicuro negatore dell’Olocausto.
2) Non sembra che i miliardari siano del tutto convinti della «ripresa» o «uscita dalla recessione» vantata dalla Federal Reserve. Warren Buffet s’è alleggerito di azioni di ditte statunitensi ritenute sicurissime perché dedite a prodotti di consumo, Johnson & Johnson, Procter & Gamble, and Kraft Foods, ed ha venduto l’intera sua quota nella Intel. Georges Soros s’è liberato praticamente di tutte le azioni del settore bancario, comprese JP Morgan Chase, Citigroup e Goldman Sachs. Il fondo speculativo Paulson & Co., del miliardario John Paulson, ha sbolognato 14 milioni di azioni di JPMorgan Chase. Chiaramente sentono imminente un altro crollo epocale dell’economia USA.


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