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Cristianesimo e progresso
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Non tutti gli dei pagani erano specchio dell’umana miseria. L’Olimpo fu abitato anche da un dio pietoso, intento a soccorrere gli uomini: Prometeo, il provvidente, colui che donerà agli uomini le arti necessarie a piegare gli ostili elementi della natura alle esigenze della vita.

Narra Platone che una divinità insipiente e distratta fece l’uomo privo della qualunque difesa e perciò inadatto alla vita:
«Le altre creature erano accuratamente fornite di tutto e luomo ignudo, scalzo, senza giaciglio, inerme». La miserevole condizione degli uomini mosse a pietà Prometeo: «Allora il dio, non sapendo quale mezzo di salvezza escogitare ruba, insieme con il fuoco, la scienza fatta abito darte e ne fa dono alluomo» (1). Eschilo, dal suo canto, racconta che furono donate agli uomini da Prometeo non soltanto il fuoco e la ragione, ma anche i princìpi di tutte le arti: la caccia, l’agricoltura, la medicina, l’architettura, la navigazione e, in breve, tutte le tecniche necessarie a far prevalere l’umanità su mondo ostile (2).

Per la teologia pagana Prometeo è un dio anomalo e diviso. In lui agiscono due tendenze contrastanti: l’amore per gli uomini e l’empia consapevolezza d’infrangere il sacro (ma non santo) divieto del sommo Zeus. Nella contraddizione che si manifesta in Prometeo è visibile il paradosso, squisitamente pagano, del bene colpevole: l’azione onesta sulla terra è empia nell’alta, inaccessibile sede degli dei. Contro il dio che esercita la pietà verso gli uomini, infatti, si leva una giustizia fondata sull’irosa invidia divina.

Scrive Eschilo:
«Prometeo sottrasse il bagliore del fuoco che è padre di tutte le arti e le offrì ai mortali di tale misfatto bisogna che paghi le pene agli dei e impari a  rispettare la signoria di Zeus abbandonando il suo amore per gli uomini» (3).

Nel mito di Prometeo, la teologia pagana manifesta la sua fonte dualistica. La conclusione della tragedia di Eschilo rivela che sommo dio è colui che compie la somma ingiustizia. Prometeo è figura della misericordia oltraggiata e sconfitta (4).


L’ingiustizia è onnipotente e senza appello, poiché l’ingiusto dio è signore della giustizia
«egli è ferocissimo e tiene in sua balia il diritto» (5). La teologia che contempla la malignità dell’onnipotente dio costituisce la giustificazione dell’ateismo. Non a caso il mito di Prometeo ha conferito forza all’ateismo scientifico di Marx: nello specchio della teologia dualista, il successo delle imprese umane è già associato all’empietà. La conquista del bene appare come un’indegna brama dell’uomo, in una luce che svela l’ostilità divina e in ultima analisi la coincidenza di dio e del male (6). Scambiata la pietà con l’empietà pagana, Marx promuoverà l’emancipazione rivoluzionaria dalla fede in Dio. Nell’orizzonte pagano il bene è attuabile solo a prezzo dell’empietà. Il bene, se attuato, subisce la condanna del supremo signore del mondo: la storia esemplare di Prometeo, e al seguito le catastrofiche avventure di Icaro e di Ulisse, insegnano che sull’avventura umana incombe l’implacabile odio di Zeus.

Non plus ultra
, è la mortificante legge del divenire umano. Ragionevole, dunque, è procedere a ritroso, capovolgere le vie della storia. Mircea Eliade ha dimostrato che la spiritualità pagana è dominata dal tema del grande ritorno, ossia dalla tensione verso l’antimondo, la non creazione, l’essere vuoto di contenuti, l’assoluta assenza di vita. La religione diventa un ostacolo, un potere incapacitante. E peggio che un ostacolo, un incentivo alla dissoluzione. Di fronte all’incubo religioso, la provvidenza appare una passione inutile e dannosa. Esiodo sostiene addirittura che Prometeo ha causato la fine dell’età dell’oro. Ha qui fondamento il paradosso secondo cui l’acquisto delle tecniche necessarie alla conservazione della vita degraderebbe la dignità dell’uomo. L’etica pagana sarà pertanto incentrata sul disprezzo per la vita materiale, condizionata dalla tecnica, in sé empia e sull’orrore per la tecnica, attività vile e perciò associata all’umiliante condizione dello schiavo.


