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Preghiamo
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«A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio, senza timore e riserbo».

Benedetto XVI ha indicato dunque i tradizionalisti lefevriani come «i nuovi ebrei» di questa generazione. Quelli che si possono odiare con limpida coscienza senza scrupoli, anzi che si devono odiare perchè è politicamente corretto.

Ho sentito a Messa la parabola del figliol prodigo, e mi sono accorto come riguardi questa bufera della Chiesa. Quasi mai si cita l’inizio del passo di Luca, 15-1, che spiega perchè Gesù dice la parabola. La causa è questa: «I peccatori  si avvicinavano a lui per ascoltarlo, e i farisei e i dottori della legge mormoravano dicendo: Costui accoglie i peccatori e mangia con essi».

Farisei: non sono così i prelati e cattolici progressisti, che si sono scandalizzati per la riammissione dallo stato di scomunicati di sacerdoti e fedeli che loro hanno il diritto di odiare?

Da qui la parabola:

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: ‘Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta’. E il padre divise fra i figli i suoi beni. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, se ne partì per un Paese lontano, e là scialacquò tutto il suo patrimonio vivendo dissolutamente.

Quando ebbe dato fondo ad ogni cosa, venne in quella regione una tremenda carestia ed egli cominciò a sentir la miseria. Allora se ne andò e si mise a servizio di un uomo di quel Paese, il quale lo mandò nei suoi campi a custodire i suoi porci. Avrebbe voluto riempirsi il ventre delle carrube che mangiavano i porci, ma nessuno gliele dava. Allora, rientrato in se stesso, disse: ‘Quanti mercenari di mio padre hanno pane in abbondanza, ed io, qui, muoio di fame!... Mi alzerò ed andrò da mio padre e gli dirò: Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio: trattami come uno dei tuoi mercenari. E alzatosi, andò da suo padre. Lo vide il padre, mentre era ancora lontano, e ne ebbe pietà; allora, correndogli incontro, gli si gettò al collo e teneramente lo baciò. Il figlio disse: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono degno di essere chiamato tuo figlio’.

Ma il padre ordinò ai servi: ‘Portate subito la veste più bella e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, si banchetti e si faccia festa; perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto e si è ritrovato’. E cominciarono a far festa
»
.

Interessante anche la figura del fratello «buono»:

«Il figlio maggiore era nei campi. Al ritorno, già vicino a casa, sentendo musica e canti, chiamò un servo e gli domandò che cos’era tutto quello. E il servo gli rispose: ‘E’ tornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello grasso, perché lo ha potuto riavere sano e salvo’. Egli allora si adirò e non voleva entrare.

Il padre uscì fuori a pregarlo. Ma egli si rivolse al padre e gli disse: ‘Ecco, sono tanti anni che io ti servo, senza avere mai trasgredito uno dei tuoi ordini, e tu non mi hai dato mai nemmeno un capretto per far festa con i miei amici. Ed ora che è tornato questo tuo figlio, che ha consumato tutti i suoi beni con delle meretrici, tu gli hai ucciso il vitello grasso. Il padre rispose: ‘Figlio, tu sei sempre con me, e tutto quello che io ho è tuo; ma era ben giusto far festa e darsi alla gioia, perché questo tuo fratello era morto ed è ritornato in vita, era perduto e si è ritrovato’
»
(Luca 15, 11-32).

Il giovane prete, nell’omelia, certo senza voler fare riferimento alla «attualità», ha criticato duramente questo  fratello buono: sì, son tanti anni che serve il Padre, che non ha mai trasgredito, ma proprio lui non ha generosità, nè intelligenza del cuore (così ha detto), nè vero amore per il Padre.

Magari potessimo dire, degli indignati dal ritorno dei lefevriani, che «non hanno mai trasgredito uno dei tuoi ordini». Hanno trasgredito eccome, a cominciare dal Motu Proprio, e forse anche peggio.

Un amico che è in contatto con un altissimo prelato di curia, il quale si occupa della costituzione del clero (sostanzialmente, delle misure disciplinari sui prelati e sacerdoti) mi racconta quanto segue: ho chiesto al curiale in che cosa consista concretamente il suo lavoro, che lo porta qua e là di continuo per il mondo. E lui, sospirando: «Vado a dire alle prostitute che, quando vanno in strada, almeno abbassino gli occhi».

Umorismo ecclesiastico. Ora, cento vescovi hanno proclamato la loro fedeltà al Papa. Avranno abbassato gli occhi?

Naturalmente la parabola vale anche per i lefevriani. E vale per ciascuno di noi, come ogni parola di Gesù. Nessuno si può sentire esente dal rimprovero. E tuttavia, la questione del Concilio - il Concilio che lacera la Chiesa - resta intatta. Persino nel Papa, oso dire con tutta umiltà.

Egli ha citato molto giustamente e profondamente Paolo, lettera ai Galati (5, 13-15): «Che la libertà non divenga un pretesto di vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri.... Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni con gli altri!».

