Tragicomica ricerca di un pretesto contro l’Iran
06 Aprile 2008
Il titolo del Telegraph non può essere più esplicito: «Ufficiali
britannici temono che il comandante USA [in Iraq] stia battendo la
grancassa per attaccare l’Iran»
(1).
Il comandante USA è il generale David Petraeus, che sta proclamando in
questi giorni quanto segue: è Teheran che ha diretto gli attacchi delle
milizie sciite di Muktada al-Sadr contro «lo Stato iracheno e gli
alleati degli USA». La verità è lievemente diversa.
Anzitutto non è stato Al-Sadr ad «attaccare». E’ stato invece attaccato
dagli armati di Nouri al-Maliki, il capo del governo collaborazionista,
sciita ma favorevole allo smembramento dell’Iraq; siccome Al-Sadr,
clerico sciita, è invece «nazionalista», si batte per mantenere l’Iraq
unito, e tuttora dice che può radunare una maggioranza di iracheni
sotto il progetto unitario nelle elezioni prossime di ottobre, il
calcolo del governo «legale» di Baghdad era liquidare un avversario
politico prima del voto.
Palesemente, su istigazione del generale Petraeus (lo smembramento
dell’Iraq essendo il progetto di USA e soprattutto di Israele): tant’è
che quando dopo i primi scontri le milizie di Al-Maliki hanno
cominciato ad avere la peggio, le forze americane - che s’erano tenute
in disparte credendo in una facile vittoria del «governo» di Baghdad -
sono intervenute al suo fianco con pesantissimi bombardamenti.
Inutilmente, perché la milizia sadrista ha tenuto le posizioni, mentre
il cosiddetto «esercito regolare» iracheno mandato a battere Al-Sadr
s’è squagliato, decimato dalle defezioni e dai passaggi di molti uomini
al «nemico». Al-Maliki ha dovuto accettare un disagevole armistizio,
offerto da al-Sadr.
Questo è comunque rimasto padrone di Bassora (la zona petrolifera più
ricca), e politicamente più forte di prima, avendo dimostrato non solo
di essere militarmente capace di tenere le posizioni, ma di avere dalla
sua una maggioranza di iracheni, anche sunniti. Infatti, ha indetto una
manifestazione di massa contro il governo Maliki per il 9 aprile: e non
a Bassora che è il suo feudo, ma a Baghdad.
Per il generale Petraeus è stata invece un’umiliante sconfitta
politico-strategica: prima ha sottovalutato le forze avversarie, poi
ha gettato la maschera della neutralità, parteggiando per una delle due
forze politiche irachene principali, e non riuscendo comunque ad
imporre la sua volontà con la forza.
Oltretutto, gli americani subiscono attacchi sempre più intensi nella
stessa Zona Verde, il loro santuario fortificato: uno schiaffo alla
superpotenza che, dopo cinque anni dooccupazione, non riesce a
difendere nemmeno le proprie enclaves.
Come può giustificarsi un generale così nei guai, di fronte al Congresso?
Lo dice al Telegraph una fonte britannica del Foreign Office: «Petraeus
picchierà durissimo contro l’Iran, in quanto sorgente degli attacchi
agli sforzi americani in Iraq. L’Iran sta facendo una guerra in Iraq.
L’idea che l’America non possa condurre una guerra su due fronti è
sbagliata, possono esserci incursioni aeree ed altre contromisure».
«Petraeus - aggiunge la fonte britannica - sottolinea che l’America ha
dovuto combattere la battaglia per conto dell’Iraq [sic]. Nel suo
rapporto (al Congresso) può metterla in congiunzione con i nostri
soldati e diplomatici uccisi nella Zona Verde».
Infatti Petraeus ha già detto: «I razzi lanciati nella Zona Verde sono
razzi fatti in Iran e forniti dall’Iran. E ciò in completa violazione
delle promesse fatte dal presidente Ahmadinejad e dai capi iraniani al
più alto livello alle loro controparti irachene».
Questa frase ha un lato farsesco (la pretesa che l’Iran, minacciato
ogni giorno di annichilimento da Washington, tenga fede a «promesse» di
non-intervento) ma rivela una parte di verità, che probabilmente non
doveva essere rivelata: Teheran esercita sull’Iraq «liberato»
un’influenza reale che non poteva nemmeno sognarsi ai tempi di Saddam.
Sotto il naso dell’occupante, e con il suo tacito forzato consenso, il
governo collabò di Al Maliki intrattiene rapporti stretti e cordiali
con Ahmadinejad e ne ottiene «promesse» - promesse che l’occupante
americano prende per buone, pur vietandosi di trattare con l’Iran e
vietandolo a tutti gli alleato occidentali. A tutti, meno che al suo
Al-Maliki.
