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Il cretinismo scientifico
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E' verso il 1890, spiega Ortega y Gasset, che «assume la guida intellettuale d'Europa» lo scienziato mediocre.

«Un tipo di scienziato senza esempio nella storia: un uomo che, di tutto ciò che occorre sapere per essere una persona intelligente, conosce soltanto una scienza determinata, e anche di questa conosce bene solo la piccola parte di cui è investigatore attivo. Egli arriva a proclamare come virtù questa sua carenza d'informazione per quanto rimane fuori dall'angusto paesaggio che coltiva specificamente».

La scienza avanza veramente non grazie a questo tipo umano, ma a scienziati grandi e veri: quei pochi che, di tanto in tanto, sentono che la scienza «ha bisogno, come organico ordinamento del suo stesso sviluppo, di un lavoro di ricostituzione» su nuove basi.

Questo «lavoro», altamente intuitivo, «è di volta in volta più difficile e ogni volta ricollega regioni più vaste del sapere totale».

Questi veri scienziati esercitano dunque la forma più difficile dell'intelligenza, l'arte della «sintesi». Newton fu uno di questi: non smontò la visione del mondo aristotelica, ma la spiegò come caso particolare all'interno di una teoria più ampia.

Einstein fu un altro: e la teoria della relatività  include la teoria di Newton come caso particolare  («ricollega regioni sempre più vaste del sapere») e fornisce una nuova, rivoluzionaria concezione dell'universo.
Dopo Einstein, il tempo dei fisici è una dimensione dello spazio: qualcosa di inimmaginabile per l'uomo comune.

In quanto intelligenza sintetica, Einstein si riconosceva un matematico mediocre (o meglio, «impaziente» nel minuzioso lavorio matematico), e si affiancò al matematico Levi Civita, simpatico ebreo napoletano, per formulare con rigore la sua teoria.

In compenso, Einstein si saturò di Kant e Mach: ritenne necessario, per far avanzare la fisica, tuffarsi nella filosofia della conoscenza, ai limiti estremi della gnoseologia.

Un altro raro genio del genere fu Gregorio Mendel, il monaco che, coltivando piselli, scoprì le leggi della genetica, e senza il quale non sarebbe stato possibile capire le funzioni del DNA.

Un altro ancora fu Pasteur, che identificò nei microrganismi la causa delle malattie infettive, e cambiò la medicina da capo a fondo.

Un altro ancora fu Mendeleieff, che intuì che tutti gli elementi inorganici minerali possono essere posti in una scala continua grazie al loro peso atomico.

Un altro ancora fu Wallace, contemporaneo più grande e misconosciuto di Darwin, scopritore della misteriosa linea geografica che, sul nostro pianeta, divide i mammiferi placentati dai marsupiali.

Una volta che questi rari genii sintetici, insieme scienziati, filosofi e umanisti, hanno messo la scienza su nuove basi, subentra - per riempire di dati i campi aperti dai veri rari genii - lo stuolo degli scienziati mediocri di cui parla Ortega.
Costoro, lavorando con il metodo inventato da Einstein, Mendel o Pasteur «come si lavora con una macchina» o un computer, riempiono i vuoti di dati più o meno «nuovi».

Grazie alla stabilità  e all'esattezza - e insegnabilità  - di questi metodi, tutto un esercito di mediocri fa progredire la scienza parcella per parcella.

Gran parte del lavoro cosiddetto scientifico in fisica o biologia «è lavoro meccanico del pensiero che può essere eseguito più o meno da chiunque»: pensate ad esempio al lavoro di sequenza dei geni, ripetizione infinita degli stessi processi di laboratorio che consente la mappatura generale del DNA di ogni specie.

Ripetitivo, parcellizzato, disarticolato.

Per operare, questi mediocri manovali della scienza non hanno bisogno di una vera intelligenza, anzi nemmeno «di possedere idee rigorose sul significato e fondamento del metodo» che stanno usando.

Non hanno bisogno di ripensare in proprio e radicalmente ciò che hanno già  intuito Einstein o Mendeleieff.

Tutto ciò che devono sapere riguarda il settore piccolissimo e speciale su cui lavorano.

Altri poi un giorno dovranno riordinare tutti questi frammenti in una nuova, ardua sintesi.

Lui, lo scienziato mediocre, può ignorare «tutto il resto di ciò che costituisce veramente il sapere».

