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Cultura politica, ZERO
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Ciò che avviene in Italia – o meglio, ciò che «non», avviene – è un fenomeno storico inaudito, addirittura sbalorditivo. Voglio dire: mai è stato così chiaro l’imperativo politico, e mai è stato così tradito dalla classe politica.

Mai sono state così evidenti le «cose da fare», e mai è stata constatata una incapacità così totale a farle, o una così evidente cattiva volontà. Mai si è configurata una situazione così palesemente esigente una rivoluzione, il rovesciamento della classe politica, e mai s’è vista tanta passività.

Primo, plateale esempio: la necessità, l’imperativo di troncare ai partiti poltici i truffaldini rimborsi elettorali, che in realtà rimborsano 5 o 10 volte le spese. Sono quei milioni in più della Margherita (31 rispetto ai 10 di spese sostenute), e della Lega (41 milioni e mezzo di «rimborsi» contro i 3 spesi) la causa degli ultimi, rivoltanti scandali che hanno trascinato nel fango i leader dei due partiti: riformare converrebbe persino a loro. Glielo ripete persino il presidente Napolitano (tranquillo che i suoi rimborsi sono intoccabili), di legiferare al più presto una riduzione dei rimborsi, perchè qui è in gioco la «demokràtia». Macchè: quelli nei due parlamenti, gente non eletta che teme soprattutto le elezioni, si stanno mettendo d’accordo, sotto sotto, per una finta riformetta che mantenga loro i milioni indebiti; del resto, gliene stanno arrivando altri 200... È logico che non abbiano fretta (1).

C’è da vergognarsi a ricordare nozioni lapalissiane, ma ricordiamo l’abc: quando nella cittadinanza emergono esigenze, aspirazioni o bisogni reali inappagati – spesso espressi come malcontento e malessere – l’ovvia ambizione dei politici dovrebbe essere quella di dare voce politica a quelle istanze che il potere lascia insoddisfatte, organizzare lo scontento in massa d’urto, blocco di voto o azione sociale, strutturarlo in programma politico.

Ditemi voi se, oggi, c’è un solo partito che si provi a dare espressione ed organizzazione ad una qualunque delle istanze reali che emergono così drammaticamente nella società: la disoccupazione giovanile, la miseria imminente per ipertassazione, il crollo del credito e il gigantismo parassitario, i suicidi di imprenditori, l’euro forte, il governo dei pignoratori internazionali, inteso a farci pagare il debito pubblico impagabile.

Voglio dire: dare voce «politica», ossia tradotta in un programma alternativo compiuto, non già quattro urlacci leghisti sul «Nord tartassato», o la difesa losco-sindacale del loro articolo 18 che non serve a nessuno ma è il «loro» pezzo di potere. Quella non è opposizione, è al massimo la mormorazione inarticolata e inconcludente della gente – quella appunto da organizzare, unificare attorno a un progetto, e lanciare nell’azione. E la «onestà politica» consiste nel non distorcere le istanze reali e maggioritarie verso falsi scopi: tipo «difesa dell’articolo 18», il matrimonio fra omosessuali («istanza magioritaria»?) o la «soluzione» dell’IDV, dare tutto il potere ai procuratori senza contrappeso, in una Mani Pulite permanente.

In altre parole: tutti i partiti oggi esistenti, che si dicono nostri rappresentanti e da noi strapagati, non ci rappresentano. Tutti, Margherita, ex-AN, Pdl, Pdl, Lega, sono sopravvissuti ai loro programmi politici (non importa qui se buoni o cattivi) da loro stessi abbandonati e traditi. E cosa li fa sopravvivere? Non tanto i voti (Rutelli, chi lo vota?), ma i rimborsi elettorali, che loro stessi si sono dati per legge, 10 volte superiori alle loro spese. Non avendo più alcun programma politico, non spendono più tanto in politica; spendono per i loro lussi privati, per piazzare figli amici e parenti nei lucrosi posti pubblici. Infatti non aspirano a radunare attorno a sè le maggioranze: a loro basta avere il 6% per godere dei rimborsi, e per avere il potere di ostacolo e dei veti incrociati, in cui consiste la politica senza programma. Intanto, sostengono il governo dei tecnici –agenti pignoratori dei poteri forti – contro la cittadinanza e i suoi bisogni più chiari. È così evidente, che ci si vergogna a dirlo.

I politici oggi sono la «democrazia» come nella famosa barzelletta romena dei tempi di Ceausescu e della sua dittatoriale famiglia (fame miseria e repressione):

«Che cos’è lo Champagne?». Risposta: «È il vino che il popolo romeno beve ogni giorno – tramite i suoi rappresentanti».

Sono dunque da rovesciare, mandar via, eventualmente appendere all’ideale piazzale Loreto. Questa oggi non è, come strillano il presidente Napolitano o il direttore del Corriere della Sera, «antipolitica»: l’antipolitica, è la loro. Appenderli a piazzale Loreto, è il necessario inizio del far politica di nuovo.

