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Un’altra falsa scienza al capolinea
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Quante volte avete letto o ascoltato le promesse di genetisti e (soprattutto) mestatori ideologici dello scientismo? La mappatura del DNA ci consentirà di curare il diabete, il cancro, le malattie cardiovascolari, la sclerosi multipla, l’asma, e forse anche il ginocchio della lavandaia. Quante volte i media vi hanno annunciato: «Scoperto il gene anti-tumore», «Scoperto il gene dell’omosessualità», o persino «il gene che fa ricrescere i denti»? (1).

Basta solo «non ostacolare» la Scienza con «moralismi arretrati», consentire il rimestare di embrioni e non impedire la manipolazione del «materiale umano» genetico.

Ebbene, contrordine. Il gene del tumore non si trova, per non parlare del gene che fa ricrescere denti, capelli e giustifica l’inversione sessuale. La mappatura del gene non porterà a una nuova medicina-miracolo. La ricerca è in un vicolo cieco, l’alba annunciata era falsa.

Lo ammette uno dei più popolari genetisti inglesi, il professor Steve Jones (un omonimo di una più famosa pop-star: sarà un segno?), in un ironico articolo su Telegraph (2).

Da cinque anni, racconta Jones, abbiamo sperato che cancro, diabete, eccetera fossero causate da un «piccolo gruppo di varianti genetiche». Che sarebbe bastato rintracciarle questo blocchetto (set) di geni per cominciare a capire che cosa non andava, «diagnosticare i pazienti prima della comparsa dei sintomi, e magari tirar fuori qualche cura».

Abbiamo cercato la doppia elica (il DNA) per identificare «solo» mezzo milione di varianti. Un ente chiamato Wellcome Case Control Consortium ha raccolto 120 mila mappe genetiche di uomini sani e malati, e ci abbiamo lavorato sopra a tutto spiano. Oggi, dobbiamo ammettere che «abbiamo la prova che esiste una eredità genetica, ma i geni stessi non ci sono».

Tanto studio per capire che, se i due genitori sono alti, il bambino da loro generato sarà probabilmente alto (fatto già scoperto da monsieur de La Palisse, ingiustamente privato del Nobel); ma dopo aver misurato 30 mila genitori, e aver appurato che esistono «una cinquantina di geni associati con la statura», si è scoperto anche che «essi contano solo per una parte su venti delle variazioni necessarie a spiegare la somiglianza fra genitori e figli».

Per spiegare meglio cosa ciò significa, il professor Jones (che insegna all’University College di Londra) fa un altro esempio: quello del diabete che colpisce da adulti gli obesi, il cui numero cresce esplosivamente. La ricerca del gene che instaura il diabete nei ciccioni rivela «18 diversi pezzetti di cromosomi sospetti di colpa», ma ancora una volta «essi spiegano meno che una parte su 20 della complessiva propensione ereditaria al diabete».

Che cosa vuol dire? Che «almeno 800 geni possono causare la malattia, o messo in altro modo, che il loro valore individuale come elementi di predizione del rischio è molto piccolo». Diciamolo pure, quasi nullo.

Infatti, prosegue il docente, usando un’altra metafora, le nostre probabilità di essere predisposti ad una malattia come diabete, cancro e disturbi cardiaci, «non dipendono da un singolo lancio di un dado, ma da un gioco di carte con moltissime carte. Certa gente ha ricevuto una combinazione di carte non tanto buona» in questo superpoker. Ma le carte del gioco sono tante, e possono essere mescolate in tanti modi, che «ciascuno perde la partita nel suo modo privato, imprevedibile e complicatissimo». Per lo più, un singolo gene dice pochissimo sul vero rischio.

Conclusione: «Le migliaia di persone che pagano per avere dei test genetici sulla tendenza a una specifica malattia, stanno buttando denaro».

La moda della mappatura del proprio DNA si rivela quello che è: una moda, o un pregiudizio infondato. Steve Jones sostiene che la scienza deve abbandonare la pratica-base della nuova genetica, ossia «mappare altre migliaia di persone». Invece di questo «approccio tipo annaffiatoio», bisogna rimettersi a decifrare «i tre miliardi di lettere del DNA di un picolo numero di individui, per vedere in dettaglio cosa è andato storto». Insomma, ricominciare da capo.