Il guaio è che quest'uomo mediocre, che ha lo status prestigioso di «scienziato», su tutte le questioni che ignora (la maggior parte) si comporterà  non già  da ignorante qual è, ma «con tutta la petulanza di chi nel suoi problemi speciali è sapiente». (1)

Un biologo che fa la sequenza dei geni o un professore di matematica, ad esempio, «in politica, in arte, nei costumi sociali e nelle altre scienze prenderà  posizione da primitivo, da ignorantissimo: però dirà  la sua con la sicumera e l'aria di sufficienza dello scienziato» che è.

Un simile biologo cercherà  di ridurre i problemi sociali a biologia («E' tutta una questione di enzimi e di ormoni»); il matematico dirà  che la pittura può spiegarsi benissimo in termini di lunghezze d'onda; e che la storia intera può essere ridotta ad un algoritmo.

«Il fatto paradossale», dice Ortega, «è che questo primitivo scientifico nemmeno riconoscerà  che negli altri campi esistono degli specialisti».

Nelle altre questioni della vita, assai più complesse e importanti di quanto intuisca la sua povera mente specialistica, dirà  la sua negando che esista bisogno di ascoltare e studiare prima chi ne sa di più.

Che in politica, arte e religione non esistono i problemi che vedono gli studiosi di quei campi, che tutto è semplicissimo e che lui sa bene come risolvere tutto.

Penso che avrete riconosciuto qui il ritratto di quel certo Piergiorgio Odifreddi.

Questo c…, avendo una laurea in matematica, sta dicendo la sua su: teologia e religione, creazionismo ed evoluzionismo, paleontologia e genetica, linguistica ed etnologia, storia e filosofia. E poiché Odifreddi è più cretino persino di quanto sia c… un normale manovale della scienza, non stupisce che esso abbia largo spazio nelle massime tribune del cretinismo corrente, la TV e la stampa quotidiana.

Quelle che della superficialità  presuntuosa fanno la loro massima, la più vantata virtù.

E' un cretino di grande successo, Odifreddi.

Invitatissimo, specie da quando ha scritto libri del tipo «Perché non possiamo essere cristiani e tantomeno cattolici».

Naturalmente, essendo riduzionista al più ridicolo livello (ossia riduttore delle grandi questioni alle anguste pareti del suo personale cervello), Odifreddi scopre - con tre secoli di ritardo sugli atei materialisti europei - che la religione è una falsità , il cui scopo è la repressione delle masse che vengono atterrite con immagini dell'inferno.

Una sua sotto-teoria, che vale la pena di citare, è questa: i polacchi sono cattolici - la più stupida delle religioni - perché hanno una lingua piena di consonanti; se parlassero una lingua più vocalica come gli inglesi, sarebbero protestanti (che è già  meglio) o atei come i farmacisti francesi dell'800.

Giorni fa m'è capitato di leggere su Repubblica uno scritto di questo c... presuntuoso, dov'egli fa finalmente piazza pulita del mito di Eva e di Adamo.

Mai esistiti, naturalmente.

Lo ha scoperto grazie all'«orologio cellulare», quell'accumularsi di «errori di trascrizione» nei mitocondri del DNA da cui si può - dice - stabilire senza ombra di dubbio la data di nascita dei nostri progenitori.

Odifreddi ha letto da qualche parte che l'orologio molecolare si basa su un ritmo che è pari a «un errore di trascrizione ogni 10 mila anni».

Naturalmente gli sfugge del tutto la natura altamente ipotetica di questo orologio.

Perché mai un errore ogni diecimila anni?

In certi periodi, la cadenza poteva essere stata più o meno irregolare.

Degli «errori», per definizione, non possono avere un ritmo certo: sono imprevisti.

L'ipotesi dell'orologio molecolare è un'invenzione di qualche biologo che vuole, con questo strumento saltellante, comprovare una teoria non accertata, ossia l'evoluzionismo.

Ma questo non preoccupa il cretino

Non ha il minimo dubbio, visto che l'ha letto in qualche libro, riguardante una materia che non è la sua.

Probabilmente ignora che il DNA ha vari livelli di «correzione degli errori», per cui è la materia più stabile dell'universo: squali e coccodrilli esistevano prima dei dinosauri e 300 milioni di anni dopo sono ancora fra noi, identici ai loro antenati fossili.

Gli «errori» non corretti, e che perciò restano nel DNA, sono quelli che avvengono nelle zone del DNA che non hanno influenza sull'organismo, non lo rendono mostruoso né migliore: sono le mutazioni «neutrali» di Kimura.