La faccenda diventa ancor più surreale, in quanto si apprende che la
tregua tra i sadristi e la miliizia di Al-Maliki è stata ottenuta
grazie ai buoni uffici diplomatici iraniani: Teheran ha evidentemente
ascendente su entrambe le fazioni, che sono entrambe sciite, e i cui
capi hanno studiato nella città santa (e universitaria) di Qom in
Persia.
«Teheran, usando la sua positiva influenza, ha posto le basi per il
ritorno della pace in Iraq, e la nuova situazione è il risultato degli
sforzi iraniani», ha detto un alto esponente del Supremo Concilio
Islamico Iracheno
(2):
ossia l’altra formazione con sua milizia sciita (la Brigata Badr) che
contrasta l’influenza di Al-Sadr nella regione di Bassora, e nella
battaglia s’è schierata con Al-Maliki.
Dunque Petraeus ha dovuto vedere - e persino approvare, vista la brutta
piega che la battaglia per Bassora aveva preso per il suo fantoccio
Al-Maliki - gli iraniani in veste di mediatori di pace fra le due
fazioni irachene che egli aveva spinto l’una contro l’altra.
Ad aggiungere ridicolo all’umiliazione della sola superpotenza rimasta,
si fa il nome del mediatore iraniano tra Al-Maliki ed Al-Sadr: è il
generale Qassem Suleimani, comandante del gruppo d’elite «Quds»
(Gerusalemme) delle Guardie Islamiche Rivoluzionarie iraniane
(3).
Il lato comico è che il generale Suleimani è stato messo dagli
americani nella lista dei terroristi, perché lo sospettano, o lo
accusano, di essere l’inventore delle bombe a lato strada più
sofisticate (explosively formed proiectiles), che sono costate la vita
e le gambe a decine di soldati USA, e per soprammisura anche la mente
del programma nucleare persiano.
Ebbene: a quanto s’indovina, questo «terrorista» può andare nell’Iraq
occupato - non si capisce se con tacito salvacondotto dell’occupante -
o secondo un’altra versione convocare Al-Sadr nella città santa
persiana di Qom, a mettere pace fra le due fazioni sciite, che
ascoltano lui e non gli americani.
Imbarazzante: infatti l’ambasciatore USA a Baghdad, Ryan Crocker, ha
dovuto dire ai giornalisti che lui «non era al corrente di un ruolo
dell’Iran nella decisione di Sadr (di offrire tregua), se pur c’è stato
un ruolo». C’è stato eccome, insiste Joost Hiltermann, vicedirettore
dell’International Crisis Group (una ONG) per il Medio Oriente: «L’Iran
ha dimostrato di esser capace di mediare il cessate-il-fuoco, mentre
gli USA hanno mostrato di avere pochissima influenza. Gli Stati Uniti
si accaniscono a denunciare il ruolo di sabotaggio dell’Iran in Iraq,
ma la realtà è che USA e Iran hanno qui molti interessi in comune».
Singolarmente, è un parere molto simile a quello espresso da Putin al
vertice NATO di Bucarest: «Nessuno può credere seriamente che l’Iran
osi attaccare gli USA. Invece di mettere nell’angolo l’Iran sarebbe più
sensato pensare insieme a come aiutarlo a diventare più prevedibile e
più trasparente»
(4).
Ma non è questa l’idea che sta agitando Petraeus: anzi, oggi, per
salvarsi la carriera, offre a Bush il pretesto per il sospirato
attacco aereo alle installazioni nucleari iraniane. E il Wall Street
Journal (giornale neocon, da quando è passato alla proprietà di Rupert
Murdoch, zelante per Sion), ha scritto: «Gli USA devono riconoscere che
l’Iran è in guerra con l’Iraq per interposte milizie», e dunque lo
sforzo bellico americano in Iraq «deve avere un doppio bersaglio».
La firma è quella di Kimberly Kagan, membro della numerosa famiglia dei neocon ebrei Kagan.
1) Damien McElroy, «Britishfear US commander is beating the drum for Iran strikes», Telegraph,
4 aprile 2008.
2) Si tratta di Mohsen
Hakim, figlio di Abdul Aziz Al-Hakim, capo del Supremo Concilio
Islamico Iracheno, sciita e avverso a Moktada (fonte Reuters).
3) Warren P. Strobel,
«Iranian who brokered Iraqi peace is on U.S. terrorist watch list»,
McClatchy Washington Report, 31 marzo 2008.
4) «Putin: Iran Should Be Helped, Not Threatened» - AFP, 4 aprile 2008.
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