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Ancora sull’evoluzionismo
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Tornando sull’argomento evoluzionismo il punto sta semplicemente nel fatto che non esiste affatto una teoria «scientifica» sull’origine dell’universo, della vita e dell’uomo.
Dietro quella che si cerca di far passare per tale, ossia per teoria scientifica darwiniana, in realtà vi sono chiari presupposti «teologici» e «filosofici».

Darwin non ha desunto da prove oggettive la sua teoria ma dal presupposto culturale «trasformista» coltivato da suo nonno, che era anch’egli un naturalista, e da tutto un filone filosofico immanentista che ha preteso, riuscendovi, di ergersi a scienza.
Dunque, alla radice del darwinismo vi è una chiara pre-opzione filosofica.
Si può dire però a ragione che anche alla radice delle posizioni contrarie a Darwin, che non sono tutte «creazioniste» nel senso ingenuo del letteralismo protestante fondamentalista americano, essendovene molte sì evoluzioniste ma in senso finalistico, vi sia un’altra pre-opzione teologica o filosofica.
Il che non toglie che sia possibile impostare una epistemologia dei dati scientifici, che nell’ultimo mezzo secolo sembrano molto più a suo favore che a favore del darwinismo, anche sulla base di quest’altra opzione e che essa abbia la stessa dignità scientifica di quella darwiniana.

Alla fin fine la questione resta sempre quella «primordiale»: il mondo è sempre esistito e dunque è eterno e divino in sé e per sè oppure non è esistito da sempre ma ha avuto un inizio ossia un’origine da un Progetto e quindi da un «Progettista»?
Se si accetta la prima opzione si è nel panteismo, qualunque ne sia l’accezione che si preferisce: idealista o materialista.
Se si accetta la seconda opzione si è con il Dio della Rivelazione abramitica, che è, pur  con tutte le ineliminabili differenze tra loro, il Dio di ebrei, cristiani e mussulmani.

Ora, la cosmologia ha appurato che l’universo non è esistito da sempre ma che ha avuto un inizio circa 15 miliardi di anni fa.
Gli scienziati che hanno fatto una opzione in favore della sempiterna esistenza del mondo, di fronte ai dati innegabili che rigettano tale sempiterna esistenza, hanno elaborato altre teorie, attualmente senza alcuna prova né sperimentale (il che è praticamente impossibile) né matematico-deduttiva, secondo le quali il nostro universo sarebbe uno dei tanti, probabilmente l’unico capace di ospitare la vita, tra quelli in continuazione emergenti, come «bolle» in una pentola di acqua riscaldata, da una sorta di «brodo» quantistico primordiale (teoria del pluriverso): come si vede è una teoria che torna all’antico panteismo sebbene spostandolo dall’universo che conosciamo ad un ipotetico «brodo primordiale».
Ed in ogni caso si tratta di una teoria che non spiega niente in quanto rimanda il problema dell’origine più in là dei 15 miliardi di anni di vita del nostro universo: infatti si deve poi spiegare quando e da cosa o da Chi avrebbe avuto origine il «brodo quantistico primordiale».

Anche per l’origine e lo sviluppo della vita sono stati proprio darwiniani convinti come  Stephen Gould a dover ammettere che, dai riscontri paleontologici, non è affatto provato il gradualismo necessario a sostenere la teoria darwiniana e che invece le specie appaiono e scompaiono all’«improvviso», intendendo con tale termine distanze temporali di qualche decina o centinaia di migliaia di anni (un’inezia temporale su scale calcolate in milioni e miliardi di anni).
Dunque, anche per il fatto che l’universo è giovane e recente (circa 15 miliardi di anni) è evidente che non vi è stato il tempo necessario affinché il puro e mero caso postulato da Darwin abbia potuto, con tentativi che il calcolo delle probabilità indicano in miliardi e miliardi di fallimenti prima di azzeccarne anche uno solo, far comparire la vita dalla materia non organica e poi farla sopravvivere in una ambiente assolutamente ostile ed addirittura farla evolvere.
Gould per salvare Darwin ha dovuto ipotizzare, ma non è riuscito a provare, che le trasformazioni sarebbero avvenute per ripetuti salti improvvisi, effettuatisi in poco tempo, tra un intervallo e l’altro di milioni e milioni di anni nei quali invece le forme vitali rimanevano praticamente sempre identiche (teoria degli equilibri puntati).
Una teoria che sembra assolutamente irrazionale e fantastica e che comunque non elimina la possibilità del finalismo intrinseco al processo per salti.