Odifreddi ignora tutte le ansie, i dubbi e lo sgomento dei veri biologi molecolari, quelli che stanno nella prima linea avanzante della loro scienza, sulla natura sempre più complessa della cellula: un essere vitale unicellulare è complesso come «un organismo pluricellulare», dunque non è una vita «primitiva e più semplice».

Ignora la cautela ipotetica con cui questi avanzano a tentoni nel buio: prende questo avanzare tentoni come oro colato e verità  ormai accertata.

Per Odifreddi, la Eva mitocondriale (con l'orologio saltellante) è nata 150 mila anni fa.

L'Adamo cromosomico, 75 mila anni fa.

Gli pare chiarissimo e non bisognoso di spiegazioni che il suo Adamo abbia potuto «conoscere» una Eva vissuta 75 millenni prima

Semplicemente, Eva era già  sposata, dice, ma con Adami «che hanno avuto una discendenza che prima o poi si è arenata».

E passi.

Il bello arriva quando da esperto di biologia, l'aritmetico salta a giudicare la «mitologia».

La «mitologia antica», quella della Grande Madre, era «giusta» perché conferma ciò che dice quello che Odifreddi crede essere la «scienza»: ossia sottolinea la «centralità  primordiale della donna, la sua profusione di fertilità  e di abbondanza».

Solo dopo, assicura, gli uomini, avendo preso il potere, hanno affiancato a Iside e ad Afrodite «figure femminili di morte, da Kali ad Eva, il cui mito non è altro che una delle innumerevoli variazioni sul tema della subalternità , biologica e morale, della donna rispetto all'uomo».

E così, l'intero scibile delle «cose prime» è sistemato: è tutta una questione di maschilismo repressivo.

Facilissimo.

Come mai nessuno ci ha pensato prima del cretino?

In realtà  ci hanno pensato.

Già  lo sapevano i farmacisti massoni dell'ottocento; solo che il cretino, non essendo al corrente (ignorantia elenchi, direbbe Aristotile) non lo sa.

Siccome Odifreddi è un materialista del tipo più rozzo e antiquato, e inoltre il perfetto mediocre descritto da Ortega, quello che  non ammette specialisti nei campi in cui fa le sue puntate da cretino; sarà  ovviamente inutile ricordargli come hanno «letto» questo rapporto della femminilità  con la morte i grandi studiosi di etnografia religiosa.

Il pensiero mitico è un pensiero eminentemente metafisico, una sfera che sta un po' troppo al disopra del cranio di Piergiorgio.

Coloro che lo elaborarono non partivano da orologi molecolari e dal primato della materia.

Per loro, la Dea Madre era fin dal principio anche Kali che danza sui campi crematori, vestita di teste e mani di cadaveri.

Ciò perché il «femminile» dà  la vita biologica, e ciò che ha vita biologica, ineluttabilmente, morirà.

Una nozione che non si studia nei laboratori, ma che fa parte della comune esperienza umana.

Solo che gli uomini e le donne, un tempo, non si contentavano di questo destino biologico. Cercavano una vita che fosse al di là  della vita, che fosse liberazione dalle catene dell'esistere zoologico.

Ragionarono che ogni cosa che esiste di qua ha un lato «materiale» - la sua composizione fisico-chimica - ma anche un lato «formale» o essenziale, che è più importante.

Un coltello può essere fatto di quasi ogni «materia» dura, ferro o pietra o rame; ma ciò che lo rende «coltello», ossia intelleggibile, è la «forma» che gli ha dato il fabbro - non la forma materiale, che può essere varia, ma l'intenzione razionale, il «logos».

E questa forma non è nella materia, ma è prima «pensata» nella mente dell'artigiano.

Allo stesso modo, un seme ha dentro di sé la potenzialità  superiore di essere albero (non occorre studiare il DNA, basta essere intelligenti contadini): e questa potenzialità  è dentro il seme, ma è cosa totalmente diversa dalla sua materia.
Quando quella potenza si attua, diventa atto, essa rivela un'intelligenza assoluta, inimmaginabile a priori.

Dunque, gli uomini (e le donne) cercavano questa vita che è sopra la vita, che è invisibile perché è intelligenza.

Diedero a questa vita il carattere simbolico di virilità , perché nella famiglia umana, se è la femmina a dare la vita biologica, è il padre ad insegnare al figlio a diventare umano: dalle arti della caccia al pronunciare la giustizia in tribunale.
Fare giustizia significa applicare al caso specifico una norma generale, che non è originariamente nei codici, ma «scritta dentro».