Ma è possibile? Molto significativo e divertente ciò che Steve Jones dice a propria scusa: «Capisco che non è bello ammazzare l’oca dalle uova d’oro, mordere la mano che ci nutre, o – nel nostro caso – criticare il programma del Wellcome Trust, la enormemente ricca fondazione che paga il conto della lettura del messaggio scritto nel DNA umano. Non è bello, ma uno noi, un gruppo di biologi traditori, si ribellano a quella fonte della nostra nutrizione per dire che quel che fa è gradito, ma completamente sbagliato». Ammettiamo che «l’Everest di soldi ha partorito un topolino», che «ci ha portato in un vicolo cieco e dobbiamo ristudiare da capo».

Il lettore riconoscerà in questa metafora un’analogia rovente con quel che è successo al capitalismo terminale: anche a Wall Street e alla City sono stati puntati molti Everest di soldi (e di debiti) sulla scommessa ideologica che il «mercato» si regolasse da sè, sapesse come meglio allocare i capitali; ossia che l’insieme di egoismi e desideri individuali desse un risultato armonioso di accrescimento delle ricchezze: o per dirla con uno dei massimi teorici seicenteschi del capitalismo, che dalla somma dei «vizi privati» nascessero «pubbliche virtù»; e per ottenere il miracolo, bastava che lo Stato non s’impicciasse ad ostacolare i vizi privati coi suoi regolamenti «moralistici».

Ora persino il Financial Times, tempio dell’ideologia liberista, ammette che il capitalismo senza regole ci ha portato in un vicolo cieco.

L’analogia non ha nulla di arbitrario. Lo scacco del liberismo e quello dello scientismo sono aspetti del fallimento della stessa filosofia che cominciò ad Oxford nel medioevo, con la dichiarazione che gli universali sono solo «flatus vocis», ed è finita con la Tatcher chesancì che «non esiste la società, ma solo gli individui che la compongono».

E’ lo scacco dell’ideologia specificamente  anglosassone, l’empirismo ridotto a pragmatismo, e la semplificazione galileiana (utile, quando si tratta di pendoli e piani inclinati) diventata semplicismo applicato ai finissimi processi biologici, con l’occhio al «mercato» come giudice supremo ed oggettivo del «successo».

Come mai infatti il Wellcome Trust ha «Everest di denaro» da buttare in un filone di ricerca che si è rivelato un vicolo cieco? Evidentemente, poteri forti anglosassoni l’hanno visto come «investimento». L’hanno preferito (e trascurato chissà quali altri filoni promettenti, non finanziati), ma in base a quale intuizione? Chi ha reso così sicuri, i ricchi donatori, di investire nella direzione giusta?

L’ideologia anglosassone terminale. Una ideologia confusamente darwinista e brutalmente individualista. Perchè il darwinismo non può essere che confuso dopo la scoperta del DNA, che smentisce l’evoluzionismo – dal punto di vista genetico non esistono «forme semplici di vita», il DNA dell’insetto non è meno complicato di quello dell’uomo, ogni microbo unicellulare è sofisticato come un vivente pluricellulare.

Ma che importa? Accumuliamo Everest di soldi in questa scienza (o nei prodotti derivati di Wall Street), e «forzeremo» la verità, otterremo costi quel che costi la conferma della teoria – che sia darwinismo biologico oppure sociale.

Pensateci, non siamo tanto lontani dalla realtà  La decodificazione del DNA poteva portare a una riconferma della visione della vita come «tutto» che viene prima delle «parti», come architettura olistica. Dopotutto, il DNA è un codice d’istruzioni, ossia un gran libro da comprendere in quanto opera significativa. Ma per lo scientismo anglosassone come per la Tatcher, la «Divina Commedia» non è un poema di cui occorre comprendere il significato complessivo, perchè questo è meno importante dello studio delle parole, anzi delle lettere, che la compongono.

In mano al ben finanziato scientismo anglo-americano, la genetica del DNA è diventata un business da completare in fretta, per ottenere risultati utili al «mercato» farmaceutico; si sono studiate le parti del genoma che costruiscono le proteine – dapprima sul presupposto semplicistico che «un gene costruisce una proteina», e poi imperterriti davanti alla crescente coscienza della complessità ricombinante della doppia elica, «libro vivente» – fino al punto di gettare nella spazzatura più di metà del DNA, quello che non esprime proteine, chiamato  DNA silente, o all’americana «DNA spazzatura», inventandosi la teoria che questa parte enorme del genoma fosse un residuo di passate «mutazioni» darwiniane o «selezioni naturali» abortite. Teoria dimostrata falsa – il DNA silente «parla» a suo modo, è necessario al tutto – ma che non ha indotto ad un ripensamento di tutto l’approccio riduzionista.