Il Santo Padre si dice «sorpreso dall’immediatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale». Ma poi aggiunge: «Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in San Paolo».

Che tristezza e che dolore. Se è così, noi cattolici qualunque chiediamo con ansia una enciclica di tipo nuovo: una lista completa delle «esagerazioni retoriche in San Paolo», ossia di quelle frasi che non dobbiamo veramente prendere sul serio, che siamo autorizzati a non sentire come un dito puntato dall’apostolo sulle nostre anime, ma scritte tanto per effetto letterario.

Chi si permette di trattare così San Paolo? Hanno forse già «sofferto fino al sangue», come lui? Si rendono conto che con ciò minano la loro stessa autorità e magistero? Perchè se ci autorizzano a vedere «esagerazioni retoriche» in San Paolo, non si vede perchè non dovremmo considerare «esagerazioni retoriche» quelle dei loro testi esegetici,encicliche e tutta l’altra immane produzione cartaceo-ecclesiastica, roba da non prendere del tutto sul serio?

Onore al Papa: appena ha subito una sofferenza, una prova, un’aggressione, e immediatamente ha riconosciuto che quel «mordere e divorarsi», lungi dall’essere un’esagerazione retorica, è una verità letterale, anzi eterna, adatta ad ogni tempo e ad ogni luogo, e detta per ogni uomo. Abbiamo un Papa che si converte ogni giorno; potessimo dire lo stesso di noi.

E tuttavia, da quale tipo di esegesi viene questa, che tende a sentire nelle più dure, accusatorie frasi di San Paolo, dell’apostolo che si è consumato per i fedeli, «esagerazioni retoriche»?

La stessa esegesi, temo, che vede San Paolo «influenzato da ambienti antisemiti» (cardinal Martini), e via via ritiene i miracoli di Gesù una fantasia di ebrei superstiziosi, la verginità di Maria una fòla, la Resurrezione «una elaborazione della prima comunità» (Cristo non è risorto davvero), converge nel  proclamare che gli ebrei hanno il diritto di attendere ancora il Messia, e conclude  nella «teologia» mancusiana, secondo cui Dio è una parte della natura. E’ l’esegesi egemone e vastissimamente insegnata nelle università ecclesiastiche e praticata dal clero post-conciliare.

La causa e l’effetto di questa crisi, ho paura, sta nell’aver messo da parte Gesù eucaristico. Anche fisicamente: è raro ormai entrare in una chiesa dove il tabernacolo sia al centro. Lo si deve cercare in qualche cappella laterale, dove se ne sta lì umiliato, come un parente povero e imbarazzante. Con la scusa che con la «nuova» liturgia il sacerdote dà la faccia ai fedeli, con la scusa di non dare la schiena a Gesù, i sacerdoti, anche bravissime persone, si sono affrettati a mettere Gesù a lato, in un cantuccio. Che è peggio che darGli di schiena. Si finisce per dimenticarselo un po’, come Presenza Reale.

Un peccatore che entra in chiesa non trova Gesù al centro del suo sguardo; eppure, come insegna Luca, «i peccatori vengono per Gesù», non per i sacerdoti - se non come sacrificatori, portatori di Gesù nel pane e vino. Nessun fedele, nemmeno progressista, credo abbia mai reclamato quella relegazione fisica della Vittima, del suo sangue e della sua carne, anima e divinità. E se cominciassero a praticare l’obbedienza al Papa che proclamano, rimettendo Gesù al centro di ogni chiesa?

Un amico mi ha appena mandato una mail:

«... Volevo riferirti un fatto che mi ha impressionato.

Stasera sono stato a confessarmi da un sacerdote (stimato, ma non è quello che hai conosciuto) che mi ha invitato, come penitenza, a pregare per le persone che stanno perdendo il lavoro.

Non so come, mi è venuto in mente di proporre di pregare anche per il Papa che, gli ho detto ‘deve essere molto solo se il cardinal Bertone ha ritenuto di evidenziare che i vescovi sono con lui’.
Il sacerdote ha risposto che, conoscendo la curia romana, il Papa ha qualche problema; al che ho detto che forse non si tratta della sola curia ‘romana’ ma del ‘clero’ in generale che cerca di mettere il bastone fra le ruote.

Con mia sorpresa ho visto il sacerdote innervosirsi:

‘Se il Papa non si consulta e fa di testa sua, non deve stupirsi che ci sia una reazione ai suoi errori’. ‘Ma quali errori - ho risposto - immagino che il Papa si consulti, ma poi decida di testa sua, in fin dei conti il Papa è lui’. ‘Appunto, è il Papa, farebbe meglio a consultare gli altri’
».

Lasciami indovinare, amico: in quella chiesa, Gesù è in una cappella laterale?

L’amico conclude: «Questo è quanto, ma credo dovremo pregare per Benedetto XVI».



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