Ognuno sa, se non inganna se stesso o non persegue un interesse egoistico, quali azioni sono giuste e quali ingiuste.

E ognuno può stabilire chi ha torto e chi ha ragione in una disputa, in base a giustizia, con accurata ricerca.

Il mondo della caccia, come del tribunale, è tutto un esercizio dell'intelligenza impersonale.

Viene da una sfera che non è biologica, ma oggettiva.

I geometri greci - al contrario di Odifreddi, che non si lascia stupire da nulla, che ha capito già  tutto - seppero ancora meravigliarsi del fatto che gli angoli di un triangolo fanno sempre 180 gradi: e che questa verità  è «lì» anche prima che l'uomo la conosca, anzi indipendentemente dal fatto che la conosca.

Come dice non un profeta biblico, ma Max Horkheimer, la ragione era un ordine presente non solo nella mente dell'uomo, ma nel mondo oggettivo.

In quei tempi antichi (dove gli Odifreddi sarebbero stati esposti al ludibrio che loro spetta, incapaci di capire persino i principii della loro stessa scienza), dice Horkheimer, «il grado di ragionevolezza di una vita umana dipendeva dalla misura con cui si armonizzava con la totalità » della Ragione presente oggettivamente nel mondo.

Per esempio, dei giudici disonesti possono fare deliberatamente ingiustizia al litigante che ha ragione, dando ragione a chi ha torto; ma questo non indebolisce per nulla la legge oggettiva della giustizia, rende solo quei giudici indegni, e traditori della verità .

«La struttura oggettiva era la pietra di paragone per saggiare la ragionevolezza dei pensieri e della ragione individuale», dice Horkeimer. (2)

Invece oggi, aggiunge, la ragione è divenuta un fatto soggettivo, «e interessa soprattutto il rapporto dei mezzi ai fini, l'idoneità  dei procedimenti adottati per giungere agli scopi».

Quanto a tali scopi «si danno per scontati e si ritiene che si spieghino da sé».

Come vedete, qui Horkheimer sta dicendo la stessa cosa di Ortega e dei sapienti metafisici antichi: e indica la differenza fondamentale dallo scienziato cretino - ossia Odifreddi - che si occupa di procedure e mezzi, e dallo scienziato sapiente (Einstein, Mendel, Pasteur) che si occupa dei fini. Esattamente di quei fini che Odifreddi, il cretino¦ scientifico, ritiene «si spieghino da sé» e che non ci sia bisogno di domandarsi se sono veri o no, giusti o no.

Di questo si occupa la religione di cui un Odifreddi, in quanto cretino¦, non sa giustamente che farsene.

E per questo Cristo è «vir», e non femmina.

«Ciò che nasce dalla carne [della donna] è carne, ciò che nasce dallo spirito è spirito» e quindi oggettivo.

Quindi eminentemente «sottratto alla morte».

La funzione del padre, di ogni padre, è quella di inserire il figlio biologico nella realtà  superiore alla biologia, nell'impersonale, eterna verità  oggettiva.

C'è un'acqua femminile, l'acqua  di pozzo della Samaritana, che chi la beve torna ad aver sete; e c'è un'acqua che zampilla da sempre e per sempre, che toglie per sempre la sete.

Ma non parlate di Cristo al cretino.

Il c… risponde: «Del Gesù 'storico' c'è poco da dire, letteralmente, perchè di lui non ci sono praticamente tracce nella storia ufficiale dell'epoca: in tutto una ventina di righe nelle opere di Plinio, Tacito, Svetonio e Giuseppe Flavio, tra l'altro di incerta interpretazione (il 'Chrestus' di Svetonio) o dubbia autenticità  (la lettera a Traiano di Plinio). Se dunque veramente Gesù è esistito, dev'essere stato irrilevante per i suoi contemporanei, al di fuori di una ristretta cerchia di parenti, amici e seguaci».

E' bello sapere che la corrispondenza fra Traiano a Plinio, la cui autenticità   è ritenuta certa da fior di storici professionali, ci sia invece dichiarata dubbia da uno che si occupa di logaritmi.

Ma nelle sue letture storiche e del primo cristianesimo Odifreddi è rimasto evidentemente fermo a un secolo fa, a Renan.

Da allora quella «ventina di righe» si sono parecchio moltiplicate, con le più profonde e specialistiche ricerche storiche.