C’è in questo semplicismo una violenza brutale, che è profondamente anti-scientifica, oltre che anti umana – ma ovvia per chi sente che non esiste l’Uomo, ma solo milioni di uomini individuali.

Lo si vede perfino nei piccoli particolari: vi allude il professor Jones quando parla della ricerca (vana) del gene che, in età adulta, induce il diabete negli obesi. E’ la ricerca della «pillola che fa restare sani gli obesi», una violenta forzatura: sarebbe più semplice mangiare meno. Sì, ma con poco profitto per il business industriale-alimentare, e per le case farmaceutiche. E soprattutto, i vizi privati non vanno regolati, tutti insieme formano le pubbliche virtù – del profitto.

A ben pensarci, è lo stesso modo in cui gli americani hanno ridotto la guerra: il volume di fuoco sostituisce la sagacia tattica e strategica, la sovrabbondanza di elettronica nella speranza di rendere superflua la dedizione e il coraggio dei soldati.

Mi domando quante altre branche della scienza sono state finanziate per condurre al vicolo cieco. Chissà se costosissimi acceleratori alla ricerca di bosoni, il rimestare su una «teoria delle stringhe» non abbiano in realtà ritardato la ricerca, anzichè farla avanzare, come il rimestare mortuario su feti, embrioni congelati e cellule staminali?

Un risultato mi sembra evidente: il blocco del progresso scientifico stesso, il blocco intellettuale, in una parola – l’istupidimento dell’Occidente. Istupidimento letale, e suicida.

Ahmadinejad ha detto la verità.



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Nobel peace laureate Elie Wiesel stands among Jewish sympathizers and demonstrators at the entrance of the press room after Iranian President Mahmoud Ahmadinejad delivered his speech during the opening of a five day UN review conference on racism on April 20, 2009 at the UN Offices in Geneva




No, non siamo fuori tema. Anzi. Della stupidità occidentale abbiamo avuto una visione plastica e comica alla conferenza «contro il razzismo e la xenofobia» di Ginevra. Appena l’iraniano Ahmadinejad ha denunciato il razzismo israeliano, tutti i membri della UE sono usciti dalla sala, in fila come bambini. Mancava solo che si tappassero le orecchie e strillassero, come scolaretti, «Non ti sento! Non ti sento! Tu-tu-tu!» (3).

Spettacolo triste e ridicolo. Si indice una conferenza ONU contro il razzismo, ma dove è vietato per principio parlare di Israele: cioè in questo secolo il solo Stato dove il razzismo è «istituzionale», perchè conferisce la cittadinanza solo a chi può dimostrare di avere sangue ebraico.



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Di che cosa resta da parlare? Della «xenofobia» dei teppisti da strada, del razzismo delle tifoserie? No, probabilmente si volevano colpire i partiti che esprimono intenzioni di limitare l’immigrazione («politiche anti-immigrati»).

L’intelligenza europea si sta suicidando a forza di vietarsi di far domande, muore di overdose di politicamente corretto. Si tappa le orecchie, e volontariamente, di fronte alla verità.

Come volete che possa avanzare la scienza? O, semplicemente, la civiltà?



1) Non sto inventando niente. «Scoperto il gene che fa ricrescere i denti» è una notizia apparsa sui media il 28 febbraio scorso. «Scoperto il gene che blocca le metastasi», lo annuncia il Corriere della Sera il 7 aprile. Nel dicembre 2006, secondo i giornali, è stato «scoperto il gene che dà il piacere di fumare». In pochissimi mesi, sono stati scoperti «il gene che dà forma ai pomodori», il gene «che aumenta il rischio ictus», il gene che «difende le piante dalla siccità», quello che «presiede alla formazione del sangue». E non dimentichiamo la «scoperta del gene che rende immuni dal virus HIV», avvenuta nel 2007.  Ora, risulta che queste scoperte siano state alquanto esagerate.
2) Steve Jones, «One gene will not reveal all life's secrets», Telegraph, 20 aprile 2009.
3) Questo atteggiamento infantile fu proprio degli ebrei di fronte alla predicazione cristiana; nelle sinagoghe in cui Paolo predicava, si tappavano le orecchie e strillavano per non sentire. Ora, siamo obbligati a pargoleggiare noi.


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