Naturalmente, non basta la jacquerie: occorre anche che si avanzi la proposta alternativa al programma Monti-e-banchieri.

Anche questa è estremamente chiara. Il programma di Monti lo conosciamo dai frutti, e sappiamo che ci conduce allo strangolamento economico, alla desertificazione di imprenditorialità e competenze, e infine, al fallimento comunque – perchè l’ideologia che lo conduce, quella dei creditori contro i debitori, è per sè votata al fallimento, esattamente come lo fu il programma comunista.

L’alternativa al programma Monti è dunque questa, di semplicissima enunciazione:

1) Avvertire la popolazione che non esiste soluzione indolore per la situazione presente.

2) Proporle di uscire dall’euro e ripudiare o svalutare il debito (del resto, l’hanno contratto i nostri oppressori, moralmente non siamo obbligati a pagarlo).

3) Rendendo chiaro che questo programma provocherà due anni di tragedia, ma con la certezza della ripresa. E del futuro per i nostri giovani.

4) Chiarire che questa è «la guerra», il che significa mobilitare le energie profonde della parte onesta del popolo per lo scopo collettivo supremo, con una ragionevole speranza della vittoria finale. Dichiarare guerra significa infatti chiamare all’unità di intenti, formare e organizzare l’unità – nonchè en passant, fare processi sommari a traditori, profittatori di guerra e sabotatori dello sforzo bellico.

È un programma semplicissimo? Perfino semplicistico?

Ricordiamo l’abc: i grandi programmi politici sono sempre semplici da enunciare. La semplicità è la loro qualità caratteristica. Difficile è la loro realizzazione: bisogna saper convincere, suscitare onesta fiducia, organizzare il consenso, strutturare il piano in azioni singole e concrete.

Perchè nessuno raccoglie questa bandiera? Colpa dei «nostri» politici attuali, certo. Non hanno nessuna delle qualità che si richiedono a statisti, e con la loro ostruzione e le loro legiferazioni impediscano che ne possano emergere per vie istituzionali.

Ma colpa di una qualità che manca a loro come a noi, cari lettori (ed elettori di costoro): il coraggio. L’audacia. La qualità più essenziale, in cui consiste «l’onestà» del politico, ben diversa dall’onestà del privato cittadino, che non ruba denaro pubblico e si nega fastosi piaceri. Del politico, si deve vedere «perchè» ruba. Cesare aveva continuamente bisogno di miliardi, era pieno di debiti, e s’impadronì di miliardi pubblici. Ma per trasformare la repubblica in impero universale, mica per dare uno stipendio al figlio Trota, e la scuola Bosina alla moglie...

È ovvio, è lampante che un popolo vile si faccia governare da malvagi oppressori. Che un popolo che non fa più paura, finisca saccheggiato e sfruttato, è – diceva Plotino – persino giusto.

Questa viltà e pochezza traspare, lettori, da tanti dei commenti con cui avete gratificato l’articolo «Lega Terrona». Anzitutto, proprio dai simpatizzanti leghisti: tutti a dire che il programma della secessione era impraticabile, inattuabile. E che quindi, loro, gli elettori e i militanti, si contentavano di votare gente che fingeva. Barbari sognanti e celti immaginari.

Dunque c’è una sorta di complicità oggettiva fra la nullità dei politici e la nullità dei loro militanti; gli uni creano gli altri, e si sostengono a vicenda nella passività disonesta.

Giustamente un altro lettore fa’ l’esempio dei croati, che si sono staccati dalla Yugoslavia serba, subendo anni di guerra, quasi disarmati. Poteva fare quello degli sloveni, che assestarono un audace colpo iniziale all’armata serba, da farle rinunciare subito ad ogni programma di riannessione.

Certo, per i capi leghisti, il programma avrebbe significato guai, difficoltà, clandestinità, magari anche anni di galere (i Carabinieri li avrebbero braccati subito). Ma perchè dire fin dall’inizio che era impossibile secessionare, e mandar via Miglio? Pensate a Nelson Mandela: anni di galera, oggi padre della patria in un Sudafrica negro. Come ho detto, non importa che il programma sia buono o cattivo; importa che chi lo propone e lo impone, se ne assuma con coraggio l’attuazione. Oggi Bossi, per non aver rischiato la galera per motivi politici, assiste alla propria rovina per futili e bassi motivi, allo sgretolamento del suo monumento di carta stagnola.

Molto rivelatori certi commenti di questi difensori ultimi del leghismo e del Bossismo: «Al Direttore, cui piacciono i confronti storici...». «Blondet, così colto e documentato su molteplici tematiche, così abile nel fare lanalisi semantica dei bagaudi, quella estetica dei rozzissimi militanti di celtica ascendenza…» (2). In queste ironie c’è la convinzione che la cultura sia un ornamento superfluo, un po’ ridicolo. Invece la cultura – e specialmente la cultura storica – qui viene intesa nel senso più funzionale: serve per l’azione politica. Ricordare i bagaudi non è un ozioso sfoggio di erudizione, è un esaminare cosa è accaduto in situazioni simili all’oggi, per prevedere cosa accadrà e se possibile, ammaestrati, guidare gli avvenimenti futuri. La cultura, cari lettori, serve. È utile (3).

Credetemi almeno una volta. È l’abc di una cultura politica, di cui abbiamo bisogno – per non confonderci nel clima delle passioni «sub-politiche» e mediatiche, per non parteggiare a vuoto, per non perdere altro tempo dietro scopi secondari o falsi. Senza assolvere noi stessi, per i politici che abbiamo.

Si impone la citazione di Ennio Flaiano:

«I nomi collettivi servono a far confusione. Popolo, pubblico... Un bel giorno ti accorgi che siamo noi. Invece, credevi che fossero gli altri».




1) In 18 anni, i partiti hanno incassato 2,3 miliardi in «rimborsi», ma ne hanno effettivamente spesi 580 milioni. Nelle elezioni del 2008, di fronte a spese accertate di 110 milioni, i partiti se ne sono presi 503. Che si sono tenuti nei loro «tesoretti» amministrati di nascosto dai Lusi e dai Belsito, con la combutta dei segretari. Che adesso devono far finta di non sapere. Vorrei ricordare che per anni, quando denunciavo come problema principale gli emolumenti eccessivi dei parlamentari, e la necessità di tagliarli, molti lettori mi rispondevano: ma non saranno questi tagli a risanare la spesa pubblica. Ora, invece capiranno? Non solo le paghe così alte sono diventate «lo scopo» per cui si entra in Parlamento e ci si resta ad ogni costo; sono anche il motivo del furto ulteriore, in miliardi di euro, per cui la spesa pubblica è cresciuta mostruosamente senza controllo. Sono soldi dei contribuenti, soldi nostri. Capiranno i lettori questo altro abc della cultura politica? Già Bersani e Casini tirano fuori il discorso: bisogna pagare bene i politici, altrimenti farà politica solo Berlusconi, il miliardario. Quanto ci vuole a respingere un simile sofisma da 4 soldi (e da 2,3 miliardi)?
2) Altro commento inqualificabile per bassezza e viltà, un lettore scrive: «Siete un sito cattolico: a parte una assoluta mancanza di carità, (cerebro leso a chi ha subito un ictus) se giudicaste santa romana Chiesa, coi suoi affarucci bancari, (...) vedreste che i peccati di Bossi (che, diversamente da tanti capi partito si è comunque dimesso) sono abbastanza veniali...». Qui la viltà morale non teme di farsi confusione mentale, rissa da osteria: «Noi? E allora voi!?», e mettere sullo stesso piano la Chiesa con la Lega; come se poi qui noi tacessimo le magagne della Chiesa... Di questo vomiticcio, mi preme solo rispondere alla presunta «mancanza di carità». Dò a Bossi del cerebroleso perchè lo è, e la sua dipendenza psichica dal «cerchio magico» lo dimostra. La carità dovrebbe essere volta a pensionati con le pensioni tagliate per dare i soldi a Bossi, Rutelli e alla scuola Bosina (della moglie di Bossi). Ogni milione che questi si accaparrano di denaro pubblico, è denaro tolto a pensionati, a malati lasciati senza assistenza, ad anziani bisognosi, a ciechi senza assegno d’accompagnamento, a famiglie numerose senza assegni familiari; è denaro che manca a scuole all’altezza dei tempi, a istituti di ricerca che possono produrre brevetti; sono le opportunità negate a 200 mila giovani italiani esiliati all’estero perchè le loro qualifiche sono «troppo» alte per un Paese di cialtroni strapagati. Ogni Trota in Regione a 12 mila al mese, è un meritevole in meno che occupa un posto di responsabilità che gli spetta. La mia carità si volge ai giovani con il futuro troncato dal debito pubblico fatto da questi politici, ai ricercatori che un decimo dei soldi messi da parte dalla Lega basterebbe a mantenere per anni in laboratori avanzati. Non si deve mai dimenticare il danno che tali politici fanno ai poveri, ai deboli, ai giovani, ai meritevoli: questa è la carità a cui mi attengo.
3) Vorrei ricordare che Cesare, mentre valicava le Alpi in lettiga, scriveva il De Analogia, un trattato di linguistica dedicato a Cicerone (che lo odiava e istigò i congiurati delle Idi di Marzo). E Napoleone, sotto la tenda fra le nevi della Russia, stilò il minuzioso regolamente della Comédie Francaise. Senza essere propriamente degli intellettuali – erano uomini d’azione, che è il contrario – i grandi politici possedevano una forza, vivacita e potenza dell’intelligenza, che si manifestava persino in questi esercizi apparentemente superflui dell’intelletto. Da lì, la loro ampiezza di visione, magnanimità e sicurezza di programma (unita invariabilmente a pelo sullo stomaco, corruzione, insaziabilità: difetti grandiosi che in politica possono essere virtù). Erano il contrario di «specialisti», di tecnici.


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