Odifreddi non sa ad esempio nulla del cosiddetto «editto di Nazareth». (3)

Una lastra di marmo in greco, conservata a Parigi, che contiene un «diatagma Kaisaros», un ordine di Cesare.

Il Cesare in questione è Nerone, e l'ha scritta è del 62, un trentennio dopo la crocifissione) in cui Nerone dà  ordini molti strani:

1) Vieta «l'adorazione di uomini» («tòn anthròpon thriskèias») come empietà  contro gli dèi, e dice che sarà  considerata una colpa religiosa.

2) Vieta la violazione delle tombe per estrarne cadaveri.

3 ) E la vieta, fatto ancora più strano, con carattere «retroattivo».

Infatti dice, nella lapide: «Se qualcuno denuncia che uno ha tirato fuori defunti con inganno e li ha trasferiti ad altro luogo, o spostato pietre tombali, [il colpevole] va condannato a morte».

Insomma, nel 62, Nerone vieta un delitto che pare sia stato già  commesso: qualcuno ha portato via un corpo spostando la pietra di un sepolcro.

Per questo, commina una pena d'inaudita durezza, la pena capitale.

E fa affiggere questo suo ordine non in tutto l'impero in generale, ma proprio a Nazareth.

Ciò, all'insaputa di Odifreddi, dice qualcosa agli storici che l'hanno studiata.

La lapide di Nazareth ha una spiegazione chiara, se si legge quello che dicevano gli ebrei nei Vangeli, e ciò che ripete in assai più di venti righe il Talmud, in scritti di quegli anni. Sostanzialmente questo: «I suoi discepoli hanno portato via il Nazareno dalla tomba subornando le guardie».

E' la scusa con cui i giudei cercavano di smentire la resurrezione di Cristo.

Ma perché Nerone se ne occupa?

Come Odifreddi non sa ma come gli storici specialisti hanno da tempo appurato, alla corte di Nerone - più precisamente attorno a Poppea, la giudaizzante - agiva già  la potente e nota lobby.

E' quasi certamente questa ad aver dettato il «diatagma  Kaisaros», e a farlo affiggere a Nazareth, non poniamo a Selinunte o ad Atene.

Ecco una «traccia nelle fonti ufficiali dell'epoca» che il cretino matematico, matematicamente ignora: e che conferma i Vangeli e le polemiche degli ebrei su Gesù con estrema precisione storica.

Ancora 30 anni dopo l'esecuzione di Gesù, i farisei si sforzavano di tappare la bocca chi sosteneva che Gesù era risorto, evidentemente perché la voce continuava a diffondersi.

E il fatto istruttivo per noi contemporanei è vedere come gli ebrei facevano, allora, a tappare le bocche: facendo emanare leggi ad hoc dall'autorità  costituita.

L'editto di Nazareth, sostanzialmente intima: è vietato per legge dire che Cristo è risorto.

E' illegale.

Lo ordina l'imperatore.

Chi lo dice sarà  perseguito come violatore di tombe.

Molto istruttivo: anche oggi, dire la verità  è esporsi ai rigori delle leggi Mancino e Mastella.

Sono i Neroni che la lobby può permettersi con questi chiari di luna.

Ma Odifreddi non sa.

Ignora che anche la ricerca storica ha fatto passi avanti, non è rimasta al teorema di Fermat.

Oddifredi non crede a Gesù, e fa benissimo: Gesù non è venuto per scimpanzè geneticamente modificati.

Ma si perde  il meglio come specialista.

Non sa ad esempio che quel Nazareno di cui bisogna dire (come dice Odifreddi) che è stato sottratto dalla tomba rigido, era uno scienziato.

Non uno scienzato alla Odifreddi, sia chiaro, non un manovale delle equazioni.

Stiamo parlando dello scienziato del primo tipo, dei genio delle grandi sintesi.

Come?

La prova è proprio nel Vangelo.

Là  dove Gesù dice che Abramo esultò a vedere il suo giorno, e i farisei: non hai nemmeno cinquant'anni, ed hai visto Abramo?

Lui risponde: «Prima che Abramo fosse, Io Sono».

I farisei sono pur sempre più intelligenti di Odifreddi: capiscono benissimo che Gesù si dichiara Dio («Io-Sono» è il nome che si dà  YHVH nel roveto ardente) e perciò si provano a lapidarlo.

Ma quel che sfugge loro perché la fisica allora era ancora quella classica - è che questa enunciazione di Gesù è una conferma della fisica post-einsteiniana.

Come si diceva all'inizio, dopo Einstein, per i fisici d'avanguardia, lo spazio-tempo è un tutto unico.

Il tempo è una dimensione dello spazio, come l'altezza e la profondità .

Lo spiega Louis De Broglie, premio Nobel: «Nello spazio-tempo, tutto ciò che per ciascuno di noi costituisce il passato, il presente, il futuro è dato in blocco. Ciascun osservatore, col passare del suo tempo, scopre per così dire nuove porzioni dello spazio-tempo, che gli appaiono come aspetti successivi del mondo materiale; ma in realtà  l'insieme degli eventi che descrivono lo spazio-tempo esiste già  prima di essere conosciuto».

O come dice Hermann Weyl: «Il mondo oggettivo non avviene, semplicemente è».

Stiamo parlando qui di grandi scienziati, che sono il contrario di Odifreddi anche in questo: non sono presuntuosi, ma umili.


Ma ciò che De Broglie umilmente intuisce, e che ci trasmette con faticose parole traducendo le formule fisico-matematiche, è né più né meno che lo sguardo di Dio sul mondo.

Noi passiamo dal passato al futuro, strisciando sulla dimensione-tempo come lumache sul terreno, in un senso solo.

Per Dio, passato e futuro «sono» nel Suo eterno presente.

Abramo conosce Gesù, in questa visione.

I dinosauri sono ancora fra noi, solo in un angolo spazio-temporale a noi ormai inaccessibile; e anche ciò che per noi ancora non è, il futuro, è «già » qui.

Gli evoluzionisti darwiniani (Odifreddi non può mancare nel novero di tali cretini) si immaginano che gli antidarwinisti («creazionisti», spregiativamente) abbiano in mente un Dio - ingegnere, un fabbricante che ha fatto prima la mosca, poi i mammiferi, poi l'uomo, progettando minuziosamente ogni vivente, elitra, pinna ed occhio, come un ottimo artigiano solo più potente, tutto immerso nel mondo materiale.

Ma questa è una caricatura del Dio a cui crediamo - o meglio, a cui non crediamo - che sappiamo Essere.

Dio, è quello che ci dice in uno sprazzo De Broglie: per lui, tutto è «compresente».

Non ha fatto prima gli insetti, poi i rettili e poi i mammiferi e gli Odifreddi quadrumani con pollici opponibili: ha fatto tutto insieme.

Ha fatto tutto «ora».

Questo vastissimo «ora» di Dio, dove non solo Abramo parla con Gesù, non solo i dinosauri non sono estinti, ma ancor più, dove il futuro influisce sul presente e lo fa essere quel che è, almeno quanto sul presente influisce il passato - il passato per cui siamo ciò che siamo oggi.

Ci pare normale che il passato abbia influito su di noi; ma impossibile che il futuro - ciò che saremo, che saranno i nostri nipoti - stia già  influendo su di noi «adesso».

E' ciò che i cretini chiamano «finalismo», vietato (per legge) nella scienza sorpassata del XIX  secolo.

Ma nello spazio-tempo post-einsteiniano, ciò è la pura verità .

Là  dove i cretini vedono una «evoluzione», Dio (e un pochino anche l'umile, modesto De Broglie) vede una «architettura».

Per lui tutto è presente, tutto è stato fatto «ora», nulla si sta facendo, nulla è incompleto.

«Prima che Abramo fosse, Io-Sono».

E dice la stessa cosa quando assicura: «Non sono il Dio dei morti, ma dei viventi».

De Broglie lo capirebbe al volo (anzi lo capisce, nel Presente in cui ora vive per sempre).

Tutto questo, si capisce, supera di troppo il cretino televisivo.

Il quale non ha capito nemmeno la fisica post-ensteiniana, che dovrebbe essere un campo vicino al suo.

Bene, a questi è affidata ora la realtà  presente.

Agli Odifreddi, agli Augias, agli Scalfari: a loro non la si fa.

Applausi.

Maurizio Blondet




1) Josè Ortega y Gasset, «La ribellione delle masse», capitolo «La barbarie dello specialismo».
2) Max Horkeimer, «Eclisse della Ragione», citato da Giuseppe Sermonti, «Crepuscolo dello Scientismo», 2002, pagina 136.
3) Marta Sordi, «I cristiani e l'impero romano», capitolo «I cristiani e Nerone, dalla tolleranza alla persecuzione».


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