Del resto andrebbe spiegato anche perché il cavallo non è una mosca: ossia, in altri termini, perché, dal momento che il materiale genetico è per tutte le forme viventi quasi lo stesso essendo in comune tra esse per il 90-95%, residuando un 5% con il quale è impossibile spiegare efficacemente l’esistenza di differenze tra le specie, la morfologia tra cavallo e mosca, tra elefante e batterio, sia così variegata.
Bisognerebbe poi spiegare anche come hanno fatto presunte forme ipotetiche intermedie a sopravvivere senza la contestuale presenza di tutti gli organi necessari a ciascuna specie per sopravvivere.
La stessa vita unicellullare è assolutamente complessa (ai tempi di Darwin della cellula non si conosceva niente e la si pensava come semplice ed amorfa) ed impossibile ad esistere senza contestuale presenza di tutte le sue necessarie componenti.
Si tratta della cosiddetta «complessità irriducibile» di cui trattano oggi molti biologi.

Antropologi e biologi oggi sanno che l’Homo Sapiens è apparso all’«improvviso» sulla scena del mondo senza collegamenti o derivazioni con altre specie ominidi: è provato che il DNA del Neanderthal e quello del Sapiens non sono tra loro compatibili e che pertanto non poteva tra loro esserci accoppiamento sessuale e che quindi non vi potesse essere parentela o discendenza.
Lo stesso dicasi tra Erectus e Sapiens.
Resti di Sapiens sono stati trovati in epoche nelle quali esso, secondo la teoria darwiniana, non sarebbe dovuto esistere perché in tal modo diventa contemporaneo o addirittura precedente dell’Erectus, del NeandertHal e di altri ominidi che in passato si è creduto essere suoi  antenati.
Insomma nessuna discendenza tra Erectus, Neanderthal e Sapiens: semmai si tratta  di rami indipendenti e collaterali.
L’Austrolopiteco, ormai è risaputo, non era altro che una scimmia, antenata semmai delle scimmie attuali ma non del Sapiens.

Infine si pensi al «principio antropico»: molti cosmologi postulano che tutti i dati fisico-matematici sui quali è costruito l’universo indicano che esso è finalizzato all’esistenza della vita ed, in particolare, delle vita intelligente umana.
Basterebbe che anche una sola delle coordinate fisico-matematiche dell’universo non fosse o fosse anche solo leggermente diversa e l’universo stesso o la vita o la vita intelligente umana non sarebbero possibili.

Come si vede, per la scienza postmoderna, non più positivista, è più razionale accettare la pre-opzione che vuole l’universo e la vita come non esistenti da sempre ed originati da una progettualità che rimanda, a questo punto, inevitabilmente ad un Progettista, ad una,  in termini aristotelico-tomisti, Causa Prima.
L’ipotesi panteista, alla luce dei dati a disposizione alla ricerca scientifica attuale, appare caratterizzata dal rischio di un evidente «irrazionalismo».
Insomma, anche la scienza odierna gira sempre attorno alle stesse domande teologiche e filosofiche già coltivate nella Gerusalemme e nell’Atene precristiane: il mondo esiste da sempre o ha avuto un inizio?
E’ meglio l’essere o il nulla?

A seconda di come si risponde ne consegue un sano approccio razionale o un approccio razionalistico/irrazionalistico.
Ciascuno scelga liberamente l’approccio che preferisce, ma tenendo però presente l’esito dell’uno o dell’altro approccio, anche se la scelta «libera» non è semplice visto il prevalere dell’informazione «scientifica» alla Piero Angela o alla Odifreddi.

Luigi Copertino


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