Max Brod ha definito la capovolta religiosità, attribuendo a un dotto pagano il proclama del nichilismo:
«Noi pagani comprendiamo da tempo che ci aggiriamo ebbri davanti a un abisso, votati alla morte. Alcuni sono già stati presi dalla vertigine, gli altri precipiteranno quanto prima nel baratro oscuro» (7).

In opposizione al cielo disperato della religione di Zeus, il Cristianesimo insorge attuando il riscatto e la redenzione dell’umanità, ossia il perfezionamento e l’esaltazione delle ragioni che costituivano il proprio del prometeismo. In questo senso e con le dovute cautele, che sono suggerite dall’ombra catara pesante sull’autrice, si può condividere l’opinione di Simone Weil, secondo cui il mito di Prometeo è un presentimento cristiano: Cristo, infatti, è avverso e irriducibile al nichilismo strisciante nella religione pagana. Cristo è il vincitore, colui che toglie il potere e strappa la maschera della sacralità al principe degli dei, l’avversario del genere umano. La speranza umana è associata al trionfo della Croce:
«Ora si fa giustizia di questo mondo, ora il principe di questo mondo sarà cacciato» (8).

È
questa la verità dell’umanesimo cristiano, che per nessuna ragione al mondo può essere ricondotto al rinascimento degli antichi dèi, sui quali regna l’ostilità di Zeus verso gli uomini e l’ingiusta proibizione del bene. Con intollerante fermezza, San Paolo ha condannato l’ingiusta proibizione del bene umano, dettata dalla dottrina diabolica, intesa a negare «che tutto quello che Dio ha creato è buono» (9). La legge divina è misura delle possibilità del desiderare e dell’avere umano. La condizione creaturale implica, infatti, che il desiderio incontri la benevolenza della legge divina. Ma la strettoia non riguarda le cose in sé buone, che erano odiate da Zeus.

Nel tempo in cui gli iniziati preparavano l’epilogo eco-nichilista del pensiero moderno, Pio XII affermava la liceità del progresso con illuminata risolutezza:
«La Chiesa ama e favorisce i progressi umani. È innegabile che il progresso umano viene da Dio, quindi può e deve condurre a Dio. Accade, infatti, spessissimo, che il credente, nellammirare le conquiste della tecnica, nel servirsene per penetrare più profondamente nella conoscenza della creazione e delle forze della natura e per meglio dominarle mediante le macchine e gli apparecchi, al fine di ridurle al servizio delluomo e allarricchimento della vita terrena si senta come trascinato ad adorare il Datore di quei beni che egli ammira e utilizza» (10).

La cultura di destra, se seriamente impegnata a sottrarre la società italiana all’incombente catastrofe eco-nichilista, propiziata dall’inavvertita restaurazione pagana, non può non aderire all’insegnamento dell’umanesimo cristiano magnificamente riassunto da Pio XII.


Piero Vassallo





1
) Protagora, 321/d 5.

2
) Prometeo, Episodio II.
3
) Prometeo, Prologo.
4
) Prometeo, Episodio IV.
5
) Prometeo, Parodo.
6
) Con piena ragione Sant’Ireneo da Lione, nel Contra haereses, sosteneva che il dualismo gnostico era disceso, per via diretta, dal pensiero pagano. L’eresia dualista di Marcione, contemplante l’opposizione della misericordia praticata da Gesù Cristo alla durezza del Dio rivelato dall’Antico Testamento sembra un perfetto calco del dualismo Zeus-Prometeo.
7
) Confronta Max Brod, Il Maestro, Torino, 1970, pagina 61.
8
) Giovanni XVI, 2; I Corinti, III, 23.
9
) I Timoteo, IV, 4.
10
) Pio XII, Radiomessaggio per il Natale del 